2025-02-26
Adesso anche Putin offre a Trump un accordo sulle terre rare russe
Donald Trump e Vladimir Putin (Ansa)
Volodymyr Zelensky vicino alla firma dell’intesa con gli Usa per lo sfruttamento dei minerali ucraini. L’Europa insiste: «Serve la forza». Ma intanto sull’ingresso di Kiev nell’Unione la presidenza di turno polacca frena.Le trattative per raggiungere la pace in Ucraina avanzano lentamente, ma potrebbero presto giungere a un punto di svolta decisivo. Nonostante le criticità presenti sul tavolo dei negoziati siano ancora molte, tra cui la proroga della legge marziale votata dal Parlamento ucraino che di fatto blinda Volodymyr Zelensky e rimanda alla conclusione del conflitto qualsiasi ipotesi di elezioni a Kiev, il riallacciamento delle relazioni diplomatiche tra Casa Bianca e Cremlino, grazie all’impulso dato da Donald Trump che ha annunciato di voler incontrare a breve sia il leader di Kiev che Vladimir Putin, ha quantomeno smosso le acque di una situazione che era divenuta stagnante, in particolar modo per l’Europa.Tra le notizie passate un po’ in sordina ieri, c’è stata l’improvvisa apertura di Mosca alla partecipazione dell’Ue ai negoziati. Un’apertura arrivata a distanza di 24 ore dalla dichiarazione con cui il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, nel commentare il 16° pacchetto di sanzioni approvato da Bruxelles, faceva intendere tutt’altro, affermando che al momento non ci fosse «nessuna condizione per riprendere il dialogo con l’Europa». Un segno forse di distensione che tuttavia non è stato ancora raccolto, considerando che nel Vecchio continente, in questa delicata e decisiva fase negoziale, predominano ancora i fattori delle armi e della forza. In tal senso, a ribadire la linea espressa lunedì all’International summit dai leader Ue, in visita a Kiev per celebrare il terzo anniversario dell’invasione, è stato ieri Keir Starmer. Il premier britannico, alla vigilia della visita alla Casa Bianca, ha annunciato in un discorso alla Nazione che evidenzierà a Trump la necessità di raggiungere una pace attraverso la forza: «I tiranni come Putin capiscono solo il linguaggio della forza», ha affermato il primo ministro laburista, il cui viaggio a Washington segue quello di Emmanuel Macron. Il leader francese, oltre al siparietto in conferenza stampa in cui ha interrotto e corretto il tycoon sulle modalità con cui l’Europa ha finanziato fin qui l’Ucraina, si è reso indirettamente protagonista della demolizione di uno dei capisaldi Ue sbandierato a più riprese da Ursula von der Leyen, ovvero l’utilizzo degli asset russi congelati per la ricostruzione del Paese invaso. «Abbiamo 230 miliardi di beni russi congelati in Europa, ma questi non vengono usati come garanzia per un prestito, perché non ci appartengono. Sono congelati. Se, alla fine, coi negoziati con la Russia si dovesse arrivare al punto in cui loro sono disposti a cederli, benissimo, si trasformerebbero in un prestito e sarebbe la Russia ad aver pagato per questo», ha detto Macron. In sostanza, con buona pace del presidente della Commissione europea e come spiegato più volte su queste pagine da Giuseppe Liturri, è praticamente impossibile prendere quei soldi e spenderli per la ricostruzione postbellica o per qualsivoglia altro motivo, poiché farlo andrebbe a scardinare un fondamento del diritto economico internazionale in base al quale la soluzione sponsorizzata da Ursula diventerebbe un’arma boomerang che in futuro altri Paesi, come Cina, India o Russia stessa, potrebbero usare contro di noi. Uno schiaffo che fa il paio con quello arrivato da Varsavia in merito all’altro cavallo di battaglia portato avanti e ribadito lunedì a Kiev dalla Von der Leyen, relativo all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione da finalizzare entro il 2030. Il ministro degli Affari esteri polacco, Adam Szlapka, ha infatti palesato la mancanza di unanimità all’interno dei 27: «Come presidenza polacca siamo determinati a supportare l’Ucraina e progredire con il processo di allargamento. Sarà una discussione difficile perché non c’è unanimità tra gli Stati membri. Siamo determinati ad andare avanti in questo processo ma non possiamo parlare di date». Due intoppi, dunque, che rappresentano le velleità di Bruxelles di ritagliarsi un ruolo da protagonista al tavolo delle trattative, ma che la vedono frustrata di fronte a chi ha deciso di affrontare con azioni concrete la risoluzione della crisi ucraina.Entrando nel merito delle trattative, ad assumere un peso specifico importante è il tema delle terre rare. Il pressing di Washington affinché Kiev accetti l’accordo sulla cessione del 50% delle risorse minerarie presenti sul territorio ucraino è sempre più stringente. Lo stesso Trump ha scoperto le carte ammettendo che la finalizzazione di tale intesa può rappresentare la chiave di volta dell’intero negoziato di pace. «È essenziale che l’accordo sui minerali venga firmato e il presidente si aspetta che Zelensky lo firmi», ha affermato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, aggiungendo che tale accordo «è cruciale per recuperare i soldi dei contribuenti americani che hanno finanziato la difesa nazionale dell’Ucraina». Tuttavia, stando a quanto riportato ieri dal New York Times, la seconda bozza proposta dagli Stati Uniti è stata ritenuta migliore rispetto alla prima dal governo di Zelensky, ma non ancora sufficiente in quanto non sarebbero incluse le garanzie di sicurezza richieste. Secondo il Financial Times la firma di Zelensky all’intesa sui minerali sarebbe vicina. Sempre riguardo alle terre rare, il Cremlino si è detto disponibile a valutare un accordo di cooperazione con Washington per l’estrazione dei minerali russi «perché gli Usa ne hanno bisogno e la Russia ne ha a sufficienza», ma solo dopo aver trovato una soluzione al conflitto. Mentre la Commissione europea ha fatto sapere che non c’è nessuna proposta che possa entrare in competizione con quella americana sulle materie prime in Ucraina.
Jose Mourinho (Getty Images)