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2021-01-30
Promossi e bocciati: le pagelle della Serie A
Nicolò Barella e Gianluigi Donnarumma (Ansa)
1) Gianluigi Donnarumma
Un airone imperiale. Se il Milan è lassù significa che funziona alla perfezione l'asse verticale di una squadra vincente, come da ferreo principio breriano: portiere-mediano-mezzala-centravanti. Gigio ha fatto l'ultimo salto di qualità, meno farfallone (tre o quattro sciocchezze per girone le concedeva) e più leader. Numero uno assoluto. Ora dovrà esserlo anche fuori dal campo, nel rinnovo del contratto: se dà retta al cuore e non a Mino Raiola può diventare l'uomo simbolo del Milan per i prossimi 10 anni. Dovesse avere il torcicollo faremmo entrare Juan Musso dell'Udinese, uno con la reattività di Julio Cesar da tenere d'occhio.
2) Gaetano Letizia
Scampia, Aversa Normanna, Carpi, Benevento. Che ci faccio qui? Eppure a 30 anni Gaetano detto Frecciarossa è il giocatore simbolo del Benevento che oggi sarebbe comodamente salvo. È anche emblema di un calcio dei poveri ma belli, che sul pianeta Covid sta ricominciando a spolverare piccoli diamanti di provincia con risultati sorprendenti. Tre gol da terzino (uno alla Juventus), chilometri mangiati come ciliegie, qualità nella testa per giocare anche a centrocampo. L'Hakimi italiano, che bel regalo. Peccato per l'infortunio d'inizio gennaio, ma ciò che ha fatto resta.
3) Mathijs De Ligt
Nel girone controverso della corazzata Juventus il centralone olandese è una delle poche certezze. Un anno in Italia lo ha sgrezzato, ora è un muro invalicabile in difesa, un supporto prezioso in uscita e un fattore di testa in area avversaria. Ha anche imparato a giocare con le mani in tasca. Il club dovrà ridisegnare la difesa per motivi anagrafici (Bonucci e Chiellini sono al tramonto) ma ora sa di poterla costruire attorno al guerriero cresciuto all'Ajax Arena che i compagni chiamano Fatty (il grasso). Ma solo per i lineamenti del viso.
4) Alessandro Bastoni
Il lancio di 40 metri per Nicolò Barella nel derby d'Italia è il colpo più scenografico e assurdo di un giocatore che deve tutto ad Antonio Conte. Forte nei contrasti ma capace di ribaltare l'azione e di aggiungersi con profitto ai centrocampisti, il giovane (21 anni) centrale dell'Inter investe bene il suo tempo in campo ma anche fuori. Con la fidanzata influencer ha inventato un marchio di moda da gestire online, «No passa nada», non succede niente. Una volta si investiva in case (Aldo Serena) e in quadri (Billy Costacurta), ma i tempi cambiano.
5) Theo Hernandez
Imprescindibile, talvolta immarcabile, capace di chiudere le partite con un gol dopo un'ora e mezza quando gli altri non ne hanno più. Determinante per il successo del Milan di Stefano Pioli, fonte primaria di quel gioco a scavalcare il centrocampo e innescare le punte con folate in contropiede (per noi non è una parolaccia) a mille all'ora. Il marsigliese di 23 anni oggi vale 50 milioni e ha un vantaggio sui colleghi stranieri: la Francia non lo convoca. Nel 2017 rifiutò una chiamata Under 21 e andò in vacanza a Marbella; per Didier Deshamps la pena non è finita.
6) Nicolò Barella
In questo momento è il miglior centrocampista italiano. Un piacere per gli interisti (e anche per il ct Roberto Mancini) quando recupera palla e riparte tagliando il campo come fosse un panetto di burro, avversari compresi. A 23 anni il cagliaritano è l'anima profonda della squadra di Conte, che forse si rivede in lui. Mai stanco, anche quando l'Inter si addormenta Barella non smette di correre, di proporsi, di provare a vincere. Altra categoria. Per il tiro da lontano somiglia a Dejan Stankovic, ma lui sul profilo social ha un motto di Diego Simeone: «Non vincono sempre i buoni, vince chi sa lottare».
7) Manuel Locatelli
Se contasse solo gennaio sarebbe un anonimo emiliano. Ma in generale il suo girone d'andata è stato sontuoso, protagonista con il Sassuolo di Roberto De Zerbi d'una partenza folgorante. L'ex milanista nato a Lecco e ceduto troppo frettolosamente ha un futuro da top se riesce a dare continuità alle sue qualità. Nel centrocampo dei migliori, come in una staffetta invisibile, mentre esce lui entra Mattia Zaccagni, decisivo negli exploit del Verona e uomo mercato del momento (piace a Napoli, Roma, Milan). È più offensivo, perfino più dinamico. Va pesato da qui a maggio, la primavera di solito è crudele.
