
Rischia di finire nel dimenticatoio il fittone, amaro e salutare in tempi in cui si guarda più all'apparenza che alla sostanza. In Italia sono rimasti solo quattro produttori per una pianta che è un concentrato di benessere: una sorta di farmacia vegetale.È povera, amara e ingiustamente accusata di provocare imbarazzanti espulsioni di gas intestinali. Cominciamo con l'assolverla da questa ingiusta e ingiuriosa colpa: non è la radice amara a provocare gas intestinali. Al contrario, è proprio questo carotone bianco, come sostengono medici ed esperti, a liberare il ventre dai perniciosi ristagni gastrici. Il risultato è sempre lo stesso, è vero, ma come direbbe Shrek, l'orco buono del cinema, «meglio fuori che dentro».Triste storia quella della radice amara in tempi come i nostri in cui il largo pubblico dei consumatori acquista frutta e verdura con la puzzetta al naso e guarda, più all'apparenza che alla sostanza. Il destino del Cichorium intybus sativum- questo il nome scientifico dato alla pianta da Carlo Linneo, naturalista svedese del '700- sembra ormai segnato: finire nel dimenticatoio, nel limbo delle verdure obliate se è vero che sono rimasti in tutt'Italia solo quattro produttori. Si fa sempre più fatica a trovare l'ortaggio nei supermercati e negli ortofrutta. La speranza sta nei giovani agricoltori che lo stanno riscoprendo, nei verdurai intelligenti che lo propongono e nei mercatini a chilometri zero dove si trova ancora.Vade retro radice amara? Speriamo di no. Se accadesse sarebbe un grave errore da parte di noi acquirenti e una vergognosa ingratitudine storica. Un errore perché la radice amara è uno degli ortaggi invernali più salutari che ci siano. È un concentrato di benessere, una farmacia vegetale. Il nutriente ortaggio che resiste impavido ai rigori dell'inverno favorisce la digestione, depura il sangue, disintossica l'organismo e, aiutando l'organismo ad assorbire il ferro, combatte l'anemia. La radice amara è lassativa e antinfiammatoria, aiuta il fegato, i reni e l'intestino grazie all'inulina, una sostanza che facilita il proliferare di batteri buoni nell'intestino favorendo la nostra capacità di assimilare le sostanze nutritive. L'inulina è utile anche per chi soffre di diabete. Depura il fegato stimolando l'eliminazione della bile. I nostri nonni consideravano la radice amara, oltre che un ottimo cibo nell'alimentazione invernale, una «terapia» per liberare l'organismo dalle tossine accumulate nella brutta stagione.Dimenticare il Cichorium intybus sativum è, anche, una irriconoscenza storica perché la radice amara divide con la polenta il merito di aver allontanato nei periodi bui della storia italiana lo spettro della fame da migliaia di famiglie contadine, operaie e della piccola borghesia che a causa della guerra o di calamità non potevano permettersi il pane quotidiano. E tanto meno il companatico.La cicoria comune è una pianta della famiglia delle asteraceae che si presenta con foglioline lanceolate e fiori bianchi o azzurri, la radice è a fittone. A darle fama, fin dall'antichità, non sono state soltanto le qualità alimentari, ma anche le proprietà salutari, molte delle quali riconosciute scientificamente al giorno d'oggi. La radice amara era ben conosciuta e tenuta in ottima considerazione 1.500 anni prima di Cristo. Era molto diffusa nell'antica Grecia e a Roma dove i medici la consigliavano come medicina per i malanni del fegato. Plinio testimonia che anche gli antichi egizi conoscevano molto bene le sue virtù. La radice del Cichorium intybus sativum conobbe una certa popolarità per merito di Napoleone Bonaparte. Quando l'imperatore impose il blocco continentale alle navi inglesi, condannò la Francia e i paesi alleati al mancato rifornimento di alcuni generi provenienti dall'America, tra i quali il caffè. Si ricorse, così, alla