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2024-05-10
Ragazzo risarcito a vita per danni da vaccino
Pascal Soriot, 64 anni, amministratore delegato di Astrazeneca (Ansa)
Siamo ben lontani dallo scenario inglese: Londra ha erogato 163 assegni di risarcimento alle vittime dei vaccini anti Covid. Qualcosa, però, si sta muovendo anche in Italia.
Il Codacons, l’associazione che difende gli interessi dei consumatori, ha annunciato di aver vinto una causa intentata per conto di un ragazzo genovese di 37 anni, indicato con le iniziali F.E.P., danneggiato dal farmaco di Astrazeneca. La società, peraltro, ha appena ritirato definitivamente il suo prodotto a vettore adenovirale, proprio mentre, nel Regno Unito, è in corso una class action da parte di chi ha patito effetti collaterali. Il giovane riceverà un vitalizio di 1.740,77 euro a bimestre.
A fine marzo 2021, l’uomo si era sottoposto a una prima dose di Vaxzevria e, dopo due settimane, aveva notato un ematoma al torace. Nonostante questo, a metà giugno ha ricevuto anche il richiamo. A quel punto, gli ematomi si sono estesi ai glutei e sono comparse macchie rosse sulle caviglie. Al pronto soccorso del San Martino, nel capoluogo ligure, gli è stata diagnosticata una piastrinopenia immunomediata, patologia caratterizzata da un marcato calo delle piastrine. A fine novembre 2021, infine, i referti hanno certificato «l’occlusione completa della vena basilica a destra nel suo tratto omerale da tvs» e «l’occlusione completa della vena cefalica nel tratto di avambraccio da tvs». Oltre al ricovero in ospedale a una serie di controlli, il malcapitato è dunque stato costretto a iniziare terapie cortisoniche. Il trentasettenne non è rimasto in silenzio. Ha deciso di dare battaglia. Si è rivolto al Codacons, che ha avviato l’iter per il riconoscimento del danno, ai sensi della legge 210 del 1992. Nel comunicato diffuso l’altro giorno, l’associazione segnala che l’autorità sanitaria «ha ora sancito il nesso causale tra la vaccinazione e l’insorgenza delle patologie denunciate in soggetto fino ad allora sano». Nei verbali, si legge che «il manifestarsi della piastrinopenia immunomediata cronica [...] costituisce certamente una reazione avversa grave [...] potenzialmente innescata» dall’iniezione.
Il giudizio della Asl 3 di Genova e della commissione medica ospedaliera di La Spezia costituisce un precedente importante. Anche perché, come La Verità ha mostrato, non è facile accedere agli indennizzi, pure a fronte di pareri medico-legali che attestino i nessi di causalità tra malattie e vaccini. Nei due casi di cui vi avevamo dato conto, entrambi riferiti a inoculazioni con medicinali a mRna, il contributo economico non verrà corrisposto: secondo i legali delle vittime, perché le tabelle statali non sono aggiornate (risalgono al 1981) e non includono i disturbi in cui sono incorsi i cittadini menomati dal preparato di Pfizer; altri esperti hanno rilevato, invece, che l’erogazione dell’assegno non è obbligatoria al di sotto del 74% di invalidità. Una soglia che, tuttavia, è già molto alta: un invalido al 70% può non essere più in grado di vivere una vita normale e magari nemmeno di lavorare.
Finora, solo in altre due circostanze la giustizia aveva riconosciuto il diritto a un risarcimento, a beneficio degli eredi di due insegnanti morte in seguito alla somministrazione di Astrazeneca. Le povere docenti stroncate dal vaccino erano Zelia Guzzo, 37 anni, come F.E.P., che si è salvato ed è riuscito ad avere il vitalizio, deceduta il 22 marzo 2021; e Francesca Tuscano, 32 anni, scomparsa il 4 aprile 2021. Tre giorni prima che Sergio Abrignani del Cts, successivamente molto critico sull’opportunità di rifilare Vaxzevria ai giovani, rilasciasse un’intervista alla Stampa, nella quale invitava a non pensare «solo ai rari casi di trombosi» provocati da Astrazeneca. Dieci giorni più tardi, Roberto Speranza si mise a minacciare chi si permetteva di rifiutare la puntura con il siero anglosvedese: «Finirà in coda», ammoniva, facendo leva sulla paura degli italiani di rimanere indifesi dinanzi al virus.