8) Frank Ribery
A 37 anni molto dipende da come ti alzi dal letto. Se appoggia il piede giusto (di solito il destro), il francese maledetto (nel senso di rive gauche) è ancora un fuoriclasse. Ti punta, ti sconvolge e va via in slalom fin dentro il cuore delle difese. Oppure con un tocco da biliardo ti manda in porta come fece con Federico Chiesa contro l'Inter e ha rifatto ancora, e ancora una volta. Una felicità per gli occhi, un astratto d'autore a Firenze. Lato oscuro della luna: quando prende il raffreddore deve star fuori due settimane. L'anagrafe è una disdetta per tutti.
9) Piotr Zielinski
Ha visione di gioco, passo, stangata da lontano. Il polacco è un signor tuttocampista moderno, l'uomo in più del Napoli di Rino Gattuso, una beatitudine per gli occhi dei tifosi che ancora ricordano con malinconia le folate di Marek Hamsik. Quando lui sbaglia una partita (la finale di Supercoppa contro la Juventus) gli azzurri rendono il 30% in meno. E questo è il segno di un'eccellenza costante. Se n'è accorto anche Jürgen Klopp che ha dato mandato di portarlo a Liverpool. Rinchiudetelo a Castel dell'Ovo e resistete.
10) Zlatan Ibrahimovic
Quattro numeri scolpiti nella pietra alla fine del girone d'andata: 12 gol in 9 partite, 39 anni e 1 milione di «chissenefrega». Ibra nella stagione da guru è tutto qui, immortale. Quando è arrivato sembrava un rottame di lusso dal destino segnato, oggi è l'anima del Milan capolista, non più in grado di scardinare le difese in assolo ma ancora capace di inventare gol nelle tonnare dell'area di rigore. E soprattutto strepitoso nel guidare la squadra verso la perfezione dal lunedì alla domenica. Si chiama carisma. E i chissenefrega? Sono le risposte a tutto di chi non ha più niente da dimostrare. Ibra è Ibra, un profeta. Quando esce stremato, nella nostra squadra entra M'Bala Nzola dello Spezia, 24 anni e 9 gol, una forza della natura.
11) Hirving Lozano
Sei mesi buoni per respirare i profumi del golfo ed entrare in sintonia con la pastiera, ed ecco il magico Alverman. Micidiale come ad Eindhoven, con il pallone fra i piedi il messicano mette paura a chiunque. Re del dribbling, manda in superiorità numerica l'attacco del Napoli a ogni finta, fa parte del tridente mignon (con Insigne e Mertens) capace di far venire il mal di testa alle difese. Quelle degli altri e la sua, vista la pigrizia nel rientrare. Non somiglia alla bambola assassina neppure per sbaglio, ma dai una fesseria in pasto ai giornalisti e la vedrai moltiplicata all'infinito. Se chiede il cambio si scaldi Henrikh Mkhitaryan, rifinitore mai espresso al 100% in Premier league che ha trovato alla Roma il terreno giusto per le sue magie.
Allenatore: Stefano Pioli
Fra gli allenatori condottieri (Klopp, Conte), gli allenatori filosofi (Guardiola, Sarri), gli allenatori gestori (Allegri, Mancini) oggi il massimo è avere un allenatore zio. Uno che manda in campo gli uomini nel ruolo giusto, non stressa mai le situazioni, cementa le qualità. Sa esaltare i singoli al servizio del gruppo con la saggezza del lavoro, anche se in questo il campione da panchina rimane Gian Piero Gasperini. Lo dimostrano i giocatori dell'Atalanta; lontano da lui tornano normali. Pioli è più umano. La sua parola d'ordine per ogni problema è: «Ci dormo sopra». Lassù sta facendo un sogno stupendo.
La flop 11

Sergej Milinkovic-Savic e Paulo Dybala (Getty Images)
1) Mattia Perin
Tre anni fa era il portiere italiano più interessante dopo l'enfant prodige Gigio Donnarumma. Esplosivo fra i pali, coraggioso in uscita, capace di interpretare il ruolo in chiave moderna. Il lungo letargo alla Juventus (non giocava mai) lo ha frenato e oggi il ragazzone di Latina (28 anni) fatica a recuperare le posizioni perdute. Poiché la solidità di chi c'è davanti conta, dall'arrivo di Davide Ballardini sulla panchina del Genoa ha smesso di vedere gli incubi ogni domenica. È al primo piolo della scala, può solo risalire la hit parade.
