2021-01-30
Promossi e bocciati: le pagelle della Serie A
Nicolò Barella e Gianluigi Donnarumma (Ansa)
Gianluigi Donnarumma, Theo Hernandez e Zlatan Ibrahimovic colonna vertebrale del miracoloso Milan di Stefano Pioli. Antonio Conte ha plasmato Nicolò Barella, che ora è il cuore pulsante dell'Inter, mentre il Napoli si aggrappa a Hirving Lozano e Piotr Zielinski. Gaetano Letizia e Manuel Locatelli belle novità.Paulo Dybala è disperso: senza di lui la Juve è inguaiata per l'Europa. Arturo Vidal non convince, Christian Eriksen resta una delusione da ogni punto di vista. Viale del tramonto amaro per Diego Godin, Leonardo Bonucci e José Maria Callejon. Qualcuno porti Manolo Gabbiadini a Lourdes.Lo speciale contiene due articoli.1) Gianluigi Donnarumma Un airone imperiale. Se il Milan è lassù significa che funziona alla perfezione l'asse verticale di una squadra vincente, come da ferreo principio breriano: portiere-mediano-mezzala-centravanti. Gigio ha fatto l'ultimo salto di qualità, meno farfallone (tre o quattro sciocchezze per girone le concedeva) e più leader. Numero uno assoluto. Ora dovrà esserlo anche fuori dal campo, nel rinnovo del contratto: se dà retta al cuore e non a Mino Raiola può diventare l'uomo simbolo del Milan per i prossimi 10 anni. Dovesse avere il torcicollo faremmo entrare Juan Musso dell'Udinese, uno con la reattività di Julio Cesar da tenere d'occhio.2) Gaetano LetiziaScampia, Aversa Normanna, Carpi, Benevento. Che ci faccio qui? Eppure a 30 anni Gaetano detto Frecciarossa è il giocatore simbolo del Benevento che oggi sarebbe comodamente salvo. È anche emblema di un calcio dei poveri ma belli, che sul pianeta Covid sta ricominciando a spolverare piccoli diamanti di provincia con risultati sorprendenti. Tre gol da terzino (uno alla Juventus), chilometri mangiati come ciliegie, qualità nella testa per giocare anche a centrocampo. L'Hakimi italiano, che bel regalo. Peccato per l'infortunio d'inizio gennaio, ma ciò che ha fatto resta.3) Mathijs De LigtNel girone controverso della corazzata Juventus il centralone olandese è una delle poche certezze. Un anno in Italia lo ha sgrezzato, ora è un muro invalicabile in difesa, un supporto prezioso in uscita e un fattore di testa in area avversaria. Ha anche imparato a giocare con le mani in tasca. Il club dovrà ridisegnare la difesa per motivi anagrafici (Bonucci e Chiellini sono al tramonto) ma ora sa di poterla costruire attorno al guerriero cresciuto all'Ajax Arena che i compagni chiamano Fatty (il grasso). Ma solo per i lineamenti del viso. 4) Alessandro BastoniIl lancio di 40 metri per Nicolò Barella nel derby d'Italia è il colpo più scenografico e assurdo di un giocatore che deve tutto ad Antonio Conte. Forte nei contrasti ma capace di ribaltare l'azione e di aggiungersi con profitto ai centrocampisti, il giovane (21 anni) centrale dell'Inter investe bene il suo tempo in campo ma anche fuori. Con la fidanzata influencer ha inventato un marchio di moda da gestire online, «No passa nada», non succede niente. Una volta si investiva in case (Aldo Serena) e in quadri (Billy Costacurta), ma i tempi cambiano. 5) Theo HernandezImprescindibile, talvolta immarcabile, capace di chiudere le partite con un gol dopo un'ora e mezza quando gli altri non ne hanno più. Determinante per il successo del Milan di Stefano Pioli, fonte primaria di quel gioco a scavalcare il centrocampo e innescare le punte con folate in contropiede (per noi non è una parolaccia) a mille all'ora. Il marsigliese di 23 anni oggi vale 50 milioni e ha un vantaggio sui colleghi stranieri: la Francia non lo convoca. Nel 2017 rifiutò una chiamata Under 21 e andò in vacanza a Marbella; per Didier Deshamps la pena non è finita. 6) Nicolò BarellaIn questo momento è il miglior centrocampista italiano. Un piacere per gli interisti (e anche per il ct Roberto Mancini) quando recupera palla e riparte tagliando il campo come fosse un panetto di burro, avversari compresi. A 23 anni il cagliaritano è l'anima profonda della squadra di Conte, che forse si rivede in lui. Mai stanco, anche quando l'Inter si addormenta Barella non smette di correre, di proporsi, di provare a vincere. Altra categoria. Per il tiro da lontano somiglia a Dejan Stankovic, ma lui sul profilo social ha un motto di Diego Simeone: «Non vincono sempre i buoni, vince chi sa lottare». 