Da premier Giorgia Meloni ha restituito 10 volte più dei predecessori.Chi ha passato ai giornali la risposta all’interrogazione di Italia viva sui regali ricevuti da Giorgia Meloni nei suoi incontri istituzionali pensava di mettere in difficoltà la premier. Ma la mossa si sta trasformando in un clamoroso autogol, dal momento che sta emergendo come in passato la restituzione dei doni fosse una prassi poco diffusa. Per esempio il 3 novembre 2016 Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio, fa tappa alla Colnago, tempio delle biciclette da corsa con quartier generale a Cambiago, nel Milanese. Gira per lo stabilimento, stringe mani, sorride alle maestranze. Poi arriva il regalo: una citybike confezionata su misura. Verniciatura viola, omaggio alla Fiorentina, la squadra del cuore del premier. Quella bicicletta non risulta nell’elenco dei beni ricevuti dal capo del governo durante l’esercizio delle proprie funzioni e conservati nei depositi del cerimoniale di Palazzo Chigi (destinazione obbligata per i doni di valore superiore ai 300 euro). Forse perché un anno dopo è stato lo stesso Renzi a mostrarla orgoglioso su Twitter. Ha pubblicato la foto della bici parcheggiata con sopra il sellino una maglietta celeste. Con tanto di didascalia: «Bici fantastica, maglia storica, ma le salite di Rignano sembravano il Mortirolo. Avanti (ma oggi avanti piano). Buona domenica». Dunque pure un po’ di pubblicità alla Colnago. Ma veniamo all’autogol dei renziani. Meloni, in poco più di due anni e mezzo di governo, ha riempito i depositi di Palazzo Chigi come nessuno prima di lei. Con 278 doni ufficiali ricevuti e inventariati in 925 giorni, ha una media da record: un regalo ogni 3,3 giorni. Una frequenza dieci volte superiore rispetto a quella dei premier che l’hanno preceduta. Dal governo Monti a quello Draghi, in 3.993 giorni complessivi di incarico, i primi ministri italiani hanno lasciato negli archivi istituzionali appena 129 regali, ovvero uno ogni 30,9 giorni. Mario Monti 19 in 528 giorni (con una media di una restituzione ogni 27,8 giorni); Enrico Letta quattro in 300 giorni (la sua media è la peggiore, una restituzione ogni 75 giorni); Renzi 15 in 1.023 (una riconsegna ogni 68.2 giorni, a un francobollo da Letta); Paolo Gentiloni 12 in 535 (con una media di 44,6 giorni); Giuseppe Conte, nonostante la crisi pandemica, ne ha restituiti 59 in 987 giorni (16,7); Draghi, 20 in 617 (30,8). Tutti insieme, non raggiungono nemmeno la metà del «bottino» della Meloni. Una sproporzione che non si spiega con l’attivismo diplomatico, né con i mutati scenari geopolitici. Si spiega solo con il fatto che con l’attuale capo del governo ogni dono ricevuto è stato trattato per ciò che è: un bene dello Stato, non un souvenir personale. Qui parlano i numeri. E raccontano una storia diversa da quella narrata dai commentatori da salotto. Le regole sono lì da quasi 20 anni. A scriverle fu il governo di Romano Prodi, il 20 dicembre 2007. Un decreto del presidente del Consiglio mise ordine ai regali ricevuti dai ministri e dai loro familiari. Li chiamano «doni di rappresentanza». Se valgono più di 300 euro non possono finire nelle vetrinette di casa: vanno consegnati al cerimoniale di Palazzo Chigi. Restano di proprietà dello Stato. Ma la vera questione è un’altra: quei cadeaux devono essere inventariati, catalogati uno per uno. Ed è proprio l’inventario, che La Verità ha potuto consultare, a fare da cartina al tornasole: per anni è rimasto semi-vuoto. Il nostro quotidiano aveva già ricostruito parte dell’elenco di regali che durante il premierato di Renzi non aveva preso la strada di Palazzo Chigi, ma quella del magazzino della Eventi 6, la società di famiglia del fu Rottamatore. Poi, come questo giornale ha ricordato ieri, alcuni oggetti finirono nelle mani di cittadini di Rignano e comuni limitrofi. E, solo quando saltò il coperchio, da casa Renzi partì l’estremo tentativo di recupero. In ogni caso, alla fine, una parte del «malloppo» sarebbe finito addirittura nell’immondizia. Da Palazzo Chigi, come certifica una sentenza civile, avviarono degli accertamenti che, al momento, però, sembrano finiti nell’oblio.Nei giorni scorsi i media progressisti hanno scoperto il pozzo di San Patrizio dei regali ricevuti dai premier in carica. E hanno squadernato la lista dei regali, dalle scarpe pitonate al foulard che la Meloni ha ricevuto dal premier albanese Edi Rama, lasciando immaginare che quei doni non richiesti potessero rappresentare un’utilità personale. In realtà quegli oggetti sono rimasti a Chigi e, quanto alla loro eccentricità basta dare un’occhiata agli omaggi del passato per comprendere che la tipologia dei doni è più o meno sempre dello stesso genere. Si tratta di preziosi, di monili esotici, a volte kitsch, ma di certo simbolici. Come conferma il primo regalo ricevuto da Monti. Il 9 febbraio 2012, durante la sua visita a Washington, la leader dem Nancy Pelosi, lo omaggiò di un piatto con la raffigurazione dell’Apoteosi di George Washington. L’ex premier ha ricevuto anche orologi, incisioni, quadri, pennini con calamaio