2019-07-11
«Quest’estate sonni sereni senza zanzare»
L'agronomo Marciano Huancahuari le combatte da più di 20 anni: «Il freddo le ha decimate, non riusciranno a riprodursi in massa. Nel 1996 le eliminai dalle risaie grazie alla gambusia, un pesce vorace. Poi l'hanno proibito. Da allora la “tigre" si è rafforzata: resiste pure agli spray».«Il 2003 fu un anno catastrofico. Senza dubbio, il punto più basso della mia carriera. Quando ci recammo in risaia a metà aprile, il caldo era tale che le prime generazioni di zanzare si erano già ampiamente sviluppate. Intervenimmo subito, ma ormai era troppo tardi».Nel ricordare la cocente débâcle professionale, Marciano Huancahuari sembra un reduce di guerra di ritorno da una campagna sanguinosa. Nato 55 anni fa ad Ayacucho, nella provincia di Huamanga, Sud-Ovest del Perù, l'agronomo sudamericano risiede dal 1988 a Vercelli, dove si trasferì con una borsa di studio per specializzarsi in risicoltura. Cominciò a occuparsi di zanzare nel 1996, un anno dopo la legge regionale che introdusse i primi interventi a livello sperimentale. «Allora si impiegava la gambusia, predatore principe dei mosquito, un piccolo pesce voracissimo che si riproduce nei fossati della Toscana: 1.500 individui per un ettaro di risaia. Ripulivano tutto. All'inizio del Duemila, però, l'utilizzo fu bloccato perché le normative stabilirono che i pesci dovevano essere autoctoni, non introdotti».Oggi, il referente tecnico scientifico di Ipla (Istituto per le piante da legno e l'ambiente) per il comune di Vercelli e Santià è tra i luminari più accreditati in Italia nella battaglia contro gli insetti più molesti del globo terracqueo. In Piemonte, lo chiamano «il killer delle zanzare». Non senza cognizione di causa. Nel 2007, infatti, Huancahuari ha concepito una tecnica di lotta nelle risaie e nei campi adottata anche oltreconfine: mescolare i semi al Diflubenzuron, un formulato larvicida a basso impatto ambientale, sincronizzando di fatto la semina con la disinfestazione. «Un sistema che precedeva la distribuzione, tramite elicottero, del bacillus thuringiensis: batterio che, una volta ingerito, fa scoppiare lo stomaco della zanzara provocandone la morte. I risultati erano sorprendenti». Senonché, la mannaia della spending review finì per abbattersi anche sull'eterna disputa tra uomo e zanzara. Nel 2014, la Regione tagliò i fondi. «Da quasi 5 milioni, si passò a circa 1 milione di euro per 180 comuni. Ciò costituì la fine delle operazioni in risaia».Un riconoscimento per avere ideato un metodo esportato in Europa, almeno, lo ha ricevuto?«Niente. Neanche le royalty. Però è stata la soddisfazione più grande della mia carriera. Pensai: “Vi ho fregate!". Quell'estate, i giornalisti arrivavano increduli nel centro di Vercelli: “Davvero non ci sono più zanzare?"».Il suo cognome significa qualcosa?«In lingua quechua, vuol dire monolito. Grande pietra».Un simbolo di solidità. Tuttavia, viene da chiedersi cosa c'entri con le zanzare un uomo nato a quasi 3.000 metri sul livello del mare.«(Sorride) Poco, in effetti. Non esistono zanzare ad Ayacucho. Per trovarle, bisogna scendere nelle valli o nelle zone paludose».Ci dica: quest'estate potremo dormire sonni tranquilli?«Direi di sì. Il freddo che si è protratto a oltranza ha fatto in modo che la prima generazione di zanzare, la più importante, vedesse la luce con due mesi di ritardo. Per intenderci, un uovo che si schiude ad aprile, a giugno avrà prodotto 300 zanzare. Le larve percepiscono la temperatura ambientale: se è avversa, rimandano la schiusa. Arrivando tardi, non hanno avuto il tempo materiale per riprodursi copiosamente».Il caldo torrido delle ultime settimane, dunque, non è bastato.«Fino ai primi di giugno, la popolazione era bassissima. Si è alzata improvvisamente nelle ultime tre settimane, ma le trappole installate nei centri urbani ci dicono che la situazione è sotto controllo».Trappole?«Sono strumenti di monitoraggio. Simulano la presenza dell'uomo attraverso l'emissione di CO2, con piccole ventole che risucchiano le zanzare in una rete. Quando la popolazione è bassa, non supera i 100 individui per trappola in un raggio di 50 metri. Almeno, qui nel Vercellese».In che senso?«Ogni zona ha la sua soglia di tolleranza. È una questione di abitudine. Se una trappola collocata nel centro di Milano cattura 20 individui, il cittadino ha la percezione di essere invaso dalle zanzare. Le racconto un aneddoto».Prego.«Nel 2012, mi chiamarono dalla Sardegna perché erano morte quattro persone e una cinquantina di cavalli a causa della febbre del Nilo: “Venga! Qui è pieno di zanzare!". Quando arrivai sul posto, domandai: “Ma dove sono?". Per dirle quanto la percezione può essere soggettiva. Comunque, mi trattenni due anni per studiare il problema».Come lo risolse?«La malattia era stata trasportata dagli uccelli migratori. Dopodiché le zanzare, pungendoli, avevano trasmesso il virus a persone e animali. Si trattava, però, di piccoli focolai presenti nei laghetti e negli stagni. Risolsi il problema con la gambusia».Mi tolga una curiosità: in quella Caporetto del 2003, le sue trappole quante zanzare catturavano?