7) Manuel LocatelliSe contasse solo gennaio sarebbe un anonimo emiliano. Ma in generale il suo girone d'andata è stato sontuoso, protagonista con il Sassuolo di Roberto De Zerbi d'una partenza folgorante. L'ex milanista nato a Lecco e ceduto troppo frettolosamente ha un futuro da top se riesce a dare continuità alle sue qualità. Nel centrocampo dei migliori, come in una staffetta invisibile, mentre esce lui entra Mattia Zaccagni, decisivo negli exploit del Verona e uomo mercato del momento (piace a Napoli, Roma, Milan). È più offensivo, perfino più dinamico. Va pesato da qui a maggio, la primavera di solito è crudele.8) Frank RiberyA 37 anni molto dipende da come ti alzi dal letto. Se appoggia il piede giusto (di solito il destro), il francese maledetto (nel senso di rive gauche) è ancora un fuoriclasse. Ti punta, ti sconvolge e va via in slalom fin dentro il cuore delle difese. Oppure con un tocco da biliardo ti manda in porta come fece con Federico Chiesa contro l'Inter e ha rifatto ancora, e ancora una volta. Una felicità per gli occhi, un astratto d'autore a Firenze. Lato oscuro della luna: quando prende il raffreddore deve star fuori due settimane. L'anagrafe è una disdetta per tutti. 9) Piotr ZielinskiHa visione di gioco, passo, stangata da lontano. Il polacco è un signor tuttocampista moderno, l'uomo in più del Napoli di Rino Gattuso, una beatitudine per gli occhi dei tifosi che ancora ricordano con malinconia le folate di Marek Hamsik. Quando lui sbaglia una partita (la finale di Supercoppa contro la Juventus) gli azzurri rendono il 30% in meno. E questo è il segno di un'eccellenza costante. Se n'è accorto anche Jürgen Klopp che ha dato mandato di portarlo a Liverpool. Rinchiudetelo a Castel dell'Ovo e resistete. 10) Zlatan IbrahimovicQuattro numeri scolpiti nella pietra alla fine del girone d'andata: 12 gol in 9 partite, 39 anni e 1 milione di «chissenefrega». Ibra nella stagione da guru è tutto qui, immortale. Quando è arrivato sembrava un rottame di lusso dal destino segnato, oggi è l'anima del Milan capolista, non più in grado di scardinare le difese in assolo ma ancora capace di inventare gol nelle tonnare dell'area di rigore. E soprattutto strepitoso nel guidare la squadra verso la perfezione dal lunedì alla domenica. Si chiama carisma. E i chissenefrega? Sono le risposte a tutto di chi non ha più niente da dimostrare. Ibra è Ibra, un profeta. Quando esce stremato, nella nostra squadra entra M'Bala Nzola dello Spezia, 24 anni e 9 gol, una forza della natura.11) Hirving LozanoSei mesi buoni per respirare i profumi del golfo ed entrare in sintonia con la pastiera, ed ecco il magico Alverman. Micidiale come ad Eindhoven, con il pallone fra i piedi il messicano mette paura a chiunque. Re del dribbling, manda in superiorità numerica l'attacco del Napoli a ogni finta, fa parte del tridente mignon (con Insigne e Mertens) capace di far venire il mal di testa alle difese. Quelle degli altri e la sua, vista la pigrizia nel rientrare. Non somiglia alla bambola assassina neppure per sbaglio, ma dai una fesseria in pasto ai giornalisti e la vedrai moltiplicata all'infinito. Se chiede il cambio si scaldi Henrikh Mkhitaryan, rifinitore mai espresso al 100% in Premier league che ha trovato alla Roma il terreno giusto per le sue magie.Allenatore: Stefano PioliFra gli allenatori condottieri (Klopp, Conte), gli allenatori filosofi (Guardiola, Sarri), gli allenatori gestori (Allegri, Mancini) oggi il massimo è avere un allenatore zio. Uno che manda in campo gli uomini nel ruolo giusto, non stressa mai le situazioni, cementa le qualità. Sa esaltare i singoli al servizio del gruppo con la saggezza del lavoro, anche se in questo il campione da panchina rimane Gian Piero Gasperini. Lo dimostrano i giocatori dell'Atalanta; lontano da lui tornano normali. Pioli è più umano. La sua parola d'ordine per ogni problema è: «Ci dormo sopra». Lassù sta facendo un sogno stupendo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/promossi-bocciati-pagelle-serie-a-2650179272.