2018-08-17
Prodi e D’Alema hanno regalato le autostrade agli amici della sinistra
Tra il 1992 e il 1999, i due ex premier hanno privatizzato e svenduto il patrimonio industriale nazionale. Non ce lo chiedeva l'Europa, ma il «patto di avidità» tra élite nostrane e lobby finanziarie internazionali.Quella leggina pro Atlantia passata di notte. Nello «Sblocca Italia» del governo Renzi fu inserita una proroga della concessione senza passare da alcuna gara pubblica. Il ministro Graziano Delrio andò poi a Bruxelles per trattare con l'Ue un ulteriore prolungamento fino al 2042 a favore dell'azienda.Da premier gestiva le concessioni, ora Enrico Letta lavora per i casellanti. L'ex presidente del Consiglio è infatti entrato nel cda della Abertis, ora «preda» di Benetton.Hanno chiesto i soldi pure alle ambulanze. La Croce Bianca di Rapallo denuncia: ai mezzi di soccorso è stato verbalizzato il mancato pagamento del pedaggio. Retromarcia della società dopo le critiche.Lo speciale contiene quattro articoliSotto le macerie del ponte Morandi non ci sono solo i 39 morti, le centinaia di feriti e le vite in bilico di chi ha perso la casa. Si sono sbriciolate anche biografie presunte illustri. Beniamino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, Giuliano Amato, Massimo D'Alema, Mario Draghi: qualcuno chieda conto di cosa accadde e perché, tra il '92 e il '99, in questo Paese. Chi dice che il ponte è crollato per colpa anche dell'Europa non ha tutti i torti. Ma non c'entra il patto di stabilità. La colpa è del «patto di avidità» tra le élite di questo Paese e le lobby finanziarie internazionali, e che portò nel 1992 il ministro degli esteri Andreatta a concordare con l'allora commissario europeo al Mercato e alla concorrenza Karel Van Miert lo smantellamento dell'Iri. Cominciò allora l'assalto alla diligenza del patrimonio pubblico favorito da Romano Prodi, incentivato da Carlo Azeglio Ciampi, raccomandato da Mario Draghi e concluso da Massimo D'Alema che nel '99 agevolò il passaggio ai Benetton e ai Gavio delle autostrade pubbliche. È stata una stagione in cui si è inaugurato lo storytelling del «ce lo chiede l'Europa» per nascondere le azioni di distribuzione dei beni pubblici a gruppi di privati che li hanno acquisiti senza tirare fuori un soldo. Era scoppiata Tangentopoli, c'era stato l'imprevisto chiamato Silvio Berlusconi, con l'ascesa di Romano Prodi si poteva finire il lavoro cominciato con i «capitali coraggiosi» di Telecom. Sorsero in quel periodo i nuovi salotti della finanza. Una volta c'erano solo Mediobanca, presidiata da Enrico Cuccia, e il San Paolo di Giovanni Bazoli, referente della finanza cattolica. Ora si aggiungevano i bresciani, i veneti, i romani. Ognuno di questi gruppi faceva riferimento a una privatizzazione. Bene, di quella stagione si pagano gli amari frutti oggi. Non a caso sul ponte di Genova si registra fin qui il silenzio del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, lo stesso che vuole portare gli industriali in piazza contro il governo. Rispetto dei morti? Forse. Boccia forse sa di rappresentare anche coloro che hanno caratterizzato la stagione delle cosiddette privatizzazioni. Se la prendono tutti col nuovo governo: con i grillini perché hanno dato voce a stupidaggini su quel ponte, con i leghisti perché troppo ruvidi. In realtà tutto l'ancien régime ha paura dei «nuovi» anche perché non hanno impastato il potere di favori e sudditanze con cui è stato costruito il Morandi.Mentre si attende che Oliviero Toscani, indossando una maglietta rossa, venga a fotografare gli united dead, va riconsiderata quella stagione per capire lo sfascio di oggi. Perché delle due l'una: o i manager pubblici dell'Iri erano migliori di quelli di oggi, oppure l'Iri è stata la grande droga che ha illuso l'Italia di essere una potenza economica quando in realtà i suoi «grandi» economisti altro non erano che ragionieri di partito, e i suoi illuminati industriali solo dei «prenditori». Rileggere quella stagione, che ci avrebbe portato nell'euro, mette in capo ai sindacati e alla sinistra colpe storiche gravissime. Molto, se non tutto, passa attraverso Romano Prodi. Sale la prima volta al vertice dell'Iri nel 1982. Semisconosciuto, lo spinge