2) Hans Hateboer
Non è una provocazione, la freccia olandese è il calciatore meno migliorato nell'ultimo anno dentro lo strepitoso mucchio selvaggio dell'Atalanta. Anzi, dalla sua parte arrivano spesso pericoli per una difesa meno granitica che in passato. È il destino degli innovatori: tre anni fa Hans era imprendibile a supporto di Josip Ilicic, oggi nel ruolo molte altre squadre possono proporre giocatori migliori di lui (da Hakimi a Letizia, da Calabria a Cuadrado, da Hysaj a D'Ambrosio). Ha percorso più chilometri di un maratoneta per la causa orobica, normale che si fermi a rifiatare.
3) Leonardo Bonucci
Il sole della difesa della Juventus ha cominciato la sua parabola discendente. Il tramonto sarà lungo, forse ancora pieno di spettacolo, ma inevitabile come quello di tutti. Il centrale regista diventato famoso per il lancio alla Franz Beckenbauer è parte del cuore dell'Allianz Stadium ma nell'uno contro uno è diventato un giocatore normale. Usa l'anticipo, usa il mestiere, ma se la Signora oggi rischia qualche scuffia di troppo là dietro è anche perché il questurino numero uno ha le manette arrugginite. Avrebbe anche bisogno di una copertura più solida e costante da parte dei centrocampisti, ma Andrea Pirlo preferisce rischiare qualcosa in più per lo spettacolo. In primavera, con il ritorno della Champions e dell'adrenalina, tornerà a ruggire. Forse.
4) Diego Godin
L'altra faccia di un declino. All'Atletico Madrid era il guerriero uruguagio testimonial della «garra charrua» tanto cara a Lele Adani, che la mette su ogni pietanza sportiva come la rucola negli anni Ottanta. Nell'anno all'Inter ha perso le certezze della difesa a quattro, si è dovuto reinventare e l'età ha cominciato a bussare. Ha deciso di andare a Cagliari per amore (nel capoluogo sardo è nata e cresciuta la moglie Sofia), ma a 35 anni i cambiamenti si pagano. Ora balla come un comprimario qualsiasi fra i marosi della lotta per non retrocedere.
5) Manuel Lazzari
Paga la stagione altalenante della Lazio che ha nella difesa il punto debole. Paga anche le gastriti psicologiche di Sergej Milinkovic Savic che dovrebbe innescarlo molto meglio di così, nel ricordo di ciò che sapeva fare solo un anno fa. Sta di fatto che il ventisettenne di Valdagno ha il motore ingolfato anche se i numeri non lo bocciano: 1 gol e 4 assist sono molto meglio di niente. Ma in un calcio che si sviluppa sempre più sulle fasce, non riuscire a fare la differenza diventa un problema. Ha giocato un grande derby, ma il dettaglio non fa altro che aumentare i rimpianti.
6) José Maria Callejon
Vedi Napoli e poi muori (ovviamente a livello pallonaro). Il torero è scomparso dai radar, via dal San Paolo riesce faticosamente a trovare la strada per entrare in campo con gli altri dieci. Firenze è una piazza difficile e lui ci è arrivato male, acciaccato nel fisico e da reuccio con il nasino all'insù. Altro problema: i meccanismi imparati da Maurizio Sarri erano perfetti per esaltare le sue incursioni in area, mentre con Giuseppe Iachini e Cesare Prandelli non ha ancora trovato il giusto feeling per esplodere. Il tempo passa e i terminali del gioco - da Gaetano Castrovilli a Dusan Vlahovic a Christian Kouamè - sono altri.
7) Sergej Milinkovic-Savic
Mister 100 milioni (perché da qui si deve partire) si è incartato. Dopo due anni di splendori, ecco la battuta d'arresto facilmente spiegabile in due mosse. Prima: la Lazio è meno veloce della scorsa stagione e di conseguenza lui deve partire da fermo limitando molto la sua esplosività. Seconda: gli avversari hanno imparato a tamponare le irruzioni in area, lo raddoppiano e gli lasciano solo qualche (ancora devastante) colpo di testa. Una partita ottima, due ronfate. Peccato perché ha il fisico da corazziere, la tecnica da sudamericano e il passo da Premier league. Farebbe la differenza in un centrocampo top, è assurdo che non riesca a far volare la Lazio con maggiore continuità. L'ultimo salto di qualità finora non c'è stato e di questi tempi 100 milioni, Claudio Lotito, per lui se li scorda.