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-flop-11" data-post-id="2650179272" data-published-at="1611957631" data-use-pagination="False"> La flop 11 Sergej Milinkovic-Savic e Paulo Dybala (Getty Images) 1) Mattia Perin Tre anni fa era il portiere italiano più interessante dopo l'enfant prodige Gigio Donnarumma. Esplosivo fra i pali, coraggioso in uscita, capace di interpretare il ruolo in chiave moderna. Il lungo letargo alla Juventus (non giocava mai) lo ha frenato e oggi il ragazzone di Latina (28 anni) fatica a recuperare le posizioni perdute. Poiché la solidità di chi c'è davanti conta, dall'arrivo di Davide Ballardini sulla panchina del Genoa ha smesso di vedere gli incubi ogni domenica. È al primo piolo della scala, può solo risalire la hit parade. 2) Hans Hateboer Non è una provocazione, la freccia olandese è il calciatore meno migliorato nell'ultimo anno dentro lo strepitoso mucchio selvaggio dell'Atalanta. Anzi, dalla sua parte arrivano spesso pericoli per una difesa meno granitica che in passato. È il destino degli innovatori: tre anni fa Hans era imprendibile a supporto di Josip Ilicic, oggi nel ruolo molte altre squadre possono proporre giocatori migliori di lui (da Hakimi a Letizia, da Calabria a Cuadrado, da Hysaj a D'Ambrosio). Ha percorso più chilometri di un maratoneta per la causa orobica, normale che si fermi a rifiatare. 3) Leonardo Bonucci Il sole della difesa della Juventus ha cominciato la sua parabola discendente. Il tramonto sarà lungo, forse ancora pieno di spettacolo, ma inevitabile come quello di tutti. Il centrale regista diventato famoso per il lancio alla Franz Beckenbauer è parte del cuore dell'Allianz Stadium ma nell'uno contro uno è diventato un giocatore normale. Usa l'anticipo, usa il mestiere, ma se la Signora oggi rischia qualche scuffia di troppo là dietro è anche perché il questurino numero uno ha le manette arrugginite. Avrebbe anche bisogno di una copertura più solida e costante da parte dei centrocampisti, ma Andrea Pirlo preferisce rischiare qualcosa in più per lo spettacolo. In primavera, con il ritorno della Champions e dell'adrenalina, tornerà a ruggire. Forse. 4) Diego Godin L'altra faccia di un declino. All'Atletico Madrid era il guerriero uruguagio testimonial della «garra charrua» tanto cara a Lele Adani, che la mette su ogni pietanza sportiva come la rucola negli anni Ottanta. Nell'anno all'Inter ha perso le certezze della difesa a quattro, si è dovuto reinventare e l'età ha cominciato a bussare. Ha deciso di andare a Cagliari per amore (nel capoluogo sardo è nata e cresciuta la moglie Sofia), ma a 35 anni i cambiamenti si pagano. Ora balla come un comprimario qualsiasi fra i marosi della lotta per non retrocedere. 5) Manuel Lazzari Paga la stagione altalenante della Lazio che ha nella difesa il punto debole. Paga anche le gastriti psicologiche di Sergej Milinkovic Savic che dovrebbe innescarlo molto meglio di così, nel ricordo di ciò che sapeva fare solo un anno fa. Sta di fatto che il ventisettenne di Valdagno ha il motore ingolfato anche se i numeri non lo bocciano: 1 gol e 4 assist sono molto meglio di niente. Ma in un calcio che si sviluppa sempre più sulle fasce, non riuscire a fare la differenza diventa un problema. Ha giocato un grande derby, ma il dettaglio non fa altro che aumentare i rimpianti. 6) José Maria Callejon Vedi Napoli e poi muori (ovviamente a livello pallonaro). Il torero è scomparso dai radar, via dal San Paolo riesce faticosamente a trovare la strada per entrare in campo con gli altri dieci. Firenze è una piazza difficile e lui ci è arrivato male, acciaccato nel fisico e da reuccio con il nasino all'insù. Altro problema: i meccanismi imparati da Maurizio Sarri erano perfetti per esaltare le sue incursioni in area, mentre con Giuseppe Iachini e Cesare Prandelli non ha ancora trovato il giusto feeling per esplodere. Il tempo passa e i terminali del gioco - da Gaetano Castrovilli a Dusan Vlahovic a Christian Kouamè - sono altri. 7) Sergej Milinkovic-Savic Mister 100 milioni (perché da qui si deve partire) si è incartato. Dopo due anni di splendori, ecco la battuta d'arresto facilmente spiegabile in due mosse. Prima: la Lazio è meno veloce della scorsa stagione e di conseguenza lui deve partire da fermo limitando molto la sua esplosività. Seconda: gli avversari hanno imparato a tamponare le irruzioni in area, lo raddoppiano e gli lasciano solo qualche (ancora devastante) colpo di testa. Una partita ottima, due ronfate. Peccato perché ha il fisico da corazziere, la tecnica da sudamericano e il passo da Premier league. Farebbe la differenza in un centrocampo top, è assurdo che non riesca a far volare la Lazio con maggiore continuità. L'ultimo salto di qualità finora non c'è stato e di questi tempi 100 milioni, Claudio Lotito, per lui se li scorda. 