2023-05-28
Pronto il bavaglio per gli «eretici» del green
Simona Malpezzi (Imagoeconomica)
Quanto accaduto in Emilia Romagna è figlio di chi non ha realizzato i lavori necessari per impedirlo, in ossequio ai movimenti verdi, grandi elettori della sinistra. Che, cinicamente, accusa il cambiamento climatico. Zittendo chi è in disaccordo con il «metodo Covid».L’altra sera ho scoperto di essere un negazionista. Me lo ha ripetuto fino allo stordimento Simona Malpezzi, un tempo capogruppo in Senato del Partito democratico e oggi presenza fissa nei talk-show televisivi, dove è specializzata nell’interrompere chi non la pensi come lei. A suscitare la reazione della senatrice è stata la lettura dell’elenco di alluvioni che si sono susseguite negli ultimi settant’anni in Emilia Romagna che, da solo, bastava a smentire la tesi per cui il disastro della scorsa settimana tra Ravenna, Forlì e Cesena fosse colpa del cambiamento climatico. Nel 1950 nessuno parlava del surriscaldamento del pianeta e nessuna ricerca scientifica metteva in evidenza una mutazione climatica e tuttavia, con la frequenza di qualche anno, quelle zone finivano sott’acqua. Ma per Malpezzi, evocare le 13 alluvioni che hanno colpito la Romagna in quarant’anni e le 54 vittime registrate nei soli quattro anni che vanno dal 1986 al 1990 a quanto pare significa essere negazionisti.Pur conoscendo il significato del termine, di fronte a una professoressa di lettere che mi impartiva una lezione strillando, ho voluto rileggere la definizione di negazionismo che ne dà la Treccani. Riporto fedelmente il brano dall’enciclopedia: «Termine con cui viene indicata una corrente antistorica e antiscientifica del revisionismo, la quale, attraverso l’uso spregiudicato e ideologizzato di uno scetticismo storiografico portato all’estremo, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia contemporanea ma, specificatamente con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo (per esempio, l’istituzione dei campi di sterminio nella Germania nazista), si spinge fino a negarne l’esistenza». Quasi vent’anni fa David Irving, saggista britannico specializzato nella storia militare della Seconda guerra mondiale, per aver sostenuto tesi revisioniste sulla Germania nazista fu prima condannato e poi arrestato in Austria, sulla base di una legge che punisce il negazionismo.Capirete che essere accostato a un simile campione non mi ha fatto piacere. Ma oltre a urtare la mia suscettibilità, l’accusa della maestrina dalla penna rossa mi ha spinto a riflettere sull’estremismo ambientalista e sul cinismo politico della sinistra. È di tutta evidenza che quanto accaduto in Emilia Romagna è colpa di chi non ha realizzato le opere pubbliche necessarie a contenere le acque. Si può discutere fin che si vuole dell’eccezionalità delle precipitazioni, ma se piove abbondantemente, e in Emilia Romagna accade spesso a prescindere dalle variazioni climatiche (lo dimostra la serie storica che ho letto in tv) e i letti dei fiumi sono incapaci di trattenere la portata delle acque, l’esondazione è inevitabile.Nel Rapporto 2021 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dal titolo «Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio» sono indicati i valori di superficie allagabile nelle regioni d’Italia. Beh, in Emilia Romagna, su 22.445 chilometri quadrati, oltre diecimila sono classificati come aree ad alta e media pericolosità idraulica. In pratica circa la metà del territorio è giudicato a rischio, contro una media di poco superiore al 15% nel resto d’Italia. Su meno di 2 milioni di famiglie residenti nella Regione, quasi un milione e 200.000 risiedono in zone considerate pericolose dal punto di vista idrogeologico.Che cosa dovrebbe fare un buon amministratore dopo aver letto queste cifre, che - lo chiarisco per chi voglia pensare a qualche complotto della destra contro la sinistra - sono state elaborate dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente? Credo che la prima cosa da fare non consisterebbe nel discutere di cambiamento climatico, di limitare la circolazione delle auto o costringere le persone a cambiare la caldaia. La priorità assoluta di un buon amministratore dovrebbe essere quella di fare le opere pubbliche necessarie a imbrigliare le acque in caso di eccessive precipitazioni. Tutto ciò, però, in Emilia Romagna non è stato fatto. Per assecondare i movimenti verdi, che concorrono al successo elettorale della sinistra, i compagni hanno preferito ritardare gli interventi. E così la metà delle casse di contenimento (si tratta di bacini in grado di dirottare le acque in caso di alluvione) che servivano non è stata realizzata o non è entrata in funzione.Tutto ciò, ovviamente, Malpezzi lo sa bene, ma parlando di cambiamento climatico come unico responsabile e non di inefficienza della pubblica amministrazione dell’Emilia Romagna salva la sua parte politica, condannando la verità. La professoressa, tuttavia, non ha usato a caso l’accusa di negazionismo. E non soltanto per la valenza negativa che dal caso Irving in poi si porta dietro. Anche perché, di recente, qualche commentatore si è spinto a chiedere l’introduzione di un reato specifico che punisca i negazionisti dell’ambiente. In pratica, dire che i morti dell’Emilia Romagna sono frutto dell’incuria e di scelte politiche sbagliate potrebbe essere punito con il carcere.Sì, siamo arrivati al punto che uno stato liberale rischia di diventare illiberale con il consenso di coloro che si definiscono democratici. Tutto per impedire di esprimere un’opinione. Dunque, gli strilli della maestrina dalla penna rossa non sono frutto di una signora cui sono saltati i nervi, ma qualche cosa di più subdolo, ossia la voglia di bavaglio. John Clauser, premio Nobel per la fisica nel 2022, ha di recente detto che la narrativa comune sul cambiamento climatico costituisce una pericolosa corruzione della scienza che minaccia l’economia mondiale e il benessere di miliardi di persone: «La fuorviante scienza del clima si è trasformata in una massiccia pseudoscienza giornalistica. A sua volta, se ne è fatto il capro espiatorio di una miriade di mali non correlati».Diranno che anche Clauser è rimbambito come fecero con Luc Montagnier ai tempi del Covid? Oppure si accontenteranno di mettergli il bavaglio o di nascondere le sue parole? O vorranno il carcere per chi gli dà credito?
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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