8) Arturo Vidal
Il gol alla Juventus non maschera proprio niente, finora il motore cileno dell'Inter è una delusione. Gioca molto, è furente e generoso come al suo arrivo in Italia con la maglia bianconera, ma oggi il suo è un pestare l'acqua nel mortaio. Con l'aggravante del danno procurato. Tutti ricordano un paio di interventi assassini nella propria area a provocare rigori evitabili, mazzate in testa ai compagni soprattutto nel fallimentare autunno di Champions. Antonio Conte lo ha fortemente voluto e si aspetta ancora molto. Dicono che stia lavorando duro per farsi trovare a bolla in primavera. Ma forse l'allenatore che per primo lo valorizzò a Torino ha in mente un calciatore che, a 33 anni, quell'intensità l'ha perduta per sempre.
9) Christian Eriksen
Corro o non corro, passo o non passo, resto o me ne vado: l'Amleto danese era la quintessenza dei flop e non solo per colpa sua. Principe malinconico dei trequartisti a disposizione di un allenatore che detesta i trequartisti (Conte al Chelsea riuscì a mandare in crisi perfino Eden Hazard), finora andava ricordato per una terrificante traversa nella rimonta del primo derby giocato contro il Milan (fine gennaio 2020). Tutto all'imperfetto perché poi è arrivato il derby di Coppa Italia con quel calcio di punizione perfetto, più alla Michel Platini che alla Mario Corso, con palla a volare sulla barriera e a morire quasi nel sette, a un chilometro dal portiere. Gol partita, fiammata d'amore. Nella schizofrenia del calcio tutto è possibile e gli spiccioli di gara dentro il cosiddetto garbage time, il tempo spazzatura, vengono dimenticati il fretta. Calma e gesso, per ora è solo un gran gol che non cambia il giudizio di «midterm». Arrivato all'Inter per esserne il leader, è scivolato in fondo alla panchina e non ha fatto niente per aggrapparsi al suo immenso talento. Troppo gentile, dicono ad Appiano.
10) Paulo Dybala
Il senso della squadra flop (a questo punto l'avrete capito da soli) è mettere in evidenza non chi è mediocre di suo ma chi si è tuffato partendo dal trampolino più alto. Ecco, Paulo Dybala ci ha messo anche il carpiato con avvitamento. Ha giocato la prima parte della stagione molto al di sotto dei suoi standard, ha pagato le idee non chiarissime di Pirlo e l'arrivo di Federico Chiesa, più abituato di lui a correre, rientrare, lottare. L'argentino resta un giocatore strepitoso, solista di livello assoluto se libero da obblighi tattici, in una squadra che non può permetterselo sempre e comunque, visto che Cr7 ha nome e titoli per esserlo più di tutti. È chiaro che un Dybala al top è indispensabile per andare avanti in Europa, e il folletto al top tornerà. Finora però non s'è visto e deve accontentarsi di fare il titolare qui.
11) Manolo Gabbiadini
Coronavirus, ernia al disco, malanni muscolari. Chi l'ha visto? Il caso del centravanti triste della Sampdoria è emblematico di quanto la fortuna possa incidere su una carriera. Potenzialmente fortissimo - ha scatto, dribbling, senso del gol - l'attaccante bergamasco non è mai riuscito a esprimersi per più di tre mesi consecutivi per colpa degli infortuni a raffica. In questa prima parte della stagione il clichè non è cambiato. E lui passa più tempo in palestra che in campo. Ormai è sulla soglia dei 30 anni. Più che un allenatore estimatore (Claudio Ranieri peraltro lo è e avrebbe voluto impiegarlo come Jamie Vardy al Leicester) avrebbe bisogno di un viaggio a Lourdes.
Allenatore: Marco Giampaolo
Spiace ma al Torino è finita come al Milan. Esonerato per la disperazione. Grande maestro di teoria, così geniale e documentato da poter insegnare all'università del pallone, in questa fase della sua carriera il tecnico nato a Bellinzona ha problemi insormontabili nel trasferire i dogmi fra le piastrelle umide degli spogliatoi e nel fango dei campi di calcio. Dove le sue squadre si ingegnano a seguirlo, al primo gol preso si smarriscono e nella smania di recuperare infine tracollano. Prima di entrare al Filadelfia la media punti di Giampaolo era 1,18 a partita, quando è uscito per l'ultima volta una settimana fa aveva collezionato 13 punti in 18 incontri. Media perfetta per andare in Serie B.