d’argento, monete commemorative, vasi, calici e perfino un orologio Bulgari da donna. Nell’elenco anche un costume arabo ricamato e un fossile di pesce in una scatola di legno che gli consegnò direttamente il primo ministro del Libano Nagib Mikati. Poi è arrivato Letta. Nei 300 giorni del suo governo ha ricevuto dei gemelli da polso in argento dal solito Edi Rama, un servizio da tè dalla Thailandia, un portacandele a forma di testa di cervo dalla Bulgaria e delle monete in un cofanetto dal primo ministro del Kuwait. I verbali di consegna risalgono tutti al 2018. Anche per Gentiloni. Per quest’ultimo ne segue un secondo del 10 maggio. Il primo omaggio è datato 18 aprile 2017, quando va in Cina a far visita al presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping: un vaso di ceramica decorato di blu. Segue il sigillo personale del principe Tommaso di Savoia consegnato da Vladimir Putin. E poi quadri, orologi, una pesante foca di bronzo, una collana girocollo e una di perle, un pouf e sculture varie. Il verbale di consegna dei regali di Conte è del 10 aprile 2024. Anche a Giuseppi è arrivato di tutto: da una teca in legno e vetro con all’interno una palma colombiana ai set da tè, vassoi e piatti, il manifesto del Lingotto Fiat, un alberello profumato, un tappeto, una sciabola d’oro, la Divina commedia, un tagliacarte e un fermacravatta con gemelli, un orologio Omega, quadri e quadretti, dei francobolli, una balena di marmo, un guerriero sul cammello, incensiere e profumi, una testa di antilope in metallo e la Basilica dei frati di Assisi. Draghi ha in comune con Conte la data di consegna: 10 aprile 2024. Ma meno doni in cassa: un piatto e un quadro, tre lingotti d’argento dall’Armenia, un’anfora, una penna e un porta bon-bon. Il governo Conte, però, più che per i regali ricevuti, passerà alla storia per quelli consegnati alle altre personalità. O, meglio, per il discutibile gusto delle scelte. Altro che artigianato italiano o eccellenze del made in Italy: a leggere l’inventario dello scambio di regali sembra di essere davanti a souvenir last minute. Oggetti talvolta anonimi, altre quasi imbarazzanti. A Palazzo Chigi probabilmente nessuno ha mai osato dirglielo, ma l’impressione, documenti alla mano, è che Giuseppi si sia affidato più al gusto personale che al protocollo diplomatico. Si va da una cassetta d’olio per il vicepresidente Usa Richard Pence (che invece gli ha donato un orologio da tavolo dorato), incontrato a villa Pamphili, a un’acquaforte per il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan Liam Alyev che, invece, ha consegnato a Palazzo Chigi il dipinto di un melograno e dei libri. A Emmanuel Macron ha regalato un soprammobile a forma di Vesuvio e in cambio ha ricevuto una penna Dupont. Il presidente francese, però, anche in una precedente visita si era presentato con la stessa penna. E Conte aveva risposto con il medesimo oggetto, ma di un marchio nostrano, una patriottica Aurora. A un certo punto il premier grillino è sembrato anche un po’ ripetitivo: varie cravatte e foulard Talarico e ben cinque svuotatasche. Per la consorte dell’ambasciatore americano ha scelto una scatola di talco. Mentre al ministro degli Esteri tunisino Khemaies Jhinaoui ha fatto trovare una confezione di Illy caffè. Lo stesso presente che ha riservato al re di Giordania Abdullah II. Per la sua consorte, Rania, invece, ha scelto due calici «Murano più». In un viaggio a Buenos Aires, durante il quale ha incontrato il principe ereditario dell’Arabia Saudita, si è tolto il pensiero con una alzatina in vetro di Murano. Infine, durante una visita a Sofia, ha offerto al premier bulgaro Boyko Borissov una maglia della nazionale di calcio italiana. Ed è tornato a Roma con una riproduzione del tesoro valchitran, l’oro tracio più antico mai trovato sul territorio della Bulgaria.
Ansa
- In Italia soffrono i settori della plastica riciclata e del riuso tessile. Pure chi ridà vita alla carta da macero è travolto da norme ecologiche pesanti. Nella mobilità elettrica a due ruote le aziende sono finite in crisi.
- L’Ets 2, il sistema Ue pensato (male) per costringere aziende e famiglie a passare alle rinnovabili, si estende anche all’edilizia residenziale e ai semplici autotrasportatori. Risultato: il prezzo del metano salirà del 35%, carburanti più cari di 17 cent/litro.
Lo speciale contiene due articoli
SIgfrido Ranucci (Ansa)
Faccio il direttore da trent’anni, dunque credo di avere qualche titolo per parlare di libertà di stampa. Sono stato il primo giornalista a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e il primo a ottenere una condanna dell’Italia contro la legge che punisce i cronisti con la detenzione.
Carlo Rubbia (Ansa)
Un convegno dell’Accademia, un tempo prestigiosa, rilancia i soliti luoghi comuni.
Giuseppe Vinci (Ansa)
Giuseppe Vinci, rapito nel 1994, figlio del titolare di una catena di supermarket restò prigioniero 310 giorni: «I carcerieri erano miei conterranei e la sera uno mi parlava per un quarto d’ora. In catene avevo un incubo: mi liberavano per il weekend “però lunedì torni qua”».






