2021-10-12
Le rinnovabili? Inquinano. E il greggio corre
L'oro nero tocca 84 dollari al barile: una quotazione che non si vedeva da 7 anni e che costerà a ogni italiano 250 euro in più in 12 mesi. Le politiche dell'Ue non si rivelano «green»: le emissioni dovute alla combustione del legno sono infatti più alte di quelle del carbone.L'aumento dei prezzi delle quote di Co2, l'anidride carbonica, sta giocando un ruolo da protagonista nei rialzi dei prezzi dell'energia. Ciononostante, le istituzioni europee invitano tutti a gran voce a ricorrere il più possibile alle energie rinnovabili, senza sapere che, in realtà, non per forza queste ultime sono sinonimo di amore per l'ambiente. A ciò si aggiunga la corsa del prezzo del petrolio a 84 dollari al barile (Brent), al momento in cui scriviamo, valori che non si vedevano dal 2014. Il motivo di questa impennata è presto detto: la carenza di gas e carbone, altro fattore che sta facendo impennare i valori dell'energia con ricadute sui beni di consumo e sui prezzi dei carburanti. La stima è che l'impennata dell'oro nero possa costare agli italiani circa 250 euro l'anno.Il tema, però, è che non sempre i combustibili fossili sono il male assoluto e le energie rinnovabili la panacea a tutti i mali. Come fa notare su Twitter Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, società di consulenza specializzata sul mondo delle materie prime, nel 2020 «l'impianto di produzione di energia rinnovabile da biomasse a Selby nel Regno Unito (che solo l'anno scorso ha ricevuto finanziamenti da 800 milioni di sterline), è il terzo produttore di emissioni di carbonio» e il quarto produttore di Pm10 in Europa. I dati vengono da Ember, centro studi focalizzato sul passaggio da un'economia basata su combustibili fossili a una del tutto pulita.Il problema, spiegano da Ember, è che a causa della sua minore densità energetica rispetto ai combustibili fossili, il legno - la principale fonte di biomassa usata per generare energia nel Regno Unito - deve essere bruciato in volumi più alti rispetto al carbone per produrre la stessa quantità di energia. Questo significa che la combustione del legno dovrà emettere per forza più anidride carbonica per kwh di elettricità rispetto al carbone.Ogni anno circa otto milioni di tonnellate di legno vengono bruciate nel Regno Unito per generare fino al 12% della fornitura totale di elettricità di Sua Maestà. Così, la combustione del legno su questa scala genera 15,6 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica ogni anno di cui 13,3 provengono solo da una centrale elettrica, la Drax di Selby, il più grande bruciatore di legno del mondo.Le emissioni derivanti dalla combustione del legno nel Regno Unito superano quindi di gran lunga quelle derivanti dalla combustione del carbone che nel 2020 ammontavano a 10 milioni di tonnellate. Ciò significa che la combustione del legno è ora il secondo maggior protagonista nella produzione di Co2 dopo il gas.La Gran Bretagna è però in buona compagnia. Fatta eccezione per il Regno Unito, la classifica dei primi dieci impianti per emissioni di anidride carbonica in Europa se la spartiscono solo due Paesi: Polonia e Germania.Non per forza, insomma, le energie rinnovabili sono la migliore opzione per tenere pulito il nostro pianeta. Anche perché più anidride carbonica si produce e più sarà alto il costo dell'energia. Purtroppo, è esattamente quello che sta succedendo in questi mesi. Chi, infatti, ogni anno produce chili e chili di anidride carbonica oggi deve mettere mano al portafoglio. In Europa, infatti, esiste un sistema chiamato Ets che regola la compravendita di «quote di emissione» di Co2: ogni anno nel vecchio continente alle aziende vengono assegnate delle quote di Co2 da utilizzare nell'arco di 12 mesi. In questo modo le aziende più inquinanti dovranno quindi acquistare altri permessi se vorranno continuare a emettere anidride carbonica senza incorrere in sanzioni; le aziende più «pulite», al contrario, avranno la possibilità di vendere le proprie quote inutilizzate aumentando il fatturato.Il problema è che, grazie a questo sistema di tassazione ambientale, ogni impianto di generazione di energia elettrica possiede un suo coefficiente di emissione di Co2 per ogni kilowattora prodotto che finisce per gonfiare i costi dell'energia.Questo coefficiente è molto alto per le fonti energetiche più inquinanti, ma lo è anche (molto meno, va detto) per le centrali a gas naturale. Per gli impianti rinnovabili e nucleari, ovviamente, è molto basso.Il problema è che in Italia il gas naturale occupa una quota piuttosto rilevante della nostra produzione – circa il 40% – così i costi medi dell'energia salgono.Ecco spiegato perché il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha stimato per i prossimi tre mesi un rialzo delle tariffe nell'ordine del 40%. Quello che non ha specificato, però, è che l'aumento delle tariffe è dovuto anche al ricorso al gas naturale, fonte di energia ritenuta pulita e molto caldeggiata dalle istituzioni europee.Rinnovabile, insomma, non vuole dire per forza ecologico. Né tanto meno economico, purtroppo.