2022-05-22
Putin conquista l’Azovstal ma se puntasse su Odessa rischierebbe la disfatta
Gli ultimi combattenti nell’acciaieria di Mariupol si sono arresi. Secondo molti analisti i russi non avrebbero numeri e forza militare per proseguire l’offensiva sul Mar Nero.La Russia costretta all’autarchia si mangia le aziende occidentali. Chi ha abbandonato ha favorito la nazionalizzazione. Un modo per aggirare le sanzioni.Lo speciale contiene due articoli.La Russia ha dichiarato la vittoria nella sua battaglia durata mesi per conquistare la città portuale ucraina di Mariupol, ridotta a un cumulo di macerie. Secondo il ministero della Difesa russo, Sergej Sojgu, «gli ultimi combattenti che difendevano l’acciaieria Azovstal della città si sono arresi, e la città e la sua acciaieria sono ora completamente liberate dopo che 531 soldati ucraini hanno lasciato il sito. Le strutture sotterranee dell’impresa, dove si nascondevano i militanti, sono passate sotto il pieno controllo delle forze armate russe». Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a questo proposito ha dichiarato che gli ultimi difensori rimasti all’interno dell’acciaieria hanno avuto il permesso di andarsene: «I ragazzi hanno ricevuto un chiaro segnale dal comando militare che possono uscire e salvarsi la vita» e così è stato. Per mesi le truppe ucraine si erano rintanate nell’immenso complesso, impedendo così alla Russia di stabilire il controllo completo sulla città. Ora l’evacuazione, terminata lo scorso 20 maggio, segna la fine dell’assedio più distruttivo della guerra, con la città di Mariupol che è completamente distrutta e dove si parla di almeno 25.000 vittime civili. Ma sull’intera vicenda restano molti interrogativi; nessuno conosce il numero esatto di combattenti che si sono arresi e che ora si trovano nel territorio controllato dalla Russia. Mosca afferma che più di 2.000 militari ucraini sarebbero nelle loro mani ma è un numero che non è mai stato confermato da Kiev mentre la Croce Rossa sostiene «di aver registrato centinaia di prigionieri di guerra». E quindi quanti sono? L’Institute for the study of war, con sede a Washington, sostiene «che i funzionari russi potrebbero provare a gonfiare il numero di soldati catturati per massimizzare il numero di prigionieri russi che possono essere scambiati se viene concordato uno scambio di prigionieri». Su questo c’è chi pensa che i numeri vengono gonfiati dai russi perché c’è l’imbarazzo nell’ammettere di essere stati bloccati per mesi da centinaia di ucraini piuttosto che da migliaia di resistenti. E cosa accadrà a coloro che sono usciti Azovstal e che fine faranno i membri del battaglione Azov? Il negoziatore russo e capo della commissione Affari esteri della Duma, Leonid Slutsky, ha dichiarato ieri che «la Russia valuterà la possibilità di uno scambio di prigionieri con l’Ucraina tra i combattenti del reggimento Azov e l’oligarca filorusso Viktor Medvedchuk», che era stato catturato il mese scorso dagli 007 di Kiev in un blitz avvolto nel mistero. A proposito dell’acciaieria Azovstal, Metinvest Ryzhenkov - la multinazionale proprietaria degli impianti - in una nota ha fatto sapere che «non lavoreremo mai sotto l’occupazione russa. Le nostre proprietà e le controllate restano a Mariupol e sono a rischio di distruzione o presa di controllo da parte dei russi. Ma se davvero gli occupanti sequestrano illegalmente i nostri beni, ci difenderemo con tutti i mezzi legali. Chiediamo agli europei e agli altri clienti di non comprare prodotti degli impianti di Mariupol finché noi, i soli proprietari, non ne avremo ripreso il controllo». Inoltre è allo studio una richiesta di danni miliardari al governo russo. Continua a salire la tensione anche in Moldavia che sente sempre di più il pericolo rappresentato dai separatisti filorussi della Transnistria che nelle scorse settimane si sono attivati con azioni destabilizzanti (finti attacchi dei quali sono stati accusati gli ucraini), che hanno alzato la tensione. Ora, il ministro degli Esteri britannico Liz Truss ha suggerito che «la Moldova dovrebbe essere armata secondo gli standard della Nato, anche se non è un membro dell’Alleanza e il Paese deve essere permanentemente in grado di difendersi». Ma la domanda che tutti si pongono è: ma Vladimir Putin ora che ha ridotto in macerie Mariupol e che sta per conseguire una piccola vittoria nel Donbass, dichiarerà la vittoria e la fine «dell’operazione militare speciale» oppure punterà al bersaglio grosso ovvero la città di Odessa? Secondo il generale di Corpo d’armata, Maurizio Boni, «i russi non hanno proprio i numeri e la forza militare sufficiente per proseguire lo sforzo verso Odessa perché adesso il disegno operativo di Putin è quello di impiegare le forze che ha utilizzato a Mariupol per rinforzare il fronte del Donbass a nord e quindi proseguire con lo sforzo principale che è quello dell’accerchiamento delle forze di Kiev da sud, in maniera tale da contribuire allo sforzo offensivo principale che è quello del