2025-07-25
Pure Volkswagen punta sugli Usa per sfuggire ai dazi. La Bce ha paura e non taglia
Il gruppo vuole diventare primo azionista dell’americana Rivian. Sempre più imprese investono negli States. Trattativa sul 15% in stallo: pagheremo le sbruffonate di Parigi.Chissà fino a quando il presidente degli Stati Uniti terrà con il fiato sospeso Bruxelles. Il possibile accordo per dazi al 15% raggiunto nel colloquio tra il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, e il collega americano, Howard Lutnick, attende il via libera dalla Casa Bianca. Non sarebbe la prima volta che Trump fa saltare il banco. Lo si è visto un mese fa quando la Ue sembrava avere in pugno un’intesa simile a quella raggiunta dal Regno Unito, cioè dazi al 10% ma -per l’alzata di testa del presidente francese Emmanuel Macron che avrebbe voluto che Bruxelles mettesse sul tavolo la pistola fumante delle ritorsioni per spuntare un risultato migliore - tutto è andato per aria. Alcune ricostruzioni dei media hanno attribuito proprio a questa posizione muscolare francese la decisione di Trump di porre dazi al 30%.Sefcovic ora ha un bel dire che il 15% «è il massimo a cui si può arrivare». E di certo lo è, considerando che si parte dal 30%, ma se sin dall’inizio, Bruxelles avesse adottato il pragmatismo inglese ora non saremmo a questo punto. Questo 5% in più, rispetto a quello che la Ue sembrava a un passo dall’ottenere solo un mese fa, probabilmente ce lo saremmo potuto evitare, giocando più di astuzia che di muscoli. La dietrologia vale ben poco, anche se Parigi non recede dalla sua strategia e continua a essere l’unica a chiedere di usare subito il bazooka.Sempre a causa della mancanza di una linea comune, Bruxelles ha dovuto accettare l’asimmetria delle condizioni. L’Europa infatti dovrebbe applicare la tariffa 0% o al massimo del 4,8% per i prodotti provenienti dagli States che avranno quindi un vantaggio importante a cui si aggiunge il moltiplicatore del deprezzamento del dollaro sull’euro. È la condizione capestro che la Ue sarà costretta a mandare giù, poiché l’alternativa, ovvero i dazi al 30%, sarebbe ben più amara. E ci sono ancora alcuni temi in sospeso. L’Europa ha chiesto che il 15% sia applicato a tutti i settori merceologici o che non rientrino nelle eccezioni con tariffe più alte tre settori: le auto, i farmaci e i semiconduttori. Trump potrebbe confermare le attuali soglie che sono più alte del 20%. Va ricordato che Italia e Germania sono leader nell’industria farmaceutica e, con Francia, sono anche i principali produttori di auto. Quindi non c’è solo il via libera al 15%, è in sospeso il tema dei dazi settoriali. Una situazione che si gioca sul filo del rasoio. Sul tavolo Bruxelles ha messo anche il pacchetto dei controdazi da 93 miliardi di euro che scatterebbe dal 7 agosto. Ma una mossa di questo genere non farebbe altro che scatenare un effetto a catena dagli esiti difficili da prevedere.Intanto, in questo clima di estrema volatilità, la Bce ha preferito mantenere un profilo prudente, lasciando i tassi invariati al 2%. Una decisione largamente attesa, dopo otto tagli in un anno. «L’area euro va verso una espansione moderata dell’economia dopo la forte crescita del primo trimestre ma con rischi al ribasso», ha commentato il presidente Christine Lagarde, notando che «l’incertezza sta rendendo le imprese caute negli investimenti». Cautela che sta portando i grandi gruppi a proiettarsi negli Stati Uniti, con accordi o proprio spostando la produzione. La tedesca Volkswagen starebbe espandendo significativamente la sua collaborazione con l’azienda statunitense Rivian, secondo quanto riportato dalla testata Capital. Le due società, nell’ambito della loro joint venture, apriranno una nuova sede a Berlino che ospiterà circa 1.100 dipendenti e dove saranno sviluppati sistemi di controllo software centralizzati da utilizzare nei nuovi veicoli prodotti da Volkswagen. La casa automobilistica avrebbe inoltre promesso investimenti totali di quasi 6 miliardi di dollari per la collaborazione con Rivian. Nell’ambito di questa partnership, il gruppo tedesco diventerà anche azionista di maggioranza dell’azienda statunitense, insieme con Amazon.Altri si stanno proprio spostando. Il conglomerato sudcoreano Hyundai ha presentato un piano di investimenti negli Usa da 21 miliardi di dollari. Poco meno di 6 miliardi serviranno per un nuovo impianto siderurgico capace di sfornare quasi 3 milioni di tonnellate di acciaio l’anno. Metallo che, prodotto in territorio americano, non sarà sottoposto a dazi e servirà anche per la produzione locale delle automobili del marchio asiatico. Pure la giapponese Honda ha deciso invece di costruire la nuova serie di Civic ibride in Indiana, anziché in Messico. Un’altra maxi operazione è quella annunciata dal gigante taiwanese dei semiconduttori Tsmc. Già impegnato a rafforzare la sua presenza negli Usa, il gruppo ha portato a 100 miliardi il valore del suo investimento. Anche Stellantis farà investimenti negli Stati Uniti del valore di 5 miliardi di dollari. Il gruppo di John Elkann è stato il primo, tra i grandi costruttori dell’automotive, a prendere l’iniziativa a ridosso dell’insediamento di Trump. Ma c’è anche chi non è preoccupato dai dazi. «Eravamo preparati», afferma Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio del parmigiano reggiano. «Il prezzo del parmigiano passerebbe da 22 dollari la libbra a 30 dollari la libbra. E se lo confrontiamo con un parmesan che vale 10 dollari la libbra sicuramente qualche consumatore lo perderemo. Tuttavia ci siamo strutturati affinché l’impatto sia sostanzialmente governabile». Nel 2024 il gruppo ha aperto negli Usa la Parmigiano Reggiano Usa corporation e ha raddoppiato gli investimenti sulla brand awareness (la consapevolezza del marchio).