2021-04-25
Prodi sogna il Colle, ecco perché spara su Salvini
Dall'oltretomba della politica riemerge Romano Prodi. L'ex presidente del Consiglio, concede un'intervista al Corriere della Sera in cui riassume tre concetti. Il primo: Matteo Salvini è il nuovo Fausto Bertinotti. Il secondo: Mario Draghi deve fare presto se no rischia. Il terzo: occhio alla prossima elezione del capo dello Stato. Apparentemente i tre punti paiono slegati fra loro, ma in realtà non lo sono e riconducono a un solo argomento: la voglia matta del professor Mortadella di concludere la carriera con l'approdo al Quirinale.Ovviamente, Prodi non lo dice e l'intervistato neppure glielo chiede, ma quando una domanda sfiora il nome di Sergio Mattarella e chi verrà dopo di lui, l'ex presidente della Ue mette avanti le mani, dichiarando la propria indisponibilità. «Non ho l'età, come cantava Gigliola Cinquetti: nel senso che ne ho troppa, quasi 82 anni». Argomento chiuso? Neanche a parlarne, perché se Salvini è il nuovo Bertinotti, ovvero un tipo di cui non fidarsi perché, come l'ex segretario di Rifondazione comunista, si può sfilare da un giorno all'altro dalla maggioranza di governo provocando una crisi, Prodi è sempre il vecchio Prodi, ovvero colui che ci prova fino all'ultimo, bazzicando i corridoi della politica. È ciò che ha fatto per una vita, prima come presidente dell'Iri (per ben due stagioni), poi come ministro dell'Industria, quindi come presidente del Consiglio, una prima volta dal 1996 al 1998, una seconda, con un intermezzo come presidente della Ue, dal 2006 al 2008. Nel 2013 ha provato il salto al Colle, ma Massimo D'Alema e Matteo Renzi, per una volta uniti, lo hanno impallinato, preferendo riconfermare Giorgio Napolitano, alle cui dimissioni poi è seguito Mattarella. Ovvio che aver mancato il colpo grosso, per il quale era rientrato precipitosamente dall'Africa, ancora gli brucia. E dunque, essendo il candidato più accreditato, il professor Mortadella si preoccupa e non vorrebbe che, a causa delle mosse di Salvini, ma anche del terremoto dentro i 5 stelle, la legislatura finisse in anticipo, consegnando la decisione sul prossimo presidente della Repubblica a un Parlamento diverso da quello attuale, quasi certamente più orientato a destra, invece di adesso, decisamente virato a sinistra. Sì, il ritorno-intervista di Prodi è riconducibile a questo: le grandi manovre per il sostituto di Mattarella sono già iniziate e l'ex presidente del Consiglio si agita per il timore di perdere l'ultimo treno. Salvini è il nuovo Bertinotti, dice dalle pagine del quotidiano di via Solferino. Lo sgambetto che gli fece il comunista in cachemire ancora gli fa male nonostante siano trascorsi più di 22 anni. Era l'inizio di ottobre del 1998 quando Rifondazione passò all'opposizione, lasciando Prodi senza maggioranza alla Camera e costringendolo a cedere la poltrona a D'Alema. Lo strappo non è stato mai perdonato e oggi l'ex premier lo usa per mettere sul chi va là Draghi, dicendogli non solo di guardarsi le spalle, ma anche di «fare presto», perché le insidie sono sempre in agguato. Se l'ex governatore della Bce dovesse cadere per lo sgambetto di qualcuno, oppure dovesse averne le tasche piene delle bizze della strana alleanza che lo sostiene, di certo non ci sarebbe una carta di riserva. Fallito lui, si filerebbe dritti alle elezioni e questo è ciò che più teme Prodi, il quale, pur dicendosi disinteressato per ragioni di età, sa bene di avere i numeri per il Quirinale. La sinistra glielo deve ed Enrico Letta, allievo di Beniamino Andreatta come lo stesso professor Mortadella, non si metterebbe di traverso. Anche perché nel passato fu suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Poi ci sono i 5 stelle e lì Romano può vantare una lunga consuetudine con Beppe Grillo. Nonostante una dozzina d'anni fa l'avesse soprannominato Valium e di lui avesse detto che è «un'ottima persona, affetta però da encefalite letargica», quando nacque il Conte bis tra i due si registrò un certo feeling. Entrambi, infatti, spinsero per l'alleanza fra Movimento e Pd, contribuendo insieme a Matteo Renzi alla piroetta che diede vita alla maggioranza giallorossa. Sì, anche se nega, Prodi al Quirinale ci pensa. Del resto, il modo migliore per candidarsi è far sapere di non volersi candidare. Così, l'ex premier spera che Draghi vada avanti e disinneschi Salvini, perché altrimenti tutto potrebbe precipitare. Per il Colle, l'ex governatore della Bce può aspettare. Per lui, c'è un futuro da leader europeo ora che Angela Merkel è al capolinea ed Emmanuel Macron è al lumicino nei sondaggi. Insomma, Prodi sogna. Agli italiani rimane l'incubo di avere al Quirinale l'uomo che per primo aprì la porta di Palazzo Chigi ai comunisti e ci regalò Giorgio Napolitano. Un ex premier che di sé dice, senza imbarazzi: «Sono un uomo di parte».
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