2022-07-28
La lotta degli psicologi no vax sospesi. Oggi la sentenza del Consiglio di Stato
Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso di una terapeuta a cui è vietato lavorare da aprile, anche da remoto. La palla passa ai giudici amministrativi. Il legale: «Ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo».Stamattina il Consiglio di Stato, suprema istanza della giustizia amministrativa, affronterà una questione molto delicata, che finora i Tar regionali hanno risolto con giudizi discordanti. Il tema, fondamentalmente, è questo: lo psicologo che per qualsiasi motivo non si vaccina contro il Covid può continuare a lavorare almeno da remoto? A rigor di logica, la risposta parrebbe inevitabilmente un sì: in assenza di contatti fisici e senza rischi di contagio per i pazienti, perché mai uno psicoterapeuta dovrebbe abbandonare la professione? Eppure un decreto - per l’esattezza il numero 172, varato il 26 novembre 2021 dal ministro della Salute Roberto Speranza - ha ordinato agli Ordini di categoria attivi in campo sanitario, e quindi anche a quelli degli psicologi, la sospensione immediata di tutti gli iscritti non vaccinati, anche se operano a distanza. La legge ha imposto una stretta irrazionale rispetto a un precedente decreto, varato in aprile dallo stesso Speranza, che prevedeva la sospensione dalle sole attività «che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio». Grazie al decreto 172, invece, dal novembre 2021 ogni psicologo privo di vaccino non soltanto non ha più potuto incontrare i suoi pazienti, ma non gli è stata più permessa nemmeno una terapia a distanza, attraverso un computer o il cellulare. Ovviamente i ricorsi contro le sospensioni decise dagli Ordini regionali sono stati tantissimi. In prevalenza, i Tar hanno dato ragione agli psicologi. In Lombardia, lo scorso 14 febbraio, il Tar non soltanto ha riammesso all’Ordine una psicoterapeuta no vax, che era stata sospesa malgrado lavorasse esclusivamente per via telematica: ha anche ipotizzato una questione di legittimità costituzionale nel decreto 172 e l’ha trasmesso alla Consulta, che dovrebbe decidere il prossimo 30 novembre.A favore degli psicologi non vaccinati, fin qui, si sono espressi anche alcuni tribunali ordinari e del lavoro. Alla metà di luglio ha fatto notizia la decisione del giudice fiorentino Susanna Zanda, che ha reintegrato una psicologa di Pistoia sospesa dall’Ordine perché non vaccinata. Il magistrato ha stabilito che la terapeuta possa tornare a esercitare la sua professione come preferisce, in presenza o da remoto, e ha giustificato la decisione con la tesi che l’ideologia no vax sia legittima in quanto i vaccini sono «trattamenti sperimentali talmente invasivi da insinuarsi nel Dna, alterandolo in un modo che potrebbe risultare irreversibile, con effetti a oggi non prevedibili per la vita e la salute».Non tutti i giudizi, però, sono stati così favorevoli. Il caso che oggi arriva al Consiglio di Stato nasce infatti dal ricorso al Tar del Lazio di una psicologa romana non vaccinata, C.B., che in aprile era stata sospesa dall’Ordine. Difesa dall’avvocato Stefano De Bosio, un civilista milanese che ha fatto dell’opposizione al decreto 172 un impegno di civiltà giuridica, la psicologa si era opposta alla sanzione obiettando che «negare l’attività professionale da remoto non può avere alcuna giustificazione sanitaria», e che anzi «il divieto ha soltanto conseguenze negative per il professionista e soprattutto per i pazienti, cui viene impedito l’accesso al medico di fiducia, e quindi esprime un’incompatibile e incostituzionale finalità punitiva». Il 13 maggio il ricorso di C.B. è stato respinto dal Tar del Lazio. I giudici hanno stabilito che «è legittima la sospensione dal servizio del sanitario non sottopostosi al vaccino per il Covid-19 […] dovendosi ritenere assolutamente prevalente la tutela della salute pubblica e, in particolare, la salvaguardia delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili che di frequente entrano a contatto con il personale sanitario o sociosanitario». Nel suo nuovo ricorso al Consiglio di Stato, però, C.B. ha aggiunto un elemento nuovo, che svincola del tutto il caso dagli aspetti sanitari e dalla salvaguardia delle categorie a rischio richiamata dai giudici di primo grado. «La mia cliente», spiega infatti l’avvocato De Bosio, «ha appena ricevuto da una catena di negozi d’architettura d’interni un’importante offerta di consulenza online in psicologia del marketing, destinata agli addetti alle vendite». Il divieto vale anche per corsi destinati a persone «non fragili»? Si vedrà che cosa deciderà oggi il Consiglio di Stato. De Bosio comunque annuncia che, se dovesse essere confermata la decisione del Tar, presenterà un ricorso d’urgenza alla Corte europea dei diritti dell’uomo: «Sarebbe davvero intollerabile l’idea», aggiunge, «che uno Stato abbia così poco rispetto del diritto fondamentale al lavoro da confiscarlo del tutto, anche quando non attiene all’ambito sanitario ed è esercitato nel modo meno pericoloso possibile». E conclude: «Nessuno lo scrive, ma ai professionisti no vax viene assurdamente proibito perfino di partecipare a corsi di formazione da remoto. Così, accanto alla irreparabile perdita della clientela, rischiano di essere puniti anche per mancato aggiornamento professionale».