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Gianluigi Donnarumma, Theo Hernandez e Zlatan Ibrahimovic colonna vertebrale del miracoloso Milan di Stefano Pioli. Antonio Conte ha plasmato Nicolò Barella, che ora è il cuore pulsante dell'Inter, mentre il Napoli si aggrappa a Hirving Lozano e Piotr Zielinski. Gaetano Letizia e Manuel Locatelli belle novità.Paulo Dybala è disperso: senza di lui la Juve è inguaiata per l'Europa. Arturo Vidal non convince, Christian Eriksen resta una delusione da ogni punto di vista. Viale del tramonto amaro per Diego Godin, Leonardo Bonucci e José Maria Callejon. Qualcuno porti Manolo Gabbiadini a Lourdes.Lo speciale contiene due articoli.1) Gianluigi Donnarumma Un airone imperiale. Se il Milan è lassù significa che funziona alla perfezione l'asse verticale di una squadra vincente, come da ferreo principio breriano: portiere-mediano-mezzala-centravanti. Gigio ha fatto l'ultimo salto di qualità, meno farfallone (tre o quattro sciocchezze per girone le concedeva) e più leader. Numero uno assoluto. Ora dovrà esserlo anche fuori dal campo, nel rinnovo del contratto: se dà retta al cuore e non a Mino Raiola può diventare l'uomo simbolo del Milan per i prossimi 10 anni. Dovesse avere il torcicollo faremmo entrare Juan Musso dell'Udinese, uno con la reattività di Julio Cesar da tenere d'occhio.2) Gaetano LetiziaScampia, Aversa Normanna, Carpi, Benevento. Che ci faccio qui? Eppure a 30 anni Gaetano detto Frecciarossa è il giocatore simbolo del Benevento che oggi sarebbe comodamente salvo. È anche emblema di un calcio dei poveri ma belli, che sul pianeta Covid sta ricominciando a spolverare piccoli diamanti di provincia con risultati sorprendenti. Tre gol da terzino (uno alla Juventus), chilometri mangiati come ciliegie, qualità nella testa per giocare anche a centrocampo. L'Hakimi italiano, che bel regalo. Peccato per l'infortunio d'inizio gennaio, ma ciò che ha fatto resta.3) Mathijs De LigtNel girone controverso della corazzata Juventus il centralone olandese è una delle poche certezze. Un anno in Italia lo ha sgrezzato, ora è un muro invalicabile in difesa, un supporto prezioso in uscita e un fattore di testa in area avversaria. Ha anche imparato a giocare con le mani in tasca. Il club dovrà ridisegnare la difesa per motivi anagrafici (Bonucci e Chiellini sono al tramonto) ma ora sa di poterla costruire attorno al guerriero cresciuto all'Ajax Arena che i compagni chiamano Fatty (il grasso). Ma solo per i lineamenti del viso. 4) Alessandro BastoniIl lancio di 40 metri per Nicolò Barella nel derby d'Italia è il colpo più scenografico e assurdo di un giocatore che deve tutto ad Antonio Conte. Forte nei contrasti ma capace di ribaltare l'azione e di aggiungersi con profitto ai centrocampisti, il giovane (21 anni) centrale dell'Inter investe bene il suo tempo in campo ma anche fuori. Con la fidanzata influencer ha inventato un marchio di moda da gestire online, «No passa nada», non succede niente. Una volta si investiva in case (Aldo Serena) e in quadri (Billy Costacurta), ma i tempi cambiano. 5) Theo HernandezImprescindibile, talvolta immarcabile, capace di chiudere le partite con un gol dopo un'ora e mezza quando gli altri non ne hanno più. Determinante per il successo del Milan di Stefano Pioli, fonte primaria di quel gioco a scavalcare il centrocampo e innescare le punte con folate in contropiede (per noi non è una parolaccia) a mille all'ora. Il marsigliese di 23 anni oggi vale 50 milioni e ha un vantaggio sui colleghi stranieri: la Francia non lo convoca. Nel 2017 rifiutò una chiamata Under 21 e andò in vacanza a Marbella; per Didier Deshamps la pena non è finita. 6) Nicolò BarellaIn questo momento è il miglior centrocampista italiano. Un piacere per gli interisti (e anche per il ct Roberto Mancini) quando recupera palla e riparte tagliando il campo come fosse un panetto di burro, avversari compresi. A 23 anni il cagliaritano è l'anima profonda della squadra di Conte, che forse si rivede in lui. Mai stanco, anche quando l'Inter si addormenta Barella non smette di correre, di proporsi, di provare a vincere. Altra categoria. Per il tiro da lontano somiglia a Dejan Stankovic, ma lui sul profilo social ha un motto di Diego Simeone: «Non vincono sempre i buoni, vince chi sa lottare». 