Andreatta. Il punto è che l'Iri ha troppi debiti. Prodi taglia e vende. Il più grande «omaggio» lo fa agli Agnelli con l'Alfa Romeo, poi prova a coprirsi a sinistra cercando di regalare la Sme a Carlo De Benedetti. Si mettono di traverso i socialisti, e per la prima volta compare sulla scena che conta anche Silvio Berlusconi, che comincia da lì la sua sfida in stile Paperone-Rokerduck con l'Ingegnere. La Sme alla fine resta pubblica perché è troppo basso il prezzo chiesto da Prodi a De Benedetti. Prodi avrebbe una missione da compiere: sistemare i debiti dell'Italsider. Non ci riuscirà, tanto che Enrico Cuccia - allora plenipotenziario di Mediobanca e della finanza laica - dirà: «L'Iri con Prodi non ha guadagnato una lira, anzi ha svenduto e ha perso esattamente come prima, solo gli è stato consentito di trasformare le perdite di Italsider in riserve, ma sono sempre soldi persi». Questa operazione contabile diventerà esiziale nella successiva privatizzazione di Italsider. Facciamo un salto di dieci anni: all'Iri c'è di nuovo Prodi. Lo richiama ancora Andreatta, che ha fatto un patto in sede europea con Van Miert: portare i debiti delle aziende pubbliche a livello di quelle private. E tutto perché l'Italia deve stare nei parametri di Maastricht ed è cominciata la grande corsa all'euro. L'hanno decisa Mario Draghi - allora direttore del Tesoro -, sempre Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, con il benestare dei Rothschild. George Soros farà il doppio gioco, scatenando nel '92 la tempesta sulla lira per indurre gli italiani a vendere. Il venditore di Stato si chiama Romano Prodi. Si libera subito delle tre banche d'interesse nazionale: Banco di Roma, Credito Italiano e Commerciale, facendo infuriare Cuccia. Poi trasforma l'Italsider in Ilva e comincia lo spezzatino che favorisce tutti i privati. Infine vende la Sme con un'operazione folle: altro spezzatino, i pomodori della Cirio a Cragnotti e il latte all'Unilever (di cui era stato consulente). Prodi da presidente dell'Iri diventa presidente del Consiglio. Svende Telecom, poi il suo successore svenderà Autostrade ai Benetton. I sindacati, che hanno contribuito allo sfascio delle aziende pubbliche applaudono, e la sinistra s'innamorano del capitalismo perché finalmente ha sconfitto il potere democristiano. Tra il '92 e il 2000 Prodi porta al Tesoro 56.000 miliardi svendendo un patrimonio industriale che probabilmente valeva almeno tre volte tanto. Cioè, le cosiddette privatizzazioni hanno fatto ricchi tutti tranne lo Stato, che peraltro non ha rispettato neppure l'impegno preso da Andreatta con Van Miert! E oggi si potrebbe mettere in rapporto ogni privatizzazione con ogni disastro. L'Ilva, il bracciantato al Sud, la crisi delle banche, in ultimo il crollo del ponte Morandi. Altrettante pietre tombali sull'illusione che i salvatori della patria di allora siano stati tali. I Benetton hanno ricevuto da D'Alema la società autostrade sulla scorta del verbo prevalente della sinistra: privatizzare. Il primo interprete è stato Pier Luigi Bersani. Era la sinistra di Piero Fassino che faceva la corte a Consorte (Unipol) per «avere una banca». È la sinistra dei Macron, dei fanatici dell'euro innamorati dei finanzieri, che spinse Repubblica quando la Stet finì sotto forma di Telecom nelle mani di Gnutti-Colaninno a fare il titolo «La privatizzazione del secolo». Forse per questo tutti temono l' approccio ruvido di Giuseppe Conte e dei suoi: si rischia che raccontino all'Italia perché viene giù tutto. Con tanto di nomi e cognomi.Carlo Cambi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-e-dalema-hanno-regalato-le-autostrade-agli-amici-della-sinistra-2596513697.