Sulla questione delle reazioni avverse ai vaccini anti Covid urge un ribaltamento totale di prospettiva. L’ex ministro ha avuto la faccia tosta di apostrofare i danneggiati che erano andati a contestarlo, accusandoli di essere pagati dalla trasmissione Fuori dal coro per «fare casino». Giorgia Meloni, al contrario, ha promesso che andrà «fino in fondo» alla questione, mentre Orazio Schillaci, rimarcando che il governo è «sensibile» al tema e che esiste già, nel suo dicastero di lungotevere Ripa, una commissione che indaga sugli effetti collaterali dei farmaci, ha assicurato che il gruppo di studio verrà potenziato. Balla ancora, invece, l’impegno a dotare di 1 miliardo il fondo per i risarcimenti, come la stessa leader di Fdi aveva chiesto a Mario Draghi, a dicembre 2021. Certo, il Superbonus ha squassato i conti pubblici e le risorse a disposizione sono limitate. Lo è ancora di più la pazienza di chi si è fidato della scienza e se n’è pentito per sempre.
L’uscita di scena di tutti i concorrenti rende Pfizer e Moderna monopolisti
Uno dopo l’altro, come birilli, tutti i vaccini anti Covid che avrebbero dovuto essere disponibili sul mercato dal 2020 in poi sono ormai caduti sul campo di battaglia, a eccezione di Pfizer e Moderna che sono diventati di fatto, tra vaccini e monoclonali, i grandi monopolisti della pandemia.
Il recente ritiro di Astrazeneca è infatti l’ultimo di una lunga serie: il primo giugno 2023 i regolatori della Food and grug administration (Fda) avevano già revocato l’autorizzazione di emergenza per il vaccino Johnson su richiesta della stessa azienda produttrice Jannsen per «troppe dosi scadute» e crollo della domanda negli Usa. In realtà il preparato, somministrato in una sola inoculazione, aveva dovuto affrontare problemi legati a un disturbo della coagulazione raro e potenzialmente mortale, valutato da Fda più preoccupante delle «rare miocarditi» causate dai vaccini Pfizer, somministrati a miliardi di giovani. Il 12 ottobre è toccato al vaccino austriaco Valneva (inattivato, adiuvato, adsorbito), la cui autorizzazione è stata revocata dalla Commissione europea. L’11 marzo 2024, sempre per decisione della Commissione Ue, è stato annullato il via libera anche al vaccino Vidprevtyn Beta (ricombinante, adiuvato) della francese Sanofi Pasteur.
Non ha neanche visto la luce il famoso «vaccino italiano», progettato dal ricercatore Iss Maurizio Federico, noto per la triste vicenda del decesso della figlia Lisa, che vede indagato il professor Franco Locatelli, ex direttore Cts. Federico lavorava su un vaccino non basato sulla tecnologia a mRna, ma il governo italiano non volle dar seguito. Infine, come riportato da un comunicato Ema lo scorso 27 marzo, anche il vaccino anglosvedese Astrazeneca (Vaxzevria) è stato ritirato a seguito della richiesta presentata dalla stessa azienda farmaceutica il 5 marzo 2024.
Per i quattro preparati - Johnson, Valneva, Sanofi e Astrazeneca - il ritiro è scattato su istanza delle stesse aziende farmaceutiche per ragioni commerciali, che non sembrano giustificare addirittura la richiesta di revoca delle autorizzazioni conquistate nel 2020. Era davvero necessario?
