2022-01-28
Prestito garantito pagato in anticipo. Stellantis ritorna libera di tagliare
Il gruppo salderà subito il finanziamento da 6,3 miliardi coperto da Sace con scadenza nel 2023. L’accordo imponeva vincoli su esuberi e delocalizzazioni. L’ad dieci giorni fa: «Produrre in Italia ci costa il doppio».Quando la vita ti sorpassa a destra e al volante c’è John Elkann. «Sono stati definiti dei meccanismi sanzionatori fino al rimborso anticipato dell’intero finanziamento in caso di mancata attuazione degli impegni». Così parlò Roberto Gualtieri il 4 giugno 2020, davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sugli scandali bancari, riguardo al maxi prestito da 6,3 miliardi all’ex Fiat Chrysler che aveva ricevuto la garanzia dello Stato italiano. A un anno e mezzo da quella generosa concessione pubblica agli Agnelli-Elkann, emigrati formalmente in Olanda, l’allora ministro dell’Economia ha traslocato in Campidoglio e a decidere il rimborso anticipato di quel prestito è Carlos Tavares, il manager portoghese che guida Stellantis, con l’evidente scopo di tenersi le mani libere su occupazione e investimenti negli stabilimenti italiani. Ieri l’agenzia di stampa Bloomberg, citando fonti vicine al dossier, ha scritto che entro la settimana Stellantis dovrebbe annunciare la restituzione del prestito, con oltre un anno di anticipo sulla scadenza prevista. Il prestito era stato richiesto da Fca nel pieno dell’emergenza Covid. Con la scusa della pandemia cinese, i manager di John Elkann avevano negoziato con Intesa Sanpaolo un’operazione del tutto legittima e di mercato, ma, approfittando della legislazione speciale messa in campo da Giuseppe Conte e dal governo giallorosso, su quel prestito avevano ottenuto la garanzia del Tesoro attraverso la Sace. Il testo dell’accordo tra la ex Fiat e Via XX Settembre è sempre stato tenuto segreto, anche al Parlamento, e questo ha ovviamente