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="quella-leggina-pro-atlantia-passata-di-notte" data-post-id="2596513697" data-published-at="1760535430" data-use-pagination="False"> Quella leggina pro Atlantia passata di notte Mentre rimbalza sulla bocca di diversi ministri l'ipotesi che il governo revochi la concessione ad Autostrade per l'Italia, partecipata di Atlantia, la società di infrastrutture che fa capo alla famiglia Benetton, il vicepremier Luigi Di Maio ha approfittato dell'occasione per rincarare la dose e lanciare un durissimo affondo nei confronti del Partito democratico e di Matteo Renzi. «Nello “Sblocca Italia" fu inserita di notte una leggina che prolungava la concessione ad Autostrade in barba a qualsiasi forma di concorrenza», attacca Di Maio. «Si è fatta per finanziare le campagne elettorali. A me la campagna non l'ha pagata Benetton e sono libero di rescindere questi contratti» («Mai preso un centesimo da Benetton», ha replicato Renzi). Il riferimento è all'articolo 5 del decreto legge n. 133 del 2014, noto appunto come «Sblocca Italia». A quei tempi, al dicastero dei Trasporti sedeva l'ex vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi. Senza voler entrare nei dettagli tecnici, con questa norma il governo Renzi metteva nero su bianco la possibilità di barattare, ovviamente senza passare per una gara pubblica, la proroga delle concessioni già in essere con tariffe autostradali calmierate. La scusa ufficiale era quella di sbloccare gli investimenti, ma in realtà il governo metteva una bella «manina» per le aziende titolari di concessioni, dunque anche Autostrade per l'Italia, che in questo modo sarebbero partite avvantaggiate rispetto ai competitor. La prassi delle proroghe è stata poi vietata dal nuovo codice degli appalti, che autorizza il rinnovo delle concessioni per più di cinque anni solo nel caso in cui il concessionario debba recuperare gli investimenti. Il maldestro tentativo messo in atto dal governo non passò però inosservato. La legge provocò l'irritazione di Bruxelles, che il 17 ottobre 2014 aprì una procedura di preinfrazione nei confronti del nostro Paese. Secondo gli ufficiali europei esisteva infatti il rischio che la norma consentisse «significative modifiche» al livello delle tariffe e «proroghe significative della durata di concessioni esistenti». La stessa dinamica intravista dall'Antitrust, che sempre in quei giorni definiva il provvedimento «in contrasto con le norme istitutive dell'Authority» in quanto avrebbe delineato «un meccanismo di proroga implicita delle concessioni». Nel testo finale, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'11 novembre, si intravede il tentativo del legislatore di mitigare questi pericoli. Il comma 3 modificato prevede infatti che l'affidamento dei lavori, delle forniture e dei servizi «di importo superiore alla soglia comunitaria» si debba svolgere nel «rispetto delle procedure di evidenza pubblica» evidenziate dal Codice degli appalti. Ma si tratta di una postilla «insufficiente», secondo i rilievi trasmessi alla commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera nell'aprile del 2015 dall'Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance), in quanto riguarda solo i lavori «ulteriori» rispetto a quelli previsti dalle convenzioni vigenti. Nella sostanza, dunque, il discorso non cambia. Per questo motivo, a fine gennaio, Raffaele Cantone inviò una lettera al ministro Lupi e ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, nella quale evidenziava le criticità dello «Sblocca Italia» e chiese una «correzione» della norma «per evitare che possano verificarsi gli effetti indesiderati evidenziati». Anche l'Antitrust confermò, per bocca del presidente Giovanni Pitruzzella, che «nonostante le modifiche le criticità restano». Di tutt'altro avviso Maurizio Lupi, che ancora a marzo 2015 difendeva la legge. «Se vogliamo ammodernare e potenziare le autostrade senza aumentare i pedaggi agli utenti», sosteneva il ministro, «l'unica strada, a parte il mago Zurlì, è aumentare la durata della concessione». Passarono pochi giorni e Lupi si dimise, travolto dallo scandalo «Grandi opere». Il timone del Mit passò a questo punto prima al premier Matteo Renzi e, successivamente, a Graziano Delrio, che mantenne l'incarico anche nel governo Gentiloni. I favori del Pd ai signori delle autostrade, però, non si fermano qui. Come riportato negli scorsi giorni dalla Verità, nell'aprile 2016 il senatore genovese Maurizio Rossi depositò un'interrogazione per segnalare le condizioni disperate nel quale versa il ponte Morandi. Probabilmente il ministro in quel periodo doveva essere molto impegnato, dal momento che la richiesta di chiarimenti di Rossi rimase senza risposta. Delrio riuscì invece a