In una conversazione pubblica di novembre 2020 con Bill Gates, Anthony Fauci aveva parlato del business dei nuovi farmaci anti Covid. «II piano (di chi e quale?, ndr) è che ci sia più di un “vincitore”», spiegava Fauci, aggiungendo di voler vedere «quattro, cinque vincitori». L’ex consulente scientifico di Joe Biden ci teneva a fugare il dubbio che una sola azienda, americana per di più, detenesse il monopolio dei vaccini. E invece è andata proprio così: la colossale operazione commerciale è servita a imporre ai cittadini di tutto il mondo occidentale il business del secolo. I farmaci a mRna prodotti dalle aziende statunitensi Pfizer e Moderna hanno di fatto cannibalizzato tutti gli altri concorrenti europei, imponendosi sul mercato degli immunizzanti anti Sars Cov-2, e non solo: le terapie geniche mRna che si stanno studiando nei laboratori Usa saranno diffuse per affrontare le malattie dei prossimi 50 anni.
Dietro c’è stata sicuramente una sorta di spartizione delle fette di mercato che garantisse il monopolio dell’mRna alle sole Pfizer e Moderna. Ma è stata anche una misura precauzionale: con le prime sentenze di condanna per eventi avversi, continuare a commercializzare il prodotto avrebbe potuto aprire un varco giudiziario per bypassare le clausole di esenzione di responsabilità.
Morale della storia: a oltre quattro anni dalla pandemia, i famosi «quattro, cinque vincitori» europei sono stati eliminati e il business dei vaccini è stato fagocitato dalle aziende Usa, non necessariamente perché hanno realizzato i farmaci «migliori» o «più sicuri», come dimostrano i processi avviati in tutto il mondo. In mezzo a quest’epica disfida commerciale sono finiti i cittadini, che hanno testato gratuitamente i prodotti per conto delle aziende che avevano fretta di immetterli sul mercato. Ma questa parte della storia, ancora non la vuole raccontare nessuno.
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Il Codacons annuncia di aver vinto una causa intentata da un trentasettenne genovese, colpito da gravi patologie causate da Az. Riceverà oltre 1.700 euro ogni bimestre. Un precedente importante visto che in Italia è solo la terza persona a ricevere un indennizzo.Caduti come birilli Vaxzevria, Johnson e molti altri. Il business del futuro è made in Usa.Lo speciale contiene due articoli.Siamo ben lontani dallo scenario inglese: Londra ha erogato 163 assegni di risarcimento alle vittime dei vaccini anti Covid. Qualcosa, però, si sta muovendo anche in Italia.Il Codacons, l’associazione che difende gli interessi dei consumatori, ha annunciato di aver vinto una causa intentata per conto di un ragazzo genovese di 37 anni, indicato con le iniziali F.E.P., danneggiato dal farmaco di Astrazeneca. La società, peraltro, ha appena ritirato definitivamente il suo prodotto a vettore adenovirale, proprio mentre, nel Regno Unito, è in corso una class action da parte di chi ha patito effetti collaterali. Il giovane riceverà un vitalizio di 1.740,77 euro a bimestre.A fine marzo 2021, l’uomo si era sottoposto a una prima dose di Vaxzevria e, dopo due settimane, aveva notato un ematoma al torace. Nonostante questo, a metà giugno ha ricevuto anche il richiamo. A quel punto, gli ematomi si sono estesi ai glutei e sono comparse macchie rosse sulle caviglie. Al pronto soccorso del San Martino, nel capoluogo ligure, gli è stata diagnosticata una piastrinopenia immunomediata, patologia caratterizzata da un marcato calo delle piastrine. A fine novembre 2021, infine, i referti hanno certificato «l’occlusione completa della vena basilica a destra nel suo tratto omerale da tvs» e «l’occlusione completa della vena cefalica nel tratto di avambraccio da tvs». Oltre al ricovero in ospedale a una serie di controlli, il malcapitato è dunque stato costretto a iniziare terapie cortisoniche. Il trentasettenne non è rimasto in silenzio. Ha deciso di dare battaglia. Si è rivolto al Codacons, che ha avviato