2024-05-10
Ragazzo risarcito a vita per danni da vaccino
Pascal Soriot, 64 anni, amministratore delegato di Astrazeneca (Ansa)
Il Codacons annuncia di aver vinto una causa intentata da un trentasettenne genovese, colpito da gravi patologie causate da Az. Riceverà oltre 1.700 euro ogni bimestre. Un precedente importante visto che in Italia è solo la terza persona a ricevere un indennizzo.Caduti come birilli Vaxzevria, Johnson e molti altri. Il business del futuro è made in Usa.Lo speciale contiene due articoli.Siamo ben lontani dallo scenario inglese: Londra ha erogato 163 assegni di risarcimento alle vittime dei vaccini anti Covid. Qualcosa, però, si sta muovendo anche in Italia.Il Codacons, l’associazione che difende gli interessi dei consumatori, ha annunciato di aver vinto una causa intentata per conto di un ragazzo genovese di 37 anni, indicato con le iniziali F.E.P., danneggiato dal farmaco di Astrazeneca. La società, peraltro, ha appena ritirato definitivamente il suo prodotto a vettore adenovirale, proprio mentre, nel Regno Unito, è in corso una class action da parte di chi ha patito effetti collaterali. Il giovane riceverà un vitalizio di 1.740,77 euro a bimestre.A fine marzo 2021, l’uomo si era sottoposto a una prima dose di Vaxzevria e, dopo due settimane, aveva notato un ematoma al torace. Nonostante questo, a metà giugno ha ricevuto anche il richiamo. A quel punto, gli ematomi si sono estesi ai glutei e sono comparse macchie rosse sulle caviglie. Al pronto soccorso del San Martino, nel capoluogo ligure, gli è stata diagnosticata una piastrinopenia immunomediata, patologia caratterizzata da un marcato calo delle piastrine. A fine novembre 2021, infine, i referti hanno certificato «l’occlusione completa della vena basilica a destra nel suo tratto omerale da tvs» e «l’occlusione completa della vena cefalica nel tratto di avambraccio da tvs». Oltre al ricovero in ospedale a una serie di controlli, il malcapitato è dunque stato costretto a iniziare terapie cortisoniche. Il trentasettenne non è rimasto in silenzio. Ha deciso di dare battaglia. Si è rivolto al Codacons, che ha avviato l’iter per il riconoscimento del danno, ai sensi della legge 210 del 1992. Nel comunicato diffuso l’altro giorno, l’associazione segnala che l’autorità sanitaria «ha ora sancito il nesso causale tra la vaccinazione e l’insorgenza delle patologie denunciate in soggetto fino ad allora sano». Nei verbali, si legge che «il manifestarsi della piastrinopenia immunomediata cronica [...] costituisce certamente una reazione avversa grave [...] potenzialmente innescata» dall’iniezione.Il giudizio della Asl 3 di Genova e della commissione medica ospedaliera di La Spezia costituisce un precedente importante. Anche perché, come La Verità ha mostrato, non è facile accedere agli indennizzi, pure a fronte di pareri medico-legali che attestino i nessi di causalità tra malattie e vaccini. Nei due casi di cui vi avevamo dato conto, entrambi riferiti a inoculazioni con medicinali a mRna, il contributo economico non verrà corrisposto: secondo i legali delle vittime, perché le tabelle statali non sono aggiornate (risalgono al 1981) e non includono i disturbi in cui sono incorsi i cittadini menomati dal preparato di Pfizer; altri esperti hanno rilevato, invece, che l’erogazione dell’assegno non è obbligatoria al di sotto del 74% di invalidità. Una soglia che, tuttavia, è già molto alta: un invalido al 70% può non essere più in grado di vivere una vita normale e magari nemmeno di lavorare.Finora, solo in altre due circostanze la giustizia aveva riconosciuto il diritto a un risarcimento, a beneficio degli eredi di due insegnanti morte in seguito alla somministrazione di Astrazeneca. Le povere docenti stroncate dal vaccino erano Zelia Guzzo, 37 anni, come F.E.P., che si è salvato ed è riuscito ad avere il vitalizio, deceduta il 22 marzo 2021; e Francesca Tuscano, 32 anni, scomparsa il 4 aprile 2021. Tre giorni prima che Sergio Abrignani del Cts, successivamente molto critico sull’opportunità di rifilare Vaxzevria ai giovani, rilasciasse un’intervista alla Stampa, nella quale invitava a non pensare «solo ai rari casi di trombosi» provocati da Astrazeneca. Dieci giorni più tardi, Roberto Speranza si mise a minacciare chi si permetteva di rifiutare la puntura con il siero anglosvedese: «Finirà in coda», ammoniva, facendo leva sulla paura degli italiani di rimanere indifesi dinanzi al virus.Sulla questione delle reazioni avverse ai vaccini anti Covid urge un ribaltamento totale di prospettiva. L’ex ministro ha avuto la faccia tosta di apostrofare i danneggiati che erano andati a contestarlo, accusandoli di essere pagati dalla trasmissione Fuori dal coro per «fare casino». Giorgia Meloni, al contrario, ha promesso che andrà «fino in fondo» alla questione, mentre Orazio Schillaci, rimarcando che il governo è «sensibile» al tema e che esiste già, nel suo dicastero di lungotevere Ripa, una commissione che indaga sugli effetti collaterali dei farmaci, ha assicurato che il gruppo di studio verrà potenziato. Balla ancora, invece, l’impegno a dotare di 1 miliardo il fondo per i risarcimenti, come la stessa leader di Fdi aveva chiesto a Mario Draghi, a dicembre 2021. Certo, il Superbonus ha squassato i conti pubblici e le risorse a disposizione sono limitate. Lo è ancora di più la pazienza di chi si è fidato della scienza e se n’è pentito per sempre.