ritagliarsi il tempo, l'anno dopo, per volare a Bruxelles e chiedere un altro «aiutino» ai big del settore. L'incontro con il commissario europeo per la Concorrenza, la danese Margrethe Vestager, aveva l'obiettivo di convincere l'Unione europea ad autorizzare la proroga della concessione di Autostrade per l'Italia. Nel documento, il governo chiedeva un doppio regalo per l'azienda dei Benetton: da un lato il prolungamento della concessione fino al 2042 (rispetto alla scadenza naturale nel 2038) e dall'altro l'aumento delle tariffe autostradali. Una misura che serviva, come si legge nel comunicato della Commissione europea, a garantire ad Autostrade «introiti sufficienti per finanziare investimenti di rilievo nel settore autostradale italiano». Nel frattempo pochi mesi dopo, a novembre del 2017, il Pd presentava un emendamento per modificare il codice degli appalti. Obiettivo: ridurre dall'80% al 60% la percentuale di lavori autostradali che devono essere assegnati tramite gara pubblica. Insomma, sembra proprio che il Partito democratico abbia una vera e propria allergia nei confronti della concorrenza e del mercato. Antonio Grizzuti <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-e-dalema-hanno-regalato-le-autostrade-agli-amici-della-sinistra-2596513697.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="da-premier-gestiva-le-concessioni-ora-letta-lavora-per-i-casellanti" data-post-id="2596513697" data-published-at="1760535430" data-use-pagination="False"> Da premier gestiva le concessioni, ora Letta lavora per i casellanti A volte ritornano e, soprattutto, riescono a sedersi sulla poltrona giusta. È questo il caso dell'ex presidente del Consiglio, Enrico Letta, che anche se «rottamato» dalla politica è riuscito a reinventarsi benissimo. Chi non lo ricorda a febbraio del 2014, scurissimo in volto, al rituale del passaggio della campanella con il successore Matteo Renzi? Sembrava tramontata presto la parabola del talentuoso nipote di Gianni Letta, destinato, dopo aver ricoperto numerosi incarichi politici, a «stare sereno» per molto tempo. Il colpo ricevuto sembrava infatti averlo tramortito, ma evidentemente l'ex premier sa incassare benissimo. «Do le dimissioni da Parlamento ma non dalla politica, perché dalla politica non ci si dimette», aveva annunciato a giugno del 2015. Destinazione: la direzione della Scuola di affari internazionali di Sciences Po. Ma i ponti con il potere non si tagliano così facilmente. Nel novembre del 2016, infatti, un comunicato stampa annunciava la sua nomina a membro del consiglio di amministrazione della multinazionale spagnola Abertis, società specializzata nel settore delle infrastrutture, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Abertis è un vero e proprio colosso, che conta oltre 15.000 dipendenti, ricavi per 5,3 miliardi di euro e un utile netto che sfiora i 900 milioni. Piccolo dettaglio: Abertis è in parte di proprietà dell'italiana Atlantia, che a sua volta detiene il 100% di Autostrade per l'Italia (Aspi). Dopo una lotta senza esclusione di colpi, Atlantia ha infatti raggiunto un accordo con la tedesca Hochtief Aktiengesellschaft e la spagnola Acs per acquisire il controllo dell'azienda iberica. L'operazione ha ottenuto appena un mese fa l'ok definitivo da parte dell'antitrust Ue. Enrico Letta è così passato, nel giro di pochi anni, da essere gestore della concessione autostradale tra il governo italiano e Atlantia, a diventare manager di una società controllata da quest'ultima. Altro che rottamato, verrebbe da dire. Coincidenze o «porte girevoli»? Non è dato saperlo, ma dopo la nomina in Abertis l'ex premier ha persino dichiarato di non voler tornare più in politica. «Sto benissimo dove sono», ha affermato in un'intervista. Come dubitare della sua parola? Nel frattempo un ex fedelissimo di Enrico Letta, Roberto Garofoli, è rimasto vicinissimo ai gangli del potere. Il cinquantaduenne magistrato e presidente di sezione del Consiglio di Stato ha ricoperto nel governo Letta l'incarico di segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri. Negli esecutivi guidati da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni ha inoltre assunto l'incarico di capo di gabinetto del Mef, ruolo nel quale è stato confermato anche da Giovanni Tria. Senza dimenticare che via XX Settembre è il principale azionista di Fs, che a sua volta detiene Anas. Come si suol dire, un destino contrassegnato da strade comuni. Antonio Grizzuti <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-e-dalema-hanno-regalato-le-autostrade-agli-amici-della-sinistra-2596513697.