2019-06-02
Gli ordini professionali garantiscono stipendi più alti. Ma trovarvi lavoro è più difficile
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Era il 1910 quando il Parlamento italiano istituì l'Ordine dei medici, dei farmacisti e dei veterinari. Poi fu il turno dell'Ordine nazionale dei giornalisti, introdotto dal governo Mussolini e controllato, fino al 1943, dal Sindacato fascista della stampa. È in età repubblicana, invece, che nacquero l'Ordine nazionale dei biologici, quello degli assistenti sociali e quello degli psicologi. Di ordine in ordine siamo arrivati a ben 28 tra Ordini o albi professionali ai quali bisogna essere iscritti per poter svolgere lavori che una volta si chiamavano "liberali".Ma "liberali" non lo sono, o lo sono poco, dato che le regole di accesso possono essere molto severe: lauree ad hoc, periodi di praticantato, costosi esami abilitanti... In teoria lo scopo è quello di garantire sempre prestazioni professionali eccellenti, lasciando a casa i cialtroni. Nel corso del tempo, però, la distinzione fra professioni ordinistiche (con annessi privilegi) e professioni "non regolate" ha creato dei lavoratori di serie A e di serie B. Lo dimostrano i dati della Banca d'Italia relativi al 2017 che riguardano quattro categorie lavorative: i disoccupati, le professioni "non regolate", le professioni "regolate" (cioè regolamentate da associazioni di categoria, tariffe minime, esami di accesso) e quelle "ordinistiche" in senso stretto (vincolate all'iscrizione ad un albo professionale). Come si vede nell'infografica, il 19,47% di chi svolge una professione non regolata cambia lavoro ogni anno. La percentuale scende al 13,47% nel caso delle professioni regolate, mentre sono meno 1 su 10 gli iscritti a un albo professionale che cambiano lavoro nell'arco di un anno. Insomma, fare i giornalisti, gli avvocati, i medici porta a entrare in "caste" professionali dalle quali non si esce più.Gli ordini rendono, quindi, il mercato del lavoro molto rigido; basta guardare il tipo di lavoro che va a svolgere chi cambia occupazione. Se si proviene da un ordine professionale, il 38,6% non riesce a trovare un nuovo impiego; il il 37,38% viene chiamato a svolgere un'occupazione non regolata, il 10,2% una regolata, mentre il 14,36% rimane all'interno del proprio albo. Per di più solo il 3,94% di chi svolgeva un'occupazione regolata, invece, riesce a entrare in un ordine professionale. Percentuale che scende al 2,59% nel caso di chi in precedenza svolgeva mansioni "libere" da vincoli. C'è poi un altro tema: il reddito. Le oltre 150 professioni che in Italia sono sottoposte a regole (compresi i 28 Ordini) garantiscono, infatti, stipendi superiori in media del 9% rispetto a quelli degli altri lavoratori. Un privilegio che, nel caso delle professioni ordinistiche, sale addirittura al 18%. Ma questi incrementi salariali non riguardano tutti: se ne avvantaggiano soprattutto le donne (quelle che hanno un impiego regolato guadagnano il 10,2% in più) e i laureati (+9,2%). Più penalizzati i giovani, il cui incremento salariale nel caso di lavoro regolato è solo del 5,3%. Perché? Perché le riforme degli ultimi anni, quella di Bersani e Monti in primis, hanno liberalizzato diversi settori professionali provocando un aumento degli ingressi nelle professioni ordinistiche o regolate (aumentati dal 2011) e una riduzione dei redditi. Ma la domanda è: era meglio prima? Quando i privilegiati erano pochi ma pagati bene?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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