8) Arturo Vidal Il gol alla Juventus non maschera proprio niente, finora il motore cileno dell'Inter è una delusione. Gioca molto, è furente e generoso come al suo arrivo in Italia con la maglia bianconera, ma oggi il suo è un pestare l'acqua nel mortaio. Con l'aggravante del danno procurato. Tutti ricordano un paio di interventi assassini nella propria area a provocare rigori evitabili, mazzate in testa ai compagni soprattutto nel fallimentare autunno di Champions. Antonio Conte lo ha fortemente voluto e si aspetta ancora molto. Dicono che stia lavorando duro per farsi trovare a bolla in primavera. Ma forse l'allenatore che per primo lo valorizzò a Torino ha in mente un calciatore che, a 33 anni, quell'intensità l'ha perduta per sempre. 9) Christian Eriksen Corro o non corro, passo o non passo, resto o me ne vado: l'Amleto danese era la quintessenza dei flop e non solo per colpa sua. Principe malinconico dei trequartisti a disposizione di un allenatore che detesta i trequartisti (Conte al Chelsea riuscì a mandare in crisi perfino Eden Hazard), finora andava ricordato per una terrificante traversa nella rimonta del primo derby giocato contro il Milan (fine gennaio 2020). Tutto all'imperfetto perché poi è arrivato il derby di Coppa Italia con quel calcio di punizione perfetto, più alla Michel Platini che alla Mario Corso, con palla a volare sulla barriera e a morire quasi nel sette, a un chilometro dal portiere. Gol partita, fiammata d'amore. Nella schizofrenia del calcio tutto è possibile e gli spiccioli di gara dentro il cosiddetto garbage time, il tempo spazzatura, vengono dimenticati il fretta. Calma e gesso, per ora è solo un gran gol che non cambia il giudizio di «midterm». Arrivato all'Inter per esserne il leader, è scivolato in fondo alla panchina e non ha fatto niente per aggrapparsi al suo immenso talento. Troppo gentile, dicono ad Appiano. 10) Paulo Dybala Il senso della squadra flop (a questo punto l'avrete capito da soli) è mettere in evidenza non chi è mediocre di suo ma chi si è tuffato partendo dal trampolino più alto. Ecco, Paulo Dybala ci ha messo anche il carpiato con avvitamento. Ha giocato la prima parte della stagione molto al di sotto dei suoi standard, ha pagato le idee non chiarissime di Pirlo e l'arrivo di Federico Chiesa, più abituato di lui a correre, rientrare, lottare. L'argentino resta un giocatore strepitoso, solista di livello assoluto se libero da obblighi tattici, in una squadra che non può permetterselo sempre e comunque, visto che Cr7 ha nome e titoli per esserlo più di tutti. È chiaro che un Dybala al top è indispensabile per andare avanti in Europa, e il folletto al top tornerà. Finora però non s'è visto e deve accontentarsi di fare il titolare qui. 11) Manolo Gabbiadini Coronavirus, ernia al disco, malanni muscolari. Chi l'ha visto? Il caso del centravanti triste della Sampdoria è emblematico di quanto la fortuna possa incidere su una carriera. Potenzialmente fortissimo - ha scatto, dribbling, senso del gol - l'attaccante bergamasco non è mai riuscito a esprimersi per più di tre mesi consecutivi per colpa degli infortuni a raffica. In questa prima parte della stagione il clichè non è cambiato. E lui passa più tempo in palestra che in campo. Ormai è sulla soglia dei 30 anni. Più che un allenatore estimatore (Claudio Ranieri peraltro lo è e avrebbe voluto impiegarlo come Jamie Vardy al Leicester) avrebbe bisogno di un viaggio a Lourdes. Allenatore: Marco Giampaolo Spiace ma al Torino è finita come al Milan. Esonerato per la disperazione. Grande maestro di teoria, così geniale e documentato da poter insegnare all'università del pallone, in questa fase della sua carriera il tecnico nato a Bellinzona ha problemi insormontabili nel trasferire i dogmi fra le piastrelle umide degli spogliatoi e nel fango dei campi di calcio. Dove le sue squadre si ingegnano a seguirlo, al primo gol preso si smarriscono e nella smania di recuperare infine tracollano. Prima di entrare al Filadelfia la media punti di Giampaolo era 1,18 a partita, quando è uscito per l'ultima volta una settimana fa aveva collezionato 13 punti in 18 incontri. Media perfetta per andare in Serie B.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
Continua a leggereRiduci
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
Continua a leggereRiduci