Donbass. Con lo stesso raggruppamento di forze Putin dovrebbe poi andare verso Odessa, ma è molto difficile che questo disegno possa essere perseguito nei prossimi giorni perché non ha i numeri. Le forze dell’asse meridionale sono stremate. Per prendere Mariupol, Putin ha dovuto impiegare migliaia di mercenari ceceni e di unità della Guardia nazionale perché non ha forze convenzionali sufficienti per proseguire lo sforzo. Quindi, siccome non ha tempo e i comandanti russi sono pressati dalla necessità di conseguire obiettivi significativi in poco tempo, allora non concederanno la pausa operativa neanche a queste forze. Quindi i russi verosimilmente immetteranno queste forze senza ricondizionarle senza rinforzarle e senza nuovi mezzi e equipaggiamenti e quindi avranno anche una capacità molto limitata e di contribuire allo sforzo offensivo del Donbass. Figuriamoci se hanno i numeri e la possibilità di proseguire per Odessa. Quindi secondo me questa possibilità è molto, molto remota».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/putin-azovstal-odessa-rischierebbe-disfatta-2657366645.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-russia-costretta-allautarchia-si-mangia-le-aziende-occidentali" data-post-id="2657366645" data-published-at="1653176649" data-use-pagination="False"> La Russia costretta all’autarchia si mangia le aziende occidentali Dopo il caso della Renault sono molte le aziende che rischiano di finire nazionalizzate dal Cremlino in Russia. Nella lista nera ci sono 59 multinazionali tra cui Volkswagen, Apple, Ikea, Microsoft, Ibm, Shell, Porsche, Toyota, H&M. Oltre a queste il rischio è che l’occhio della Federazione russa finisca anche sulle società italiane. D’altronde, l’Italia è considerato un Paese ostile. Anche se l’Italia è terza (dopo Francia e Cina) nella classifica degli Stati con il più alto numero di imprese che hanno scelto di non lasciare il territorio russo. In totale, secondo la Yale school of management, sarebbero 773 le imprese straniere che operano in Russia. Dal 24 febbraio, giorno dell’invasione in Ucraina, oltre 500 avrebbero già scelto di lasciare il Paese, ma il resto è ancora presente e operativo. Più in dettaglio, il 17% del totale ha deciso di rimanere, il 12% di aspettare ancora prima di prendere una decisione e l’8% di ridurre la propria attività. Il problema è che questa nazionalizzazione potrebbe costare caro alle imprese occidentali. Il caso di Renault è emblematico. Sebbene non siano state diffusi particolari, all’interno degli asset ceduti dalla Renaul a Mosca, ci sarebbe anche lo stabilimento Avtovaz di Togliattigrad, impianto dove vengono prodotte anche i veicoli della Lada. Lo stabilimento da 3,2 milioni di metri quadri (che impiega 35.000 persone), con una capacità produttiva di 650.000 veicoli e 400.000 motori, dovrebbe essere stato ceduto per una cifra simbolica di un rublo. Una vendita, tra l’altro, con cui se ne va anche un pezzo d’Italia. Si tratta, infatti, di una gigafactory ante litteram nata negli anni Sessanta da una collaborazione tra la Fiat e le istituzioni dell’Unione Sovietica. Solo nel 2008 il Lingotto decise di cedere il complesso all’alleanza Renault Nissan. Quest’ultima programmò infatti di avviare qui la produzione dei modelli Dacia a marchio Renault destinati ai mercati in via di sviluppo. Cosa dire, poi, di McDonald’s. La catena di fast food è stata rilevata, dopo la sua uscita, da un gruppo che inizialmente aveva in franchising 25 punti vendita in Siberia e che ora ha rilevato tutti gli 850 ristoranti che il colosso degli hamburger aveva aperto a partire dal 1990, quando l’arrivo di Mikhail Gorbachev permise l’arrivo in terra russa dei grandi marchi occidentali. Ora tutto è cambiato di nuovo. I rischi di una nazionalizzazione di massa rischiano di portare la Russia 50 anni indietro, agli anni Settanta, quando l’unica religione era quella dell’autarchia russa secondo cui non c’era bisogno di ingerenze occidentali. Così, attraverso questo modo del tutto autarchico di aggirare le sanzioni, i russi dovranno dire addio alla Coca Cola per abituarsi alla CoolCola, alla Fancy (la Fanta in salsa sovietica) e alla Street (omologa della Sprite). Non solo, dovranno anche fare spallucce all’arrivo del Big Mac russo e ai mobili della Idea, la Ikea nazionalizzata russa. Pare essere questa, insomma, la nuova trovata del presidente Putin. Riavvolgere il nastro dell’apertura verso l’occidente e puntare su una nazionalizzazione che saccheggia (e scimmiotta) i grandi marchi occidentali. Intanto, l’Italia rischia di vedersi derubata da un giorno con l’altro delle sue aziende che operano all’interno della Federazione. Aziende che, come per la Renault, potrebbero essere cedute per un pugno di rubli. Portando altri danni all’economia italiana, dopo quelli già nati con le sanzioni che bloccano le esportazioni verso un mercato che, fino a pochi mesi fa, per noi valeva oltre sette miliardi di euro di esportazioni.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».