
Il gruppo dei volenterosi lanciato dall’inquilino dell’Eliseo è già sparito. Per mandare militari in missione servono proiettili. Che il Vecchio continente fatica a produrre.Essere un leader europeo, oggi, è un impegno faticoso. Le promesse e gli impegni presi sono smentiti dalla realtà nell’arco di pochi giorni. A far scadere come lo yogurt le mosse politiche è sicuramente da un lato il dinamismo di Donald Trump e, dall’altro, la volontà di spingersi sempre più avanti nel progetto di riarmo senza basi oggettive e sostanza industriale.Il leader che fino ad oggi è stato costretto a rimangiarsi il maggior numero di promesse si chiama Emmanuel Macron. L’ultimo caso è di ieri. Il politico francese, dopo aver spinto assieme al governo Starmer la cosiddetta coalizione dei volenterosi, ha dovuto ammettere che forse sarebbe meglio dislocare su territorio ucraino, in caso di mantenimento dello status quo, i caschi blu dell’Onu. Piuttosto che una forza operata quasi esclusivamente da europei. Di per sé il cambio di prospettiva ha un senso: impiegare militari con bandiera dell’India o del Bangladesh è garanzia di terzietà rispetto alla Russia e alla stessa ucraina.In realtà c’è anche un tema numerico. Così com’è, l’intero piano di riarmo si basa su le sabbie mobili dell’industria europea. Per mandare militari in missione, soprattutto se devono sparare, servono munizioni. E già qui la situazione non è delle più rosee. Le fondamenta delle moderne munizioni di artiglieria si basano sulla nitrocellulosa, un composto altamente infiammabile derivato dalla cellulosa attraverso un processo chimico che coinvolge acido nitrico e solforico. Storicamente nota come fulmicotone, la nitrocellulosa è l’ingrediente principale della polvere da sparo senza fumo, che spinge proiettili come quelli da 155 millimetri standard Nato, fondamentali per la difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa.Nel 2024, la capacità di produzione di nitrocellulosa in Europa è rimasta limitata, con Bloomberg che segnala che solo «una manciata» di aziende in tutto il continente sono attrezzate per produrre questa sostanza vitale. Tra queste, Eurenco, che opera in Francia, Belgio e Svezia, e Nitrochemie, di proprietà di Rheinmetall con stabilimenti in Germania e Svizzera, si distinguono come attori chiave. La Commissione europea, in una dichiarazione del marzo 2024, aveva previsto che la capacità di produzione annuale di proiettili del blocco avrebbe raggiunto 1,7 milioni di colpi entro la fine dell’anno, una cifra ribadita dal commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, durante una conferenza stampa a Parigi. La produzione effettiva si è attestata tra 550.000 e 600.000 proiettili, meno della metà della capacità pubblicizzata.Il salto non si riesce a fare proprio per la mancanza di materia prima. La produzione di nitrocellulosa dipende dall’accesso a lanugine di cotone di alta qualità, una materia prima composta per il 95% da cellulosa e per il 5% da impurità come grassi e cere. Dopo la purificazione, la cellulosa viene trattata con acidi per produrre nitrocellulosa, che viene poi trasformata in propellenti granulari. La Cina ha il dominio assoluto della lanugine di cotone. E le conseguenze sono facili da trarre. Per questo motivo la Germania sta avviando un percorso misto di riarmo nella speranza di poterlo spalmare negli anni, sfruttando l’ansia dell’emergenza e i fondi del resto Ue.Obiettivo che sarebbe piaciuto anche a Macron portare avanti. Prima annunciando un gruppo di lavoro militare che è subito evaporato e poi offrendo le proprie testate nucleari (ne ha poco più di 250) come ombrello agli altri Paesi Ue. Avrebbe sfruttato il momento per investire e crescere con i fondi comunitari pur mantenendo il contro dei pulsanti atomici. Al momento Macron è un personaggio in cerca d’autore. Vedremo se deciderà di infilarsi sotto la visiera di Thierry Breton Merz o sfilare con Keir Starmer.
Ursula von der Leyen (Ansa)
La Commissione prepara nuove regole per la circolazione rapida (massimo tre giorni) di truppe e cingolati tra i Paesi dello spazio Schengen. Un tempo simbolo di pace...
«Vi sono molte cose che contrassegnano l’Ue e la sua storica integrazione, ma due ne esprimono appieno l’anima: Erasmus e Schengen. È poco responsabile mettere a rischio la libertà di movimento degli europei». Firmato Sergio Mattarella. Correva l’anno 2018 e l’Austria in accordo con la Germania aveva proposto di chiudere il confine con l’Italia per non far arrivare i migranti. Sono passati sette anni e la Commissione europea presenta un regolamento per far viaggiare i carri armati senza frontiere. Schengen doveva essere il simbolo della pace e della libertà e ora diventa la Schengen con le stellette che ci costa malcontati 270 miliardi in dieci anni, in modo che le truppe si muovano liberamente e velocemente.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (Ansa)
Dalla riforma della giustizia alla politica estera: sono molti i temi su cui premier e capo dello Stato dovranno confrontarsi nei prossimi mesi, malgrado le tensioni.
Come in una qualsiasi relazione, quando si insinua nella coppia lo spettro del tradimento, i rapporti si incrinano e non possono più tornare ad essere come erano prima. Lo tsunami che si è abbattuto sul Quirinale a seguito dello scoop della Verità, rischia di avere gravissime ripercussioni a lungo termine, sui legami tra governo e presidente della Repubblica. E anche se il Colle sminuisce la questione, definendola «ridicola», il consigliere per la Difesa del capo dello Stato, Francesco Saverio Garofani, non solo conferma ma aggiunge particolari che mettono a dir poco in imbarazzo i soggetti coinvolti. E hai voglia a dire che quelle fossero solo battute tra amici. La pezza peggiore del buco.
Galeazzo Bignami (Ansa)
Malan: «Abbiamo fatto la cosa istituzionalmente più corretta». Romeo (Lega) non infierisce: «Garofani poteva fare più attenzione». Forza Italia si defila: «Il consigliere? Posizioni personali, non commentiamo».
Come era prevedibile l’attenzione del dibattito politico è stata spostata dalle parole del consigliere del presidente della Repubblica Francesco Saverio Garofani a quelle del capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio Galeazzo Bignami. «L’onorevole Bignami e Fratelli d’Italia hanno tenuto sulla questione Garofani un comportamento istituzionalmente corretto e altamente rispettoso del presidente della Repubblica», ha sottolineato il capo dei senatori di Fdi, Lucio Malan. «Le polemiche della sinistra sono palesemente pretestuose e in mala fede. Ieri un importante quotidiano riportava le sorprendenti frasi del consigliere Garofani. Cosa avrebbe dovuto fare Fdi, e in generale la politica? Bignami si è limitato a fare la cosa istituzionalmente più corretta: chiedere al diretto interessato di smentire, proprio per non tirare in ballo il Quirinale e il presidente Mattarella in uno scontro istituzionale. La reazione scomposta del Pd e della sinistra sorgono dal fatto che avrebbero voluto che anche Fdi, come loro, sostenesse che la notizia riportata da La Verità fosse una semplice fake news.






