2023-01-03
Quei diavoli in Vaticano all’attacco di Benedetto
Georg Gänswein (Getty Images)
Le inequivocabili parole del segretario personale Georg Gänswein: al Pontefice fu mossa guerra dal «partito» sconfitto nel conclave del 2005. E adesso la sua morte rompe un equilibrio precario.Per i profani la cosa potrebbe avere spiegazioni soltanto umane, ma in realtà la lotta riguarda alla fine «le potenze dell’aria». A pochi giorni dalle esequie del Papa «emerito» Benedetto XVI, il clima di lutto e di sincera commozione che si riscontra nella Chiesa e nei commenti rischia di nascondere ciò che da sempre colpisce la Chiesa stessa, l’opera del «divisore», il diaballo, colui che separa e getta zizzania. Il diavolo, insomma.Lo ha tirato in ballo monsignor Georg Gänswein, lo storico segretario di papa Joseph Ratzinger, in una intervista pubblicata ieri da Repubblica e concessa a Ezio Mauro. Negli anni del pontificato di Ratzinger, quelli di Vatileaks, degli abusi, dello Ior, chiede Mauro, lei ha «sentito la presenza del diavolo»? «L’ho sentito in realtà molto contrarie, contro papa Benedetto», ha risposto secco padre Georg. L’intervista, concessa pochi giorni prima della morte del Papa emerito, mette in chiaro innanzitutto, e per l’ennesima volta, che le dimissioni di Benedetto XVI non sono avvenute sotto una specie di ricatto. Le sue sono state dimissioni «libere» e dettate da una valutazione personale di Ratzinger, che non avrebbe avuto le forze fisiche per continuare a svolgere bene quel ministero. Molti amici di Benedetto XVI non erano affatto d’accordo con quella scelta, nemmeno Gänswein, che lo ammette nella stessa intervista. Quelle dimissioni hanno reso felici soprattutto gli avversari di Benedetto XVI, ma non tanto per questioni di potere spicciolo, ma proprio per ciò che hanno rappresentato in termini di ecclesiologia e per l’interpretazione della figura del pontefice. Questioni radicali, profonde, linee di faglia su cui la chiesa trema. Su cui le «potenze dell’aria» si avventano con rabbia.L’elezione di papa Francesco nel conclave del 2013, quello appunto convocato per supplire alla vacanza della sede apostolica in seguito alla rinuncia di Benedetto XVI, è stata più volte raccontata come la rivincita del «partito» sconfitto, se così si può dire, nel conclave del 2005. Sempre Gänswein ebbe a dire che l’elezione di Benedetto XVI fu il frutto di «una drammatica lotta tra il cosiddetto “Partito del sale della terra” (“Salt of earth party”) intorno ai cardinali López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela o Medina e il cosiddetto “Gruppo di San Gallo” intorno ai cardinali Danneels, Martini, Silvestrini o Murphy-O’Connor». Proprio l’agenda del cardinale Carlo Maria Martini, da lui espressa sinteticamente nel sinodo del 1999, è in qualche modo considerato un manifesto dei liberal: allentamento delle questioni morali (con erosione delle encicliche Humanae vitae di Paolo VI e Veritatis splendor di Giovanni Paolo II); nuovo ruolo delle donne; ordinazione di preti sposati; Chiesa in sinodo permanente. Bastano questi accenni per comprendere come il vaticanista Sandro Magister già nell’ottobre 2013, a pochi mesi dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio sul soglio di Pietro, intitolava un suo articolo «Martini Papa. Il sogno divenuto realtà». Questa faglia, come dicevamo, ha una profondità abissale e non può essere negata. Francesco è il Papa regnante e Benedetto è stato per dieci anni il Papa «emerito», tra loro si sono certamente rispettati e riconosciuti, mettendo in atto una convivenza serena e di collaborazione, ma ovviamente si tratta di due personalità ben diverse e distanti. Nemmeno Benedetto XVI, come ha dichiarato lui stesso al suo biografo Peter Seewald, si aspettava l’elezione del cardinale Bergoglio, forse, come ebbe a dire incautamente proprio il cardinale Martini, perché si attendeva che «ci sarà un conclave che sceglierà. Magari [Angelo] Scola» (parole di Martini in un dialogo con Renata Patti, ex membro del movimento dei Focolari, riportate nel libro Dall’abuso alla libertà. Derive settarie all’interno della Chiesa. Testimonianze e riflessioni, edizioni Mols). In ogni caso, i dieci anni di Pontificato di Francesco hanno convissuto con i dieci anni di vita da «emerito» di Ratzinger, dieci anni in cui le due anime della faglia tellurica ecclesiale si sono scontrate, fin da subito, fin dal doppio sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015. In qualche modo papa Benedetto, pur in un sostanziale silenzio, ha fatto da contrappeso al Pontificato di Francesco, non solo in una interpretazione giornalistica polarizzante, ma proprio all’interno del corpo ecclesiale. Per qualcuno Benedetto è stato un freno reazionario, per altri un katechon che continuava a svolgere la sua azione.Poi Vatileaks, lo scandalo abusi, a cui peraltro proprio Benedetto ha dato le spallate più forti da cardinale e da Pontefice, presunte lobby gay, scandali allo Ior, tutto ciò è certamente emerso in superficie. Perché quel demonio che Gänswein ha visto in azione «contro papa Benedetto» abita certamente il mondo e nulla ha fatto passare al «pastore tedesco», per riprendere un tagliente giudizio dato su papa Ratzinger appena eletto. Ma al demonio piace girare intorno all’altare e prendere le forme di un deep state ecclesiale che non si annida solo in curia a Roma, ma abita gli episcopi, le università, i seminari, i movimenti, le associazioni, e che alimenta quella faglia profonda circa la trasmissione della fede, la sua tradizione e il suo sviluppo, il rapporto tra la fede e la storia. Qui Ratzinger ha trovato i suoi detrattori, qui ha trovato il nemico più ostico. Come disse papa Paolo VI, dopo il Concilio Vaticano II gli sembrava che «da qualche fessura» fosse «entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». E ora? La morte di Benedetto XVI in un certo senso potrebbe rendere ancor più difficile persino il pontificato di Francesco, non tanto per chissà quali attacchi di conservatori, quanto per lo scarso abbrivio che ormai sembra avere, tanto che persino taluni suoi «amici» potrebbero essere delusi e guardare oltre. Sporgendosi verso un nuovo conclave è da un po’ che si sentono grandi manovre, ma il panorama dei cardinali elettori oggi si dimostra ben difficile da leggere con le categorie valide per i conclavi del 2005 e 2013. Ma quella faglia c’è ancora. Di certo oltre 80 cardinali su quasi 130 elettori li ha nominati papa Francesco, molti però li ha creati prendendoli dalle «periferie» e le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Perché il demonio, si dice, fa le pentole, ma non i coperchi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)