2024-08-20
I pro Pal rovinano la festa a Kamala Harris: tensione alla convention democratica
La sinistra americana rivive l’incubo delle proteste sul Vietnam del 1968. Attesi 40.000 contestatori che chiedono l’embargo delle armi a Israele. Joe Biden irritato.L’incubo del 1968 agita Kamala Harris. All’epoca, la Convention dem di Chicago fu travolta dalle proteste contro la guerra in Vietnam: una circostanza che azzoppò la corsa dell’allora vicepresidente Hubert Humphrey. Ebbene, quest’anno, la Convention dem, apertasi ieri proprio a Chicago, rischia a di finire sommersa dalle manifestazioni dell’estrema sinistra filopalestinese. Un primo corteo di protesta si è infatti svolto domenica, quando sono scese in strada almeno un migliaio di persone, alcune delle quali hanno fatto irruzione al party di benvenuto organizzato per i delegati. Un’attivista, in particolare, è salita sul palco e ha accusato gli astanti di «promuovere un genocidio». Sempre domenica, due dimostranti sono stati arrestati per danneggiamenti e resistenza alla polizia. Una seconda manifestazione, che per gli organizzatori avrebbe raccolto fino a 20.000 persone, ha avuto invece luogo ieri, iniziando mentre La Verità andava in stampa, vale a dire a poche ore dall’apertura della Convention. Un altro corteo è inoltre previsto per giovedì, quando la Harris terrà il discorso di accettazione della nomination. I vertici della polizia hanno riferito di attendersi «grandi proteste», mentre venerdì Axios aveva riportato che vari deputati dem erano preoccupati per la propria sicurezza. Secondo il Guardian, il numero complessivo di manifestanti pro Pal a Chicago, in questi quattro giorni, potrebbe arrivare a 40.000: una cifra che, qualora fosse confermata, oscurerebbe quella del 1968. All’epoca, i dimostranti furono infatti «appena» 10.000. L’altro ieri, Politico ha rivelato che i leader dei principali gruppi pro Pal si sono riuniti poche ore dopo che, a fine luglio, la Harris aveva ufficializzato la propria candidatura: obiettivo del meeting era decidere se proseguire o meno con la linea dura che era stata riservata fino ad allora a Joe Biden. Alla fine, hanno stabilito di mantenerla, ritenendo che su Gaza la vicepresidente non si sarebbe discostata dall’attuale inquilino della Casa bianca. Nell’occasione, il presidente dello Us palestinian community network, Hatem Abudayyeh, bollò la Harris addirittura come «Kamala la killer». E proprio ieri, Abudayyeh, poco prima di un nuovo corteo, ha avuto parole molto dure verso i dem. Dal canto suo, la vicepresidente ha fatto di tutto per cercare di accontentare gli estremisti: non solo non ha partecipato al discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso a fine di luglio, ma ha anche evitato di scegliere come proprio vice il governatore filoisraeliano della Pennsylvania, Josh Shapiro. Un vero e proprio appeasement verso i radicali pro Pal che tuttavia non ha sortito effetto. Costoro hanno infatti contestato la Harris durante recenti eventi elettorali in Michigan e Arizona, non rinunciando inoltre a protestare durante la Convention di Chicago. D’altronde, una delle ragioni per cui l’amministrazione Biden sta cercando di accelerare sui negoziati per il cessate il fuoco a Gaza è anche quella di offrire copertura politica alla Harris prima di giovedì. Tuttavia, ammesso e non concesso che arrivi in tempo, è tutto da dimostrare che tale intesa cambierebbe realmente le cose. I manifestanti chiedono infatti l’embargo delle armi a Israele: una posizione che mette in enorme difficoltà la Casa Bianca. In un primo momento, la Harris era sembrata aprire a una tale eventualità. Poi, ha fatto marcia indietro. Per lei la situazione si sta facendo sempre più complicata. Ieri Reuters ha riportato che i delegati filopalestinesi avrebbero premuto affinché l’embargo venisse inserito nel programma ufficiale del Partito democratico. Questo significa che, al di là delle proteste di piazza, le divisioni hanno raggiunto il cuore della Convention. Ed ecco che per la Harris sorgono i problemi. Innanzitutto, l’unità che i dem avevano sfoggiato nelle ultime quattro settimane si sta sciogliendo come neve al sole. Il senatore John Fetterman, noto per le sue posizioni pro Israele, ha annunciato che non parteciperà alla Convention. Lo stesso Biden, che pure ha tenuto un discorso alla Convention ieri sera, non ha intenzione di prendervi parte nei prossimi giorni: si tratta dello stesso Biden che, appena una settimana fa, ha ammesso di aver subito forti pressioni interne per ritirarsi dalla competizione elettorale. Tutto questo, senza dimenticare l’irritazione dei deputati dem centristi, che avevano sostenuto la nomina di Shapiro a candidato vicepresidente. In secondo luogo, gli attivisti pro Pal sono potenzialmente decisivi in due Stati in bilico, di cui la vicepresidente ha estremo bisogno, se vuole vincere a novembre: il Michigan e la Georgia. Ma i filopalestinesi rappresentano soltanto uno dei problemi che la Harris deve affrontare. I principali oratori della Convention, oltre a Biden e alla stessa Harris, saranno Nancy Pelosi, gli Obama e i Clinton: un modo per rimarcare chi è che comanda davvero all’interno del Partito democratico. Non è comunque escluso che una tale sovraesposizione dell’establishment dem possa alla fine innescare un effetto boomerang, soprattutto alla luce dell’opaco siluramento di Biden e della sua fulminea sostituzione con la Harris, che ha bypassato il voto popolare. Non solo. Secondo la Cnn, numerose celebrità di Hollywood parteciperanno alla Convention e non si esclude neppure la presenza di Beyoncé e Taylor Swift. Anche in questo caso, attenzione ai facili automatismi. Non solo perché spesso le celebrità non spostano voti in America, ma anche perché non si capisce come tutto questo glamour possa realmente aiutare la Harris a fare breccia tra i colletti blu di Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Tutti Stati in cui attualmente Donald Trump, a livello sondaggistico, performa meglio rispetto ad agosto sia del 2020 sia del 2016. La vicepresidente deve quindi fare attenzione, perché rischia seriamente di essersi cacciata in un vicolo cieco.
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
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