«Arrivarono a catturarne 2.000. Ciò significa che se una persona stava ferma, poteva essere punta da migliaia di zanzare. Se lo immagina? A Vercelli esiste un modo di dire: “Ieri sera, le zanzare mi hanno alzato di peso"».Espressione che rende l'idea.«Già. Quella sconfitta, però, servì a mostrare i punti deboli della lotta biologica con il bacillus thuringiensis e mise le basi per l'invenzione di un nuovo metodo. In dieci anni, il numero delle zanzare intrappolate scese da 2.000 a 100».Come è arrivato a diventare uno dei massimi esperti di zanzare?«Prima che mi trasferissi a Vercelli, era pieno di biologi che si occupavano di lotta alle zanzare. In quanto tali, conoscevano alla perfezione il ciclo biologico dell'insetto, ma ignoravano la parte agronomica. Non avevano idea di come venisse coltivato il riso».Spieghi.«L'agricoltore mette e toglie ciclicamente l'acqua: questo procedimento favorisce in maniera esponenziale lo sviluppo della specie Aedes, tipica delle risaie. La zanzara depone le uova sul terreno bagnato o asciutto, presagendo che verrà sottoposto a sommersione. Non appena si allaga, le uova si schiudono».Spiace quasi ammetterlo, ma l'organizzazione è mirabile.«Altroché. Pensi che le uova non si schiudono mai all'unisono. Questo per evitare che, una volta decimata la prima generazione, la riproduzione sia del tutto compromessa. Ecco perché il bacillus thuringiensis non bastava: essendo biodegradabile, deperiva nell'arco di poche ore. Un problema risolto dal Diflubenzuron, che resta sul terreno una decina di giorni. Lo sa che il maschio nasce un giorno prima rispetto alla femmina? Il tempo di sviluppare il suo apparato riproduttivo. Non appena nasce la femmina, si accoppiano».Eppure, si dice che le zanzare siano totalmente inutili.«Nient'affatto. Fanno parte della catena alimentare: sono uno spuntino prelibato per piccoli pesci e libellule».Adesso che non opera più nelle risaie, come si articola il suo lavoro?«Beh, si è ridotto notevolmente. Controllare oltre 6.000 ettari di risaie era impegnativo, avevo un gruppo di 30 tecnici di campo per monitorare le zone infestate. Ora siamo in due. Si continua ad agire per colpire le zanzare allo stadio larvale, ma operiamo nei centri urbani, concentrandoci su tombini e caditoie stradali. O nelle campagne, assistendo gli ortisti».Da quando cominciò a studiarla, 20 anni fa, la zanzara si è evoluta?«Più che di evoluzione, parlerei di adattamento. La zanzara tigre, per esempio, che in Oriente (da dove proviene) viveva soltanto nei boschi riproducendosi nelle cavità umide degli alberi, ormai prolifera ovunque si creino piccole pozze».Questa capacità di adattamento l'ha resa immune a unguenti e soluzioni spray antipuntura?«In parte sì. Ha sviluppato un'abitudine ai repellenti, utili perlopiù a dirottarla altrove, dato che coprono l'odore del sudore, un richiamo fortissimo per la zanzara».Il vecchio Zampirone, invenzione ottocentesca del chimico padovano Giovanni Battista Zampironi, è ancora piuttosto in voga.«Peccato che sia più nocivo per gli uomini che per le zanzare».Sfatiamo qualche mito: cosa le attrae davvero?«A parte il sudore, il respiro e il calore della pelle».Esiste una correlazione tra l'alimentazione dell'uomo e la sua appetibilità ai sensi della zanzara?«Non direttamente. Certo, se una persona mangia alimenti che ne aumentano la sudorazione, questo può influire. Le persone obese, per esempio, sono prede molto ambite».Una volta punti, qual è il rimedio più efficace contro il prurito?«Alcol, oppure un lavaggio con acqua e sapone. Aiuta a eliminare l'enzima anticoagulante rilasciato dalla zanzara per succhiare il sangue in tutta tranquillità. Diversamente, si strozzerebbe. È quello la causa del prurito».Negli ultimi anni, si è fatto un certo parlare della catambra, pianta originaria dell'America boreale che sarebbe in grado di allontanare le zanzare.«Esistono diversi studi su diversi tipi di piante. C'è chi sostiene che il caffè sia un repellente naturale. O il geranio. Tutt'ora, io utilizzo l'aglio aggiungendolo ai formulati chimici in modo che, una volta uccise le zanzare, l'odore rimanga sulla pianta facendo da repellente».Mangiare aglio, quindi, può rappresentare una valida strategia?«Sì, se assunto in grandi quantità. Poi, però, si rischia di diventare repellenti per gli amici».Ho letto che, a Vercelli, lei è l'unico a non possedere le zanzariere. Una leggenda?«No, è vero. Ho scelto di non installarle per principio».Oltre a essere uno sterminatore di zanzare, per 30 anni ha insegnato kung fu. Esiste qualche punto di contatto tra le due arti?«Il rispetto dell'avversario. E lo studio finalizzato a batterlo».Ma il rispetto dell'avversario c'è anche da parte delle zanzare?«Certo. Per questo pungono solo i miei figli».
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.