l’iter per il riconoscimento del danno, ai sensi della legge 210 del 1992. Nel comunicato diffuso l’altro giorno, l’associazione segnala che l’autorità sanitaria «ha ora sancito il nesso causale tra la vaccinazione e l’insorgenza delle patologie denunciate in soggetto fino ad allora sano». Nei verbali, si legge che «il manifestarsi della piastrinopenia immunomediata cronica [...] costituisce certamente una reazione avversa grave [...] potenzialmente innescata» dall’iniezione.Il giudizio della Asl 3 di Genova e della commissione medica ospedaliera di La Spezia costituisce un precedente importante. Anche perché, come La Verità ha mostrato, non è facile accedere agli indennizzi, pure a fronte di pareri medico-legali che attestino i nessi di causalità tra malattie e vaccini. Nei due casi di cui vi avevamo dato conto, entrambi riferiti a inoculazioni con medicinali a mRna, il contributo economico non verrà corrisposto: secondo i legali delle vittime, perché le tabelle statali non sono aggiornate (risalgono al 1981) e non includono i disturbi in cui sono incorsi i cittadini menomati dal preparato di Pfizer; altri esperti hanno rilevato, invece, che l’erogazione dell’assegno non è obbligatoria al di sotto del 74% di invalidità. Una soglia che, tuttavia, è già molto alta: un invalido al 70% può non essere più in grado di vivere una vita normale e magari nemmeno di lavorare.Finora, solo in altre due circostanze la giustizia aveva riconosciuto il diritto a un risarcimento, a beneficio degli eredi di due insegnanti morte in seguito alla somministrazione di Astrazeneca. Le povere docenti stroncate dal vaccino erano Zelia Guzzo, 37 anni, come F.E.P., che si è salvato ed è riuscito ad avere il vitalizio, deceduta il 22 marzo 2021; e Francesca Tuscano, 32 anni, scomparsa il 4 aprile 2021. Tre giorni prima che Sergio Abrignani del Cts, successivamente molto critico sull’opportunità di rifilare Vaxzevria ai giovani, rilasciasse un’intervista alla Stampa, nella quale invitava a non pensare «solo ai rari casi di trombosi» provocati da Astrazeneca. Dieci giorni più tardi, Roberto Speranza si mise a minacciare chi si permetteva di rifiutare la puntura con il siero anglosvedese: «Finirà in coda», ammoniva, facendo leva sulla paura degli italiani di rimanere indifesi dinanzi al virus.Sulla questione delle reazioni avverse ai vaccini anti Covid urge un ribaltamento totale di prospettiva. L’ex ministro ha avuto la faccia tosta di apostrofare i danneggiati che erano andati a contestarlo, accusandoli di essere pagati dalla trasmissione Fuori dal coro per «fare casino». Giorgia Meloni, al contrario, ha promesso che andrà «fino in fondo» alla questione, mentre Orazio Schillaci, rimarcando che il governo è «sensibile» al tema e che esiste già, nel suo dicastero di lungotevere Ripa, una commissione che indaga sugli effetti collaterali dei farmaci, ha assicurato che il gruppo di studio verrà potenziato. Balla ancora, invece, l’impegno a dotare di 1 miliardo il fondo per i risarcimenti, come la stessa leader di Fdi aveva chiesto a Mario Draghi, a dicembre 2021. Certo, il Superbonus ha squassato i conti pubblici e le risorse a disposizione sono limitate. Lo è ancora di più la pazienza di chi si è fidato della scienza e se n’è pentito per sempre.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ragazzo-risarcito-vita-danni-vaccino-2668216544.