2022-04-03
I profeti dell’apartheid la fanno facile e adesso chiedono una pacificazione
Fabrizio Pregliasco (Ansa)
Le virostar confessano sul piano liberticida. Fabrizio Pregliasco: ci aspettavamo uno zoccolo duro di no vax. Matteo Bassetti: la card era un obbligo mascherato. Multe in arrivo per gli over 50 e mobbing di Stato ai docenti.Lo studio di un cattedratico tedesco dimostra la correlazione tra reazioni avverse e livello di dosaggio del siero. «Occhio al controllo della qualità nella produzione».Lo speciale contiene due articoli.Devono avere proprio le facce di bronzo, per dire che adesso ci vuole la «pacificazione». Dopo mesi in cui hanno fomentato la guerra civile. Dopo aver dato ai non vaccinati degli untori («Gran parte dei problemi dipende da loro», sbottava Mario Draghi il 10 gennaio), nonché degli assassini (sempre Draghi, il 22 luglio 2021: «Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire»). Dopo aver represso i no green pass a colpi di idranti. Dopo aver vietato le piazze, spalancandole però a Forza nuova, così si poteva dimostrare che i no green pass erano tutti fascisti. E, come se non bastasse, mentre si preparano all’ultimo raid contro i renitenti: due milioni di multe in arrivo agli ultracinquantenni, rei di non aver porto il braccio alla patria. Alla faccia della tabella di marcia per il ritorno alla normalità. Alla faccia della riconquista della libertà - vigilata, s’intende, se no a Repubblica si preoccupano. Guardate con che candore pontifica Fabrizio Pregliasco: «Si sapeva che ci sarebbe stato uno zoccolo duro di non vaccinati». Toh. Lo conferma il sottosegretario Andrea Costa: «Sapevamo di dover tener conto della resistenza di uno zoccolo duro anti vaccinista, per fortuna una minoranza». «In ogni caso», rassicura Matteo Bassetti, «il numero dei non vaccinati oggi non è preoccupante». Ma allora, perché impostare un regime fondato sul green pass? Il tesserino, chiosa il primario di Genova, «ha completamente esaurito il suo compito, che era quello di far sì che le persone si vaccinassero». Ah sì? L’inquilino di Palazzo Chigi ce la mise in un modo diverso: il lasciapassare era «la garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose». Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, lo sostiene tuttora. Ma poi, questo foglietto verde, ha veramente trainato la campagna d’inoculazioni? Manco per idea: da quando è stato introdotto, la scorsa estate, non c’è stata alcuna impennata duratura. E l’ulteriore inasprimento, varato tra l’autunno (con l’imposizione della card nei luoghi di lavoro) e l’inverno (con l’invenzione del super green pass e l’obbligo vaccinale per gli over 50), è stato pressoché ininfluente. Di sicuro, la cosiddetta «spinta gentile» non ha sortito effetti tali da giustificare l’esacerbamento dei conflitti sociali e familiari, la gogna tra i banchi di scuola, l’apartheid in fabbriche e uffici, l’esclusione dall’attività sportiva dei ragazzini. In definitiva, la barbarie. «Peccato si sia perso lo spirito di solidarietà», sospirava venerdì, sul Corriere della Sera, Franco Locatelli, coordinatore dell’ora pensionato Cts. Chissà per colpa di chi: c’entrerà mica il fatto che una parte degli italiani è stata umiliata, privata dei diritti costituzionali e usata come capro espiatorio degli errori del governo? Sarà perché le regole vessatorie introdotte nel nostro Paese hanno generato milioni di «invisibili», come li abbiamo chiamati sulla Verità? Sarà perché ci hanno detto che bisognava fidarsi della scienza, ma poi la scienza erano quelli come Locatelli, il quale, a giugno, prometteva l’immunità di gregge per agosto, massimo settembre, benché fosse già arcinoto che l’immunità di gregge era impossibile? In fin dei conti, il suo Cts era lo stesso che - parola di uno dei suoi membri, Donato Greco - suggerì il lockdown senza sapere se avrebbe funzionato, ma nella certezza che avrebbe ammazzato l’economia. È nel nome degli studenti spediti in Dad per non aver ricevuto la punturina, che bisognava restare solidali? È nel nome dei pazienti che l’ospedale di Pregliasco si rifiutava di operare, che oggi dovremmo arrivare «a una fase di pacificazione», come chiede lui? Proponendo, tra l’altro, la solita distopia da totalitarismo sanitario: un approccio «intermedio fra quella disattenzione che avevamo nel passato» e il delirio dirigista che il circo delle virostar ha difeso fino alla fine. «Ricordiamoci che prima del 2020 noi andavamo a lavorare con l’influenza». Nella nuova normalità, invece, quarantene, mascherine eterne e libertà vigilata? Invero, persino il Viminale sta mollando la presa. Ieri è partita una circolare ai prefetti: siccome è finito lo stato d’emergenza, rimodulate i controlli. Quanta grazia; niente più droni spia, niente più inseguimenti di chi corre sulla battigia e, a Pasquetta, nessun elicottero planerà sulle arrostate. Se ordini alle volanti di non inseguire i delinquenti, per decenza non puoi lasciare che bracchino gli incensurati. Tuttavia, uno sfizio ce lo si deve pur togliere: e allora, dagli con il mobbing di Stato sugli insegnanti non vaccinati, richiamati in servizio ma costretti a non fare nulla. E nel frattempo, sempre per arrivare alla «pacificazione», stanno per scattare le sanzioni ai cinquantenni no vax. Quelle comminate dall’Agenzia delle entrate, attingendo ai dati dell’anagrafe vaccinale, in virtù di un decreto che in pratica ha esautorato il Garante della privacy. Il Messaggero avvisa: l’obiettivo è «fare presto», prime multe da 100 euro entro il giorno della Risurrezione. Così, simbolicamente. Per far capire a tutti che c’è un clima di riconciliazione. Parola di Pregliasco: scambiatevi un segno di pace.