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ragazzo-risarcito-vita-danni-vaccino-2668216544.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="luscita-di-scena-di-tutti-i-concorrenti-rende-pfizer-e-moderna-monopolisti" data-post-id="2668216544" data-published-at="1715323730" data-use-pagination="False"> L’uscita di scena di tutti i concorrenti rende Pfizer e Moderna monopolisti Uno dopo l’altro, come birilli, tutti i vaccini anti Covid che avrebbero dovuto essere disponibili sul mercato dal 2020 in poi sono ormai caduti sul campo di battaglia, a eccezione di Pfizer e Moderna che sono diventati di fatto, tra vaccini e monoclonali, i grandi monopolisti della pandemia. Il recente ritiro di Astrazeneca è infatti l’ultimo di una lunga serie: il primo giugno 2023 i regolatori della Food and grug administration (Fda) avevano già revocato l’autorizzazione di emergenza per il vaccino Johnson su richiesta della stessa azienda produttrice Jannsen per «troppe dosi scadute» e crollo della domanda negli Usa. In realtà il preparato, somministrato in una sola inoculazione, aveva dovuto affrontare problemi legati a un disturbo della coagulazione raro e potenzialmente mortale, valutato da Fda più preoccupante delle «rare miocarditi» causate dai vaccini Pfizer, somministrati a miliardi di giovani. Il 12 ottobre è toccato al vaccino austriaco Valneva (inattivato, adiuvato, adsorbito), la cui autorizzazione è stata revocata dalla Commissione europea. L’11 marzo 2024, sempre per decisione della Commissione Ue, è stato annullato il via libera anche al vaccino Vidprevtyn Beta (ricombinante, adiuvato) della francese Sanofi Pasteur. Non ha neanche visto la luce il famoso «vaccino italiano», progettato dal ricercatore Iss Maurizio Federico, noto per la triste vicenda del decesso della figlia Lisa, che vede indagato il professor Franco Locatelli, ex direttore Cts. Federico lavorava su un vaccino non basato sulla tecnologia a mRna, ma il governo italiano non volle dar seguito. Infine, come riportato da un comunicato Ema lo scorso 27 marzo, anche il vaccino anglosvedese Astrazeneca (Vaxzevria) è stato ritirato a seguito della richiesta presentata dalla stessa azienda farmaceutica il 5 marzo 2024. Per i quattro preparati - Johnson, Valneva, Sanofi e Astrazeneca - il ritiro è scattato su istanza delle stesse aziende farmaceutiche per ragioni commerciali, che non sembrano giustificare addirittura la richiesta di revoca delle autorizzazioni conquistate nel 2020. Era davvero necessario? In una conversazione pubblica di novembre 2020 con Bill Gates, Anthony Fauci aveva parlato del business dei nuovi farmaci anti Covid. «II piano (di chi e quale?, ndr) è che ci sia più di un “vincitore”», spiegava Fauci, aggiungendo di voler vedere «quattro, cinque vincitori». L’ex consulente scientifico di Joe Biden ci teneva a fugare il dubbio che una sola azienda, americana per di più, detenesse il monopolio dei vaccini. E invece è andata proprio così: la colossale operazione commerciale è servita a imporre ai cittadini di tutto il mondo occidentale il business del secolo. I farmaci a mRna prodotti dalle aziende statunitensi Pfizer e Moderna hanno di fatto cannibalizzato tutti gli altri concorrenti europei, imponendosi sul mercato degli immunizzanti anti Sars Cov-2, e non solo: le terapie geniche mRna che si stanno studiando nei laboratori Usa saranno diffuse per affrontare le malattie dei prossimi 50 anni. Dietro c’è stata sicuramente una sorta di spartizione delle fette di mercato che garantisse il monopolio dell’mRna alle sole Pfizer e Moderna. Ma è stata anche una misura precauzionale: con le prime sentenze di condanna per eventi avversi, continuare a commercializzare il prodotto avrebbe potuto aprire un varco giudiziario per bypassare le clausole di esenzione di responsabilità. Morale della storia: a oltre quattro anni dalla pandemia, i famosi «quattro, cinque vincitori» europei sono stati eliminati e il business dei vaccini è stato fagocitato dalle aziende Usa, non necessariamente perché hanno realizzato i farmaci «migliori» o «più sicuri», come dimostrano i processi avviati in tutto il mondo. In mezzo a quest’epica disfida commerciale sono finiti i cittadini, che hanno testato gratuitamente i prodotti per conto delle aziende che avevano fretta di immetterli sul mercato. Ma questa parte della storia, ancora non la vuole raccontare nessuno.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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