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="luscita-di-scena-di-tutti-i-concorrenti-rende-pfizer-e-moderna-monopolisti" data-post-id="2668216544" data-published-at="1715323730" data-use-pagination="False"> L’uscita di scena di tutti i concorrenti rende Pfizer e Moderna monopolisti Uno dopo l’altro, come birilli, tutti i vaccini anti Covid che avrebbero dovuto essere disponibili sul mercato dal 2020 in poi sono ormai caduti sul campo di battaglia, a eccezione di Pfizer e Moderna che sono diventati di fatto, tra vaccini e monoclonali, i grandi monopolisti della pandemia. Il recente ritiro di Astrazeneca è infatti l’ultimo di una lunga serie: il primo giugno 2023 i regolatori della Food and grug administration (Fda) avevano già revocato l’autorizzazione di emergenza per il vaccino Johnson su richiesta della stessa azienda produttrice Jannsen per «troppe dosi scadute» e crollo della domanda negli Usa. In realtà il preparato, somministrato in una sola inoculazione, aveva dovuto affrontare problemi legati a un disturbo della coagulazione raro e potenzialmente mortale, valutato da Fda più preoccupante delle «rare miocarditi» causate dai vaccini Pfizer, somministrati a miliardi di giovani. Il 12 ottobre è toccato al vaccino austriaco Valneva (inattivato, adiuvato, adsorbito), la cui autorizzazione è stata revocata dalla Commissione europea. L’11 marzo 2024, sempre per decisione della Commissione Ue, è stato annullato il via libera anche al vaccino Vidprevtyn Beta (ricombinante, adiuvato) della francese Sanofi Pasteur. Non ha neanche visto la luce il famoso «vaccino italiano», progettato dal ricercatore Iss Maurizio Federico, noto per la triste vicenda del decesso della figlia Lisa, che vede indagato il professor Franco Locatelli, ex direttore Cts. Federico lavorava su un vaccino non basato sulla tecnologia a mRna, ma il governo italiano non volle dar seguito. Infine, come riportato da un comunicato Ema lo scorso 27 marzo, anche il vaccino anglosvedese Astrazeneca (Vaxzevria) è stato ritirato a seguito della richiesta presentata dalla stessa azienda farmaceutica il 5 marzo 2024. Per i quattro preparati - Johnson, Valneva, Sanofi e Astrazeneca - il ritiro è scattato su istanza delle stesse aziende farmaceutiche per ragioni commerciali, che non sembrano giustificare addirittura la richiesta di revoca delle autorizzazioni conquistate nel 2020. Era davvero necessario? In una conversazione pubblica di novembre 2020 con Bill Gates, Anthony Fauci aveva parlato del business dei nuovi farmaci anti Covid. «II piano (di chi e quale?, ndr) è che ci sia più di un “vincitore”», spiegava Fauci, aggiungendo di voler vedere «quattro, cinque vincitori». L’ex consulente scientifico di Joe Biden ci teneva a fugare il dubbio che una sola azienda, americana per di più, detenesse il monopolio dei vaccini. E invece è andata proprio così: la colossale operazione commerciale è servita a imporre ai cittadini di tutto il mondo occidentale il business del secolo. I farmaci a mRna prodotti dalle aziende statunitensi Pfizer e Moderna hanno di fatto cannibalizzato tutti gli altri concorrenti europei, imponendosi sul mercato degli immunizzanti anti Sars Cov-2, e non solo: le terapie geniche mRna che si stanno studiando nei laboratori Usa saranno diffuse per affrontare le malattie dei prossimi 50 anni. Dietro c’è stata sicuramente una sorta di spartizione delle fette di mercato che garantisse il monopolio dell’mRna alle sole Pfizer e Moderna. Ma è stata anche una misura precauzionale: con le prime sentenze di condanna per eventi avversi, continuare a commercializzare il prodotto avrebbe potuto aprire un varco giudiziario per bypassare le clausole di esenzione di responsabilità. Morale della storia: a oltre quattro anni dalla pandemia, i famosi «quattro, cinque vincitori» europei sono stati eliminati e il business dei vaccini è stato fagocitato dalle aziende Usa, non necessariamente perché hanno realizzato i farmaci «migliori» o «più sicuri», come dimostrano i processi avviati in tutto il mondo. In mezzo a quest’epica disfida commerciale sono finiti i cittadini, che hanno testato gratuitamente i prodotti per conto delle aziende che avevano fretta di immetterli sul mercato. Ma questa parte della storia, ancora non la vuole raccontare nessuno.
Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
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(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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