7) Manuel LocatelliSe contasse solo gennaio sarebbe un anonimo emiliano. Ma in generale il suo girone d'andata è stato sontuoso, protagonista con il Sassuolo di Roberto De Zerbi d'una partenza folgorante. L'ex milanista nato a Lecco e ceduto troppo frettolosamente ha un futuro da top se riesce a dare continuità alle sue qualità. Nel centrocampo dei migliori, come in una staffetta invisibile, mentre esce lui entra Mattia Zaccagni, decisivo negli exploit del Verona e uomo mercato del momento (piace a Napoli, Roma, Milan). È più offensivo, perfino più dinamico. Va pesato da qui a maggio, la primavera di solito è crudele.8) Frank RiberyA 37 anni molto dipende da come ti alzi dal letto. Se appoggia il piede giusto (di solito il destro), il francese maledetto (nel senso di rive gauche) è ancora un fuoriclasse. Ti punta, ti sconvolge e va via in slalom fin dentro il cuore delle difese. Oppure con un tocco da biliardo ti manda in porta come fece con Federico Chiesa contro l'Inter e ha rifatto ancora, e ancora una volta. Una felicità per gli occhi, un astratto d'autore a Firenze. Lato oscuro della luna: quando prende il raffreddore deve star fuori due settimane. L'anagrafe è una disdetta per tutti. 9) Piotr ZielinskiHa visione di gioco, passo, stangata da lontano. Il polacco è un signor tuttocampista moderno, l'uomo in più del Napoli di Rino Gattuso, una beatitudine per gli occhi dei tifosi che ancora ricordano con malinconia le folate di Marek Hamsik. Quando lui sbaglia una partita (la finale di Supercoppa contro la Juventus) gli azzurri rendono il 30% in meno. E questo è il segno di un'eccellenza costante. Se n'è accorto anche Jürgen Klopp che ha dato mandato di portarlo a Liverpool. Rinchiudetelo a Castel dell'Ovo e resistete. 10) Zlatan IbrahimovicQuattro numeri scolpiti nella pietra alla fine del girone d'andata: 12 gol in 9 partite, 39 anni e 1 milione di «chissenefrega». Ibra nella stagione da guru è tutto qui, immortale. Quando è arrivato sembrava un rottame di lusso dal destino segnato, oggi è l'anima del Milan capolista, non più in grado di scardinare le difese in assolo ma ancora capace di inventare gol nelle tonnare dell'area di rigore. E soprattutto strepitoso nel guidare la squadra verso la perfezione dal lunedì alla domenica. Si chiama carisma. E i chissenefrega? Sono le risposte a tutto di chi non ha più niente da dimostrare. Ibra è Ibra, un profeta. Quando esce stremato, nella nostra squadra entra M'Bala Nzola dello Spezia, 24 anni e 9 gol, una forza della natura.11) Hirving LozanoSei mesi buoni per respirare i profumi del golfo ed entrare in sintonia con la pastiera, ed ecco il magico Alverman. Micidiale come ad Eindhoven, con il pallone fra i piedi il messicano mette paura a chiunque. Re del dribbling, manda in superiorità numerica l'attacco del Napoli a ogni finta, fa parte del tridente mignon (con Insigne e Mertens) capace di far venire il mal di testa alle difese. Quelle degli altri e la sua, vista la pigrizia nel rientrare. Non somiglia alla bambola assassina neppure per sbaglio, ma dai una fesseria in pasto ai giornalisti e la vedrai moltiplicata all'infinito. Se chiede il cambio si scaldi Henrikh Mkhitaryan, rifinitore mai espresso al 100% in Premier league che ha trovato alla Roma il terreno giusto per le sue magie.Allenatore: Stefano PioliFra gli allenatori condottieri (Klopp, Conte), gli allenatori filosofi (Guardiola, Sarri), gli allenatori gestori (Allegri, Mancini) oggi il massimo è avere un allenatore zio. Uno che manda in campo gli uomini nel ruolo giusto, non stressa mai le situazioni, cementa le qualità. Sa esaltare i singoli al servizio del gruppo con la saggezza del lavoro, anche se in questo il campione da panchina rimane Gian Piero Gasperini. Lo dimostrano i giocatori dell'Atalanta; lontano da lui tornano normali. Pioli è più umano. La sua parola d'ordine per ogni problema è: «Ci dormo sopra». Lassù sta facendo un sogno stupendo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/promossi-bocciati-pagelle-serie-a-2650179272.