2023-06-25
A Milano sfila la solita solfa del pride. Sala evita Schlein e non si fa vedere
Il paladino delle famiglie arcobaleno diserta, come altri big della sinistra, il carosello. Dov’è andato in scena lo scontato repertorio di attacchi al governo «persecutorio, violento e fascista». Alessandro Zan marinaio sul carro demDovevano esserci tutti. Un dovere morale ed etico, visto l’inumano attacco di questa destraccia alle indifferibili urgenze del Paese, come l’utero in affitto. Invece ieri, al gay pride di Milano, s’è visto il solito repertorio inscenato dai soliti arcinoti: da Elly Schlein («In Italia, per quanto riguarda i diritti, è come se ci fosse ancora il muro di Berlino, ma stiamo dalla parte sbagliata, quella dei Paesi più retrogradi», ha detto il segretario) ad Alessandro Zan.Mancavano i rappresentanti della Regione Lombardia, che ha negato il patrocinio. Vabbe’, che aspettarsi dai trogloditi leghisti? Però, tremendo disdoro, mancava perfino il sindaco di Milano, Beppe Sala. Dopo aver sfoggiato calzini a righe colorate, s’è limitato a farsi immortalare accanto a una variopinta automobile con la scritta: «Pride. Più che mai». Alla manifestazione, invece, ha dato un virile forfait, adducendo la classica scusa del maschio alfa: «Motivi strettamente personali». Tra i quali potrebbe spiccare l’idiosincrasia verso la segretaria, condivisa da frotte di dem, recentemente dileggiata per la sua difesa dell’abuso d’ufficio. Ingeneroso, però: perché infierire? Elly conosce la giustizia come noi l’astrofisica. Ieri, invece, per lei è stato un trionfo annunciato.Usuale festone. E ritriti attacchi, resi più necessari che dalle polemiche sulla maternità surrogata e le sospese trascrizioni dei figli delle coppie omogenitoriali. L’onda arcobaleno, sfidando la canicola, si ritrova allora alle quattro del pomeriggio in piazza della Repubblica. La plumbea Milano torna finalmente a colorarsi. Migliaia di persone, con pargoli multicolor, si incamminano lungo via Vittor Pisani, assieme a una trentina di carri. È il classico armamentario Lgbtqia+. Musica, lustrini, bandiere, collane, ventagli, striscioni. La scritta più audace inneggia alla battaglia contro quei bacchettoni incredibilmente contrari al cambio di sesso dei bambini: «Protect trans kid». Ma ad aprire la manifestazione è il «trenino» dalle Famiglie arcobaleno («Contrastiamo il vento d’odio e di persecuzione di questo governo violento e fascista», diranno i rappresentanti sul palco finale), con la scritta: «L’amore non si annulla in tribunale».Due giorni fa, a Milano, è stata cancellata la trascrizione dell’atto di nascita di un figlio avuto da due padri all’estero, grazie all’utero in affitto. Sala, lo scorso giovedì, ha così incontrato gli interessati, promettendo di monitorare: «Valuteremo con attenzione la possibilità di intervenire nel giudizio che, con ogni probabilità, si instaurerà nuovamente dinanzi al tribunale».Solito corteo ribaldo, si diceva. Non mancano riferimenti ironici ai Promessi sposi, con il carro dedicato a Renzo e Lucio. Né folgoranti arguzie sulla presidente del consiglio: «Più limoni, meno Meloni». Ma il dileggio preferito dai manifestanti diventa subito il seguente fotomontaggio: la testa della premier sul corpo di Benito Mussolini, con manganello d’ordinanza, circondata dalle donne-ancelle di Margaret Atwood, simbolo della lotta contro l’aborto in America. Sotto, la scritta: «Prejudice». Ma cosa c’entra la legge 194 con il gay pride? E con la protesta sulla maternità surrogata che il governo vuole rendere reato universale? Boh. Ma tutto fa brodo. Arcobaleno, s’intende.Immancabili, di conseguenza, i carri addobbati dall’opposizione o ciò che ne rimane: Pd, 5 stelle, +Europa, Sinistra italiana e Cgil. Per fulminante ironia, spicca quello dei dem. Sui volantini c’è scritto: «Se per caso cadesse il governo io mi sposto un po’ più in là». E proprio dal carretto dem salutano trionfanti Elly ed Alessandro assieme, tra gli altri, al consigliere regionale Pierfrancesco Majorino e l’eurodeputato Brando Benifei. Erano attesissime le supercazzole della parolaia arcobaleno. E lei non delude. Questo pride di Milano, conciona la segretaria del Pd, «chiama ancora più l’orgoglio nel continuare a lottare per il pieno riconoscimento delle persone Lgbt. Siamo in pericolo di regressione sui diritti, non solo in Italia con questo governo, ma anche in Europa». Fortuna che c’è lei, incompresa icona dell’ultraprogressismo continentale, a partire dagli sgomenti riformisti e cattolici del suo partito: «Vedere piazze tanto partecipate dall’onda pride è un motivo di speranza e orgoglio. Il Pd sarà ovunque si difenderanno i diritti e si chiede una legge contro l’odio. Bisogna battersi per il matrimonio egualitario e i figli di coppie arcobaleno».Anche Majorino, reuccio milanese della Ztl, prova ad arringare la folla: «Portiamo sul palco la voce di quella Lombardia che sta dalla parte della lotta alle discriminazioni. Trovo terribile la scelta della destra di negare la vita delle persone». Zan, alfiere dell’omonimo ddl e vessillifero Lgbtqia+, segnala spazientito questa «manifestazione pacifica ma con persone arrabbiate». Seguono usuali geremiadi: «Il governo di destra sta attaccando in modo vergognoso i diritti delle famiglie arcobaleno». Ed è la premier in persona a rendere la vita impossibile a queste famiglie: «Crudele e inaccettabile». Mentre Elena Mantovani, fondatrice dell’associazione Famiglie arcobaleno, preannuncia nuove ed imponenti iniziative: «Non ci fermeremo fino a che i nostri figli non saranno riconosciuti alla nascita, come gli altri bambini italiani».Notevoli sebbene futuribili anche gli artisti saliti sul palco della kermesse arcobaleno: da Kaput a Protopapa. Così, l’indiscussa regina delle giornata diventa Orietta Berti, indomita ottantenne: «Sono fonte d’ispirazione per molte drag queen grazie ai miei abiti di scena appariscenti, soprattutto quelli sfoggiati agli ultimi Sanremo». La cantante aggiunge: «Mi hanno chiesto di sfilare sui carri, ma ho paura di perdere l’equilibrio». Più o meno, quello che devono aver pensato Sala e gli illustri esponenti del Pd assenti al corteo.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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