2022-05-14
Prosciolto Fontana sul caso camici. Altra spallata fallita per Pd e 5 stelle
Attilio Fontana nel nuovo reparto di terapia intensiva dell'ospedale San Paolo (Ansa)
Caduta l’accusa di frode in forniture pubbliche: le opposizioni ci hanno speculato per mesi, screditando il governatore.«Il fatto non sussiste». Come un frutto troppo maturo, cade a marcire sui marciapiedi di Milano l’ultimo capo d’imputazione politico-mediatico contro la Regione Lombardia per la gestione della prima fase dell’emergenza pandemica. Il presidente Attilio Fontana è stato prosciolto dall’accusa di frode in forniture pubbliche in merito alla donazione di 75.000 camici più altri dispositivi di protezione individuale (valore mezzo milione di euro) effettuata dalla società Dama del cognato Andrea Dini e della moglie. Il giudice per l’udienza preliminare Chiara Valori ha deciso di non mandare neppure a processo il governatore e altri quattro imputati (Filippo Bongiovanni, Carmen Schweig, Pier Attilio Superti, lo stesso Dini), rigettando la tesi dell’accusa che si basava su due cardini rivelatisi inconsistenti: innanzitutto, l’ipotesi di reato di concorso in frode in pubbliche forniture commesso dal cognato e poi l’aver simulato la donazione al posto del reale contratto di fornitura onerosa allo scopo di tutelare l’immagine di Fontana medesimo, una volta emerso il conflitto di interessi derivante dalla parentela. La gup ha escluso che «il presidente abbia anteposto interesse e convenienza personali all’interesse pubblico» e invece si è adoperato per «non far mancare beni destinati a far fronte al quotidiano fabbisogno di camici richiesti dallo stato di emergenza sanitaria». Si chiude così una delle pagine più nere della pandemia in Lombardia, costituita dal reiterato tentativo da parte del Pd e del Movimento 5 stelle (al governo a Roma e all’opposizione in Regione) di strumentalizzare politicamente il virus cinese per dare una spallata politica alla maggioranza regionale. Nella primavera 2020, mentre l’emergenza era ai massimi livelli e le istituzioni locali erano in trincea per mettere a disposizione di medici e infermieri tutte le dotazioni salvavita , l’obiettivo primario degli apparati politici di opposizione e sindacali era quello di far crollare la Regione. Supportate da un sistema mediatico compiacente, le accuse di inefficienza si basavano su tre capisaldi: la mancata zona rossa a Nembro e Alzano, la strage nascosta di anziani al Pio Albergo Trivulzio e i camici di Fontana con l’aggiunta della rogatoria per il conto svizzero della madre. La sconfitta piddina, oggi, è totale perché la zona rossa «mai ordinata» era in capo al governo, la strage al Pat era così nascosta da non esistere se non su alcuni giornali (inchiesta archiviata). E i due filoni legati al governatore non sono neppure arrivati a processo. Nonostante ciò, quell’estate della vergogna fu contrappuntata da manifestazioni, proteste sotto il palazzo della Regione orchestrate sulla spinta dell’europarlamentare Pierfrancesco Majorino. E fra gli applausi della Milano rossa, i Carc (Comitati appoggio alla resistenza per il comunismo) scrivevano sui muri «Fontana assassino». È bene non dimenticare quella barbarie mentre il presidente regionale tira un sospiro di sollievo. «Sono felice e commosso soprattutto per mia moglie e per i miei figli; io sono abituato alle strumentalizzazioni politiche, loro no. Abbiamo combattuto un nemico invisibile, infido. Ho fatto tutto quello che potevo per tutelare i miei cittadini, senza avere istruzioni da seguire. Sono stato accusato, infamato, oggetto di critiche strumentali che il tempo galantuomo ha smontato». Matteo Salvini chiarisce un altro aspetto della vicenda, quello del risarcimento morale: «Dopo mesi di fango e bugie sono stati restituiti onore e dignità al presidente Fontana, alla Lega, alla Regione, a tutti i lombardi. Adesso aspettiamo le scuse di quegli esponenti di sinistra che per troppo tempo hanno oltraggiato una persona perbene e le istituzioni regionali». Tornando ai capi d’imputazione, il legale del governatore, Jacopo Pensa, aggiunge: «La vicenda non aveva nessuna sfumatura penalisticamente rilevante. Era palese la buona fede di tutti, lo Stato avrebbe speso il quintuplo di quello che avrebbe guadagnato con la donazione. Resta il fatto che il presidente è stato screditato in un momento tragico». Mentre il capogruppo della Lega in consiglio regionale, Roberto Anelli, chiede «che Pd e grillini vengano in aula a domandare pubblicamente scusa, ma non credo che avranno la dignità di farlo», l’internazionale rossa fatica a digerire il rospo. «Il proscioglimento di Fontana non ne cancella l’inadeguatezza», sostiene il segretario regionale piddino Vinicio Peluffo, consapevole di una pessima figura su tutta la linea. Più diplomatico il sindaco di Milano, Beppe Sala: «Sono contento sul piano personale. L’esito giudiziario avvicinerà ancora di più Fontana alla ricandidatura». L’avvocato Domenico Ajello, difensore dell’ex direttore generale di Area Bongiovanni, mette la parola fine alla vicenda con evangelica saggezza: «È stato un errore fare un’indagine sulla donazione. Le buone azioni vanno premiate e non portate un tribunale». Anche Silvio Berlusconi plaude all’happy ending: «È una doppia buona notizia: per lui e per la sua famiglia, ma anche per i lombardi, trascinati in una polemica incomprensibile. La cattiva notizia è che nemmeno il Covid ha fermato giustizialisti e speculatori».