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-flop-11" data-post-id="2650179272" data-published-at="1611957631" data-use-pagination="False"> La flop 11 Sergej Milinkovic-Savic e Paulo Dybala (Getty Images) 1) Mattia Perin Tre anni fa era il portiere italiano più interessante dopo l'enfant prodige Gigio Donnarumma. Esplosivo fra i pali, coraggioso in uscita, capace di interpretare il ruolo in chiave moderna. Il lungo letargo alla Juventus (non giocava mai) lo ha frenato e oggi il ragazzone di Latina (28 anni) fatica a recuperare le posizioni perdute. Poiché la solidità di chi c'è davanti conta, dall'arrivo di Davide Ballardini sulla panchina del Genoa ha smesso di vedere gli incubi ogni domenica. È al primo piolo della scala, può solo risalire la hit parade. 2) Hans Hateboer Non è una provocazione, la freccia olandese è il calciatore meno migliorato nell'ultimo anno dentro lo strepitoso mucchio selvaggio dell'Atalanta. Anzi, dalla sua parte arrivano spesso pericoli per una difesa meno granitica che in passato. È il destino degli innovatori: tre anni fa Hans era imprendibile a supporto di Josip Ilicic, oggi nel ruolo molte altre squadre possono proporre giocatori migliori di lui (da Hakimi a Letizia, da Calabria a Cuadrado, da Hysaj a D'Ambrosio). Ha percorso più chilometri di un maratoneta per la causa orobica, normale che si fermi a rifiatare. 3) Leonardo Bonucci Il sole della difesa della Juventus ha cominciato la sua parabola discendente. Il tramonto sarà lungo, forse ancora pieno di spettacolo, ma inevitabile come quello di tutti. Il centrale regista diventato famoso per il lancio alla Franz Beckenbauer è parte del cuore dell'Allianz Stadium ma nell'uno contro uno è diventato un giocatore normale. Usa l'anticipo, usa il mestiere, ma se la Signora oggi rischia qualche scuffia di troppo là dietro è anche perché il questurino numero uno ha le manette arrugginite. Avrebbe anche bisogno di una copertura più solida e costante da parte dei centrocampisti, ma Andrea Pirlo preferisce rischiare qualcosa in più per lo spettacolo. In primavera, con il ritorno della Champions e dell'adrenalina, tornerà a ruggire. Forse. 4) Diego Godin L'altra faccia di un declino. All'Atletico Madrid era il guerriero uruguagio testimonial della «garra charrua» tanto cara a Lele Adani, che la mette su ogni pietanza sportiva come la rucola negli anni Ottanta. Nell'anno all'Inter ha perso le certezze della difesa a quattro, si è dovuto reinventare e l'età ha cominciato a bussare. Ha deciso di andare a Cagliari per amore (nel capoluogo sardo è nata e cresciuta la moglie Sofia), ma a 35 anni i cambiamenti si pagano. Ora balla come un comprimario qualsiasi fra i marosi della lotta per non retrocedere. 5) Manuel Lazzari Paga la stagione altalenante della Lazio che ha nella difesa il punto debole. Paga anche le gastriti psicologiche di Sergej Milinkovic Savic che dovrebbe innescarlo molto meglio di così, nel ricordo di ciò che sapeva fare solo un anno fa. Sta di fatto che il ventisettenne di Valdagno ha il motore ingolfato anche se i numeri non lo bocciano: 1 gol e 4 assist sono molto meglio di niente. Ma in un calcio che si sviluppa sempre più sulle fasce, non riuscire a fare la differenza diventa un problema. Ha giocato un grande derby, ma il dettaglio non fa altro che aumentare i rimpianti. 6) José Maria Callejon Vedi Napoli e poi muori (ovviamente a livello pallonaro). Il torero è scomparso dai radar, via dal San Paolo riesce faticosamente a trovare la strada per entrare in campo con gli altri dieci. Firenze è una piazza difficile e lui ci è arrivato male, acciaccato nel fisico e da reuccio con il nasino all'insù. Altro problema: i meccanismi imparati da Maurizio Sarri erano perfetti per esaltare le sue incursioni in area, mentre con Giuseppe Iachini e Cesare Prandelli non ha ancora trovato il giusto feeling per esplodere. Il tempo passa e i terminali del gioco - da Gaetano Castrovilli a Dusan Vlahovic a Christian Kouamè - sono altri. 7) Sergej Milinkovic-Savic Mister 100 milioni (perché da qui si deve partire) si è incartato. Dopo due anni di splendori, ecco la battuta d'arresto facilmente spiegabile in due mosse. Prima: la Lazio è meno veloce della scorsa stagione e di conseguenza lui deve partire da fermo limitando molto la sua esplosività. Seconda: gli avversari hanno imparato a tamponare le irruzioni in area, lo raddoppiano e gli lasciano solo qualche (ancora devastante) colpo di testa. Una partita ottima, due ronfate. Peccato perché ha il fisico da corazziere, la tecnica da sudamericano e il passo da Premier league. Farebbe la differenza in un centrocampo top, è assurdo che non riesca a far volare la Lazio con maggiore continuità. L'ultimo salto di qualità finora non c'è stato e di questi tempi 100 milioni, Claudio Lotito, per lui se li scorda. 