radice della cicoria comune: essicata, tostata e macinata si rivelò un ottimo succedaneo della nera bevanda. In quell'occasione la pianticella si guadagnò il nome di cicoria da caffè.Il surrogato divenne popolare in Italia nel ventennio fascista quando, con le sanzioni contro Mussolini prima, la guerra poi e l'immediato dopoguerra ancora dopo, il vero caffè diventò merce da borsa nera. Amalia Moretti Foggia, in arte Petronilla, che teneva una rubrica di cucina sulla Domenica del Corriere e scrisse un libro intitolato 200 suggerimenti per questi tempi (era il 1943) consigliava diversi tipi di surrogati di quel «profumato e leggermente eccitante caffè» che in quei tempi di guerra non si trovava più. Tra gli altri consigliava l'astragalo, l'orzo, il frumento, la trigonella ed «ecco la radice torrefatta e macinata della cicoria prestarsi a colorare ognuno degli anemici caffè di questi tempi». Ancor oggi si fa uso di caffè di cicoria, considerato bevanda macrobiotica, per motivi salutistici. Non ha l'aroma né il gusto dell'arabica o del robusta, ma grazie all'inulina contenuta ha proprietà digestive e stimolanti, un vero balsamo per l'intestino.Le radici del Cichorium intybus sativum, chiamata popolarmente cicoria da radice, cicoria da caffè (gli inglesi la chiamano chicory e coffeeweed - erba da caffè -, i francesi chicorée) erano molto apprezzate in tavola fino ad una cinquantina d'anni fa. Non solo lessate e condite semplicemente con olio, sale e pepe, che era ed è il modo più comune di mangiarle, ma anche tagliate a rondelline e poi fritte, imburrate e cotte al forno, bollite e condite con aglio e salsa d'acciughe, a crocchette, in frittata, gratinate, nel minestrone o in cento altri modi che la fantasia culinaria suggerisce. L'ortaggio conobbe il maggior successo nell'immediato dopoguerra. Poi iniziò il declino. La radice amara cominciò a pagare lo scotto di essere una verdura povera in un mondo di cibi sempre più ricchi e siccome gli italiani non si sentivano più povera gente, fu messa pian piano da parte. Ma la radice amara, ortaggio combattivo, non si rassegna a sparire dalle insalatiere e dai piatti degli italiani senza opporre resistenza. C'è un paese in provincia di Cremona, Soncino, che lega il suo nome a una pregiata qualità di Cichorium intybus sativum chiamata radice di Soncino. In questo territorio la radice amara è riverita come una regina e ogni anno, da oltre 50 anni, alla quarta domenica di ottobre - la prossima, la 53ª, si tiene il 27 ottobre - le viene dedicata la Sagra della radice amara con oltre 100 banchetti di vendita e di degustazionei.Ma è in un altro piccolo comune lombardo della bassa bresciana, Mairano, che si concentra la produzione di Cichorium intybus sativum grazie all'interesse e alla passione di giovani agricoltori che sono riusciti a valorizzare il loro prodotto con la De. Co., denominazione comunale, «Le radici di Mairano». Uno di questi giovani, il trentenne Giuseppe Cazzoletti, erede di una famiglia che coltiva l'ortaggio invernale da tre generazioni, ha raccontato a Italiafruit news, network d'informazione per i professionisti dell'ortofrutta, che in Italia sono rimaste solo quattro aziende a produrre le radici amare su una superficie di una novantina di ettari. Un numero spaventosamente basso rispetto ai 200 agricoltori che prosperavano negli anni Cinuquanta del secolo scorso. «Il problema è», spiega Cazzoletti, «che molti buyer ortofrutta non conoscono le radici amare, non sanno come si cucinano, né che numerosi dietologi e nutrizionisti le considerano una vera e propria medicina naturale. Molte persone comperano integratori contro i problemi intestinali, ma basterebbe mangiare un piatto di radici amare a settimana per non averne più. E spendendo molto, ma molto meno».
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