2025-02-06
C’è un’offerta a Israele e sauditi dietro ai progetti di Trump per Gaza
Donald Trump e Benjamin Netanyahu (Ansa)
Donald vuol controllare temporaneamente la Striscia per dare garanzie a chi investirà sulla ricostruzione. Poi subentrerebbe Riad, ben vista da Gerusalemme. Che intanto media col Libano in favore dei drusi.Le parole di Donald Trump sul futuro di Gaza hanno destato un certo scalpore. L’inquilino della Casa Bianca ha infatti auspicato che il governo americano possa prendere temporaneamente il controllo della Striscia durante la ricostruzione, per rendere il territorio una nuova «riviera». Ha poi sostenuto che i palestinesi dovrebbero essere spostati. «Non credo che la gente dovrebbe tornare a Gaza», ha detto. «Gaza non è un posto in cui la gente dovrebbe vivere, e l’unica ragione per cui vogliono tornare, e lo credo fermamente, è perché non hanno alternative», ha proseguito, pur non escludendo che, in futuro, almeno una parte dei palestinesi possa far ritorno nella Striscia. «Penso che la trasformeremo in un posto internazionale, incredibile. Penso che il potenziale nella Striscia di Gaza sia incredibile. E penso che il mondo intero, rappresentanti da tutto il mondo saranno lì e vivranno lì. Anche i palestinesi, i palestinesi vivranno lì», ha affermato. Come che sia, ieri la Casa Bianca ha precisato che il presidente «non si è ancora impegnato» a inviare soldati americani a Gaza. «Il presidente è pronto a ricostruire Gaza per i palestinesi e per tutte le persone della regione, persone amanti della pace», ha aggiunto.Ora, ci sono due elementi interconnessi da sottolineare. In primis, è possibile che Trump voglia rispolverare almeno una parte del piano di pace che aveva presentato durante il primo mandato: il cosiddetto «accordo del secolo». Quell’intesa, che era stata appoggiata da Israele e Arabia Saudita, prevedeva investimenti dal valore di 50 miliardi di dollari nell’arco di un decennio: oltre la metà sarebbe andata ai territori palestinesi, il resto sarebbe stato impiegato in Libano, Egitto e Giordania. Al di là delle cifre e dei dettagli, il presidente americano vuole ritornare a quel tipo di logica in vista della ricostruzione di Gaza. Trump ha, in altre parole, la necessità di attrarre investitori. E, in tal senso, vuole utilizzare il temporaneo controllo della Striscia da parte del governo americano come una forma di garanzia.E qui arriviamo al secondo elemento: quello di natura geopolitica. Stando a quanto risulta alla Verità, l’idea di Trump sarebbe quella di spostare i palestinesi soprattutto nella parte meridionale della Giordania e di porre man mano la Striscia sotto l’influenza più o meno diretta di Riad. È vero che ieri il ministero degli Esteri saudita ha criticato la proposta del presidente americano di trasferire i palestinesi. Ma è altrettanto vero che Riad deve muoversi in modo circospetto. Senza trascurare che, se un domani dovesse realmente far rientrare Gaza nella propria orbita di influenza, l’Arabia Saudita acquisirebbe de facto un porto nel Mediterraneo. In prospettiva, sarebbero quindi i sauditi a portare avanti i progetti di ricostruzione e di rilancio della Striscia: il che rappresenterebbe anche un fattore di rassicurazione per Israele.Non a caso, l’altro ieri il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Mike Waltz, ha auspicato un’estensione degli Accordi di Abramo, strizzando così evidentemente l’occhio a Riad. Dall’altra parte, l’Arabia Saudita ha ufficialmente escluso di voler normalizzare le relazioni con Israele senza uno Stato palestinese. Una posizione, questa, che potrebbe essere semplicemente tattica. Oppure una richiesta da usare come pedina negoziale nelle trattative con la Casa Bianca. E comunque attenzione: secondo il Times of Israel, dietro il nuovo piano di Trump ci sarebbe il genero Jared Kushner: lo stesso architetto dell’«accordo del secolo» che, come dicevamo, all’epoca fu appoggiato sia dagli israeliani che dai sauditi. Questo rende quanto meno improbabile che la proposta avanzata dal presidente americano abbia veramente sorpreso Riad. Anzi, non è affatto escludibile che, al di là delle critiche di rito, i sauditi fossero stati avvertiti in anticipo dell’idea. E chissà che magari non l’abbiano addirittura appoggiata dietro le quinte. Poi ovviamente non è affatto detto che il piano vada in porto. Le principali reazioni internazionali sono infatti state generalmente negative: Regno Unito, Australia, Emirati arabi, Giordania, Egitto, Cina, Russia e Turchia hanno tutti invocato la soluzione dei due Stati. Critiche a Trump sono poi arrivate dall’Anp e dalla Jihad islamica. Bisognerà quindi, in caso, vedere se Riad riuscirà a ritagliarsi adeguato margine di manovra.Fatto sta che, sempre martedì, Trump ha lanciato un indubbio segnale amichevole verso israeliani e sauditi, ripristinando la politica della «massima pressione» sull’Iran e ribadendo che gli Stati Uniti non accetteranno che Teheran si doti della bomba atomica: uno scenario, quest’ultimo, da sempre temuto sia a Gerusalemme che a Riad. Ciò detto, Trump ha al contempo teso un ramoscello d’ulivo agli ayatollah, dicendosi pronto a negoziare un accordo sul nucleare con loro. Il presidente ha inoltre definito «esagerate» le indiscrezioni su eventuali attacchi statunitensi e israeliani contro l’Iran. Questo significa che l’inquilino della Casa Bianca vuole, sì, un regime khomeinista depotenziato e senza l’arma atomica. Ma significa anche che, una volta che tale obiettivo sia stato raggiunto, Teheran potrebbe essere coinvolta in una strategia di contenimento nei confronti dello strapotere turco in Siria: uno strapotere malvisto non solo da Trump ma anche dagli israeliani e dai sauditi, che temono i legami di Mohammed al Jolani con Ankara e con la Fratellanza musulmana. In tal senso, l’obiettivo del presidente americano è probabilmente quello di mettere l’Iran con le spalle al muro, per costringerlo poi negoziare un nuovo accordo sul nucleare, facendo sedere anche sauditi e israeliani al tavolo delle trattative.Ma la Siria entrerebbe nella partita anche da un altro punto di vista. Stando a quanto risulta alla Verità, i drusi siriani sarebbero in trattative con Israele, affinché quest’ultimo convinca il Libano a garantir loro una parte di territorio meridionale, dove potrebbero risiedere. L’area sarebbe più o meno quella attualmente interessata da Unifil. Sotto questo aspetto, è interessante notare come il nuovo presidente libanese, Joseph Aoun, sia considerato piuttosto vicino a Riad. Non a caso, a fine gennaio, ha ricevuto a Beirut il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan Al-Saud: erano 15 anni che un ministro degli Esteri saudita non visitava la capitale libanese.
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