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="hanno-chiesto-i-soldi-pure-alle-ambulanze" data-post-id="2596513697" data-published-at="1760535430" data-use-pagination="False"> Hanno chiesto i soldi pure alle ambulanze Quella di martedì è stata una giornata drammatica per i genovesi, colpiti e sconvolti dal crollo del ponte sul Polcevera. Ma la tragedia ha riguardato da vicino tutti gli italiani e in particolare i soccorritori, chiamati a raccolta da ogni angolo della Liguria per estrarre dalle macerie tanto i feriti, quanto i morti. E allora possiamo immaginarci la prostrazione, fisica e psicologica, dei volontari della Croce Bianca di Rapallo, che il 14 agosto alle 18.44 stavano rientrando da Genova sull'ambulanza, dopo una giornata devastante passata a fare la spola tra il luogo della tragedia e gli ospedali. E possiamo anche immaginarci il loro sbigottimento quando, arrivati al casello autostradale di Rapallo, si sono visti chiedere il pedaggio di 2,90 euro. I volontari si sono rifiutati di pagare, visto che l'articolo 373 del codice della strada prevede l'esenzione per i mezzi di soccorso, ma nessuno ha ascoltato le loro ragioni e così al casello è stato verbalizzato il mancato pagamento del pedaggio. Un affronto tragicomico, in una giornata del genere, di cui davvero non si sentiva il bisogno. Comprensibile allora il messaggio indignato pubblicato oggi sull'account Facebook della Croce Bianca rapallese dal titolo: «Società autostrade per l'Italia Spa Vergogna!». I volontari annunciano di avere «richiesto un incontro urgente in prefettura e segnalato anche questo episodio alla magistratura affinché valuti le ipotesi di reato che andremo a segnalare. Come cittadini e come volontari ancora una volta restiamo allibiti dall'atteggiamento arrogante di questi signori». La notizia rimbalza rapidamente sui siti internet locali. Viene rilanciata dall'assessore alla Sanità della Regione Liguria, Sonia Viale, che segnala al ministro Salvini questa «assurdità inaccettabile». Il ministro degli Interni concorda e si unisce alla denuncia: «Io fossi un amministratore di Autostrade per l'Italia avrei sospeso il pagamento per il pedaggio in alcuni caselli, ma già dall'ora successiva. Le ambulanze pagano il pedaggio: ma dove hanno il cuore e il cervello certe persone?». Interviene anche il sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti, Edoardo Rixi, che attacca: «È indecente». Le dichiarazioni non passano inosservate e la società è costretta in una nota a fare una rapida retromarcia: «Sulla base della sollecitazione pubblica del sottosegretario Rixi, e per favorire lo svolgimento delle preziose attività di soccorso, Autostrade per l'Italia annuncia che le ambulanze non pagheranno più il pedaggio sulla propria rete. La decisione ha effetto immediato». «Finalmente si rispetta la legge», esulta la Croce Bianca rapallese, mentre l'annuncio di Autostrade su Facebook viene accolto con un diluvio di critiche. «Ma veramente facevate pagare il pedaggio alle autoambulanze finora?!?», si chiede un utente. «Avete aspettato che lo dicesse Salvini per farlo? Da soli non vi veniva in mente?», attacca un altro. I commenti sono ineccepibili perché la decisione di Autostrade è arrivata a oltre 48 ore dalla tragedia. Da chi era responsabile anche della manutenzione del ponte crollato era lecito aspettarsi ben altra sollecitudine e attenzione per chi si prende cura dei feriti e delle vittime. Leone Grotti
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo
Papa Leone XIV (Ansa)
«Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti», ha detto Papa Leone nel suo discorso al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l'importanza di garantire a tutte le famiglie - è l'appello del Papa - il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità».
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