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/profeti-apartheid-adesso-chiedono-pacificazione-2657085133.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piu-danni-col-vaccino-concentrato" data-post-id="2657085133" data-published-at="1648988741" data-use-pagination="False"> «Più danni col vaccino concentrato» Nei lotti dove la concentrazione di vaccino anti Covid era particolarmente alta, anche la percentuale di effetti avversi risultava più elevata. Ad affermarlo è Harald Matthes, direttore medico dell’ospedale comunitario di Havelhöhe e professore di ruolo presso l’Istituto di medicina sociale, epidemiologia ed economia sanitaria della Charité Berlin, la facoltà di medicina dei due maggiori atenei di Berlino, uno dei maggiori policlinici universitari d’Europa. In un’intervista su Focus online ha parlato dello studio che sta gestendo da un paio d’anni con i suoi collaboratori, registrando gli effetti collaterali segnalati dopo le vaccinazioni contro il coronavirus. Il professore tedesco presume che sia sottostimato almeno il 70% dei casi riportati dal Robert Koch Institute, ovvero 244.576 segnalazioni di reazioni avverse in un anno. Per i casi più gravi, l’equipe di Matthes sta valutando se sono stati fatti tutti gli esami di laboratorio necessari e cerca aiuto consultando i dati epidemiologici di Svezia, Danimarca, Canada e Israele perché «non esiste un registro epidemiologico in Germania. La protezione dei dati qui ha la precedenza». Quanto alle possibili cause scatenanti le reazioni avverse, il professore sostiene che «il decorso grave del Covid ha a che fare con un’eccessiva reazione immunitaria, e se ora vediamo che abbiamo sintomi simili post vaccinazione», allora sappiamo che c’entra la proteina spike. «Alcune strutture che ha la proteina spike sono ovviamente presenti in una forma simile nell’organismo, e vengono poi erroneamente identificate e attaccate, come in un’allergia», dichiara. Si spiegherebbe così anche la miocardite, l’infiammazione che si manifesta soprattutto nei più giovani vaccinati, «perché i vasi del muscolo cardiaco hanno questo recettore Ace-2, al quale la proteina spike si lega con particolare affinità». Matthes non è affatto contrario alla vaccinazione, ha anche gestito un centro vaccinale. Crede che si debbano fare tutti gli sforzi possibili per migliorare i prodotti oggi in uso per le campagne di massa e accelerare per avere un vaccino nuovo. Migliorando pure il check dei lotti, questione che già si impose con Astrazeneca quando alcune partite di dosi di vaccino furono ritirate in seguito a segnalazioni di gravi reazioni, seguite anche da decesso. Il medico tedesco sostiene che studiosi hanno segnalato il problema di concentrazioni più alte di vaccino, in lotti che poi hanno provocato più effetti collaterali. Non se ne mostra sorpreso perché, purtroppo «abbiamo avuto esperienze simili in passato con lo sviluppo di nuovi vaccini, abbiamo visto che ci vuole molto tempo prima che i lotti siano realmente standardizzati, specialmente quando vengono prodotti rapidamente e in grandi quantità». Nel caso dell’anti Covid, invece, la produzione di vaccini è stata fatta in tempi ultra veloci e «se si sviluppa qualcosa in così poco tempo, sarebbe effettivamente necessario allestire un registro delle vaccinazioni per poter identificare i segnali di allarme il più rapidamente possibile», oltre a un formidabile sistema di controllo qualità, commenta lo scienziato. L’intervista ad Harald Matthes esce una settimana dopo che Das Erste, canale televisivo tedesco, aveva mandato in onda un video dal titolo «Danni da vaccinazione: come la Germania è in ritardo nella ricerca». Si affermava che le persone colpite da reazioni avverse, si sentono lasciate sole dalla politica e dalla scienza. Combattono per il riconoscimento dei loro problemi, chiedono progetti di ricerca finanziati dal governo per capire perché il vaccino in alcuni provoca così tanti danni. Il video ha suscitato forti reazioni in Germania, con centinaia di commenti e segnalazioni di reazioni avverse mai prese in considerazione. Secondo Matthes, aver politicizzato la questione vaccinazione ha peggiorato l’attività di segnalazione, già bassa perché «per i medici è tutto lavoro in più, spesso non viene svolto a dovere». Non ci sono solo le reazioni avverse gravi, ma un enorme numero di problemi correlati al vaccino, di fattori di rischio per la vaccinazione, che si preferisce non approfondire.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)