8) Arturo Vidal Il gol alla Juventus non maschera proprio niente, finora il motore cileno dell'Inter è una delusione. Gioca molto, è furente e generoso come al suo arrivo in Italia con la maglia bianconera, ma oggi il suo è un pestare l'acqua nel mortaio. Con l'aggravante del danno procurato. Tutti ricordano un paio di interventi assassini nella propria area a provocare rigori evitabili, mazzate in testa ai compagni soprattutto nel fallimentare autunno di Champions. Antonio Conte lo ha fortemente voluto e si aspetta ancora molto. Dicono che stia lavorando duro per farsi trovare a bolla in primavera. Ma forse l'allenatore che per primo lo valorizzò a Torino ha in mente un calciatore che, a 33 anni, quell'intensità l'ha perduta per sempre. 9) Christian Eriksen Corro o non corro, passo o non passo, resto o me ne vado: l'Amleto danese era la quintessenza dei flop e non solo per colpa sua. Principe malinconico dei trequartisti a disposizione di un allenatore che detesta i trequartisti (Conte al Chelsea riuscì a mandare in crisi perfino Eden Hazard), finora andava ricordato per una terrificante traversa nella rimonta del primo derby giocato contro il Milan (fine gennaio 2020). Tutto all'imperfetto perché poi è arrivato il derby di Coppa Italia con quel calcio di punizione perfetto, più alla Michel Platini che alla Mario Corso, con palla a volare sulla barriera e a morire quasi nel sette, a un chilometro dal portiere. Gol partita, fiammata d'amore. Nella schizofrenia del calcio tutto è possibile e gli spiccioli di gara dentro il cosiddetto garbage time, il tempo spazzatura, vengono dimenticati il fretta. Calma e gesso, per ora è solo un gran gol che non cambia il giudizio di «midterm». Arrivato all'Inter per esserne il leader, è scivolato in fondo alla panchina e non ha fatto niente per aggrapparsi al suo immenso talento. Troppo gentile, dicono ad Appiano. 10) Paulo Dybala Il senso della squadra flop (a questo punto l'avrete capito da soli) è mettere in evidenza non chi è mediocre di suo ma chi si è tuffato partendo dal trampolino più alto. Ecco, Paulo Dybala ci ha messo anche il carpiato con avvitamento. Ha giocato la prima parte della stagione molto al di sotto dei suoi standard, ha pagato le idee non chiarissime di Pirlo e l'arrivo di Federico Chiesa, più abituato di lui a correre, rientrare, lottare. L'argentino resta un giocatore strepitoso, solista di livello assoluto se libero da obblighi tattici, in una squadra che non può permetterselo sempre e comunque, visto che Cr7 ha nome e titoli per esserlo più di tutti. È chiaro che un Dybala al top è indispensabile per andare avanti in Europa, e il folletto al top tornerà. Finora però non s'è visto e deve accontentarsi di fare il titolare qui. 11) Manolo Gabbiadini Coronavirus, ernia al disco, malanni muscolari. Chi l'ha visto? Il caso del centravanti triste della Sampdoria è emblematico di quanto la fortuna possa incidere su una carriera. Potenzialmente fortissimo - ha scatto, dribbling, senso del gol - l'attaccante bergamasco non è mai riuscito a esprimersi per più di tre mesi consecutivi per colpa degli infortuni a raffica. In questa prima parte della stagione il clichè non è cambiato. E lui passa più tempo in palestra che in campo. Ormai è sulla soglia dei 30 anni. Più che un allenatore estimatore (Claudio Ranieri peraltro lo è e avrebbe voluto impiegarlo come Jamie Vardy al Leicester) avrebbe bisogno di un viaggio a Lourdes. Allenatore: Marco Giampaolo Spiace ma al Torino è finita come al Milan. Esonerato per la disperazione. Grande maestro di teoria, così geniale e documentato da poter insegnare all'università del pallone, in questa fase della sua carriera il tecnico nato a Bellinzona ha problemi insormontabili nel trasferire i dogmi fra le piastrelle umide degli spogliatoi e nel fango dei campi di calcio. Dove le sue squadre si ingegnano a seguirlo, al primo gol preso si smarriscono e nella smania di recuperare infine tracollano. Prima di entrare al Filadelfia la media punti di Giampaolo era 1,18 a partita, quando è uscito per l'ultima volta una settimana fa aveva collezionato 13 punti in 18 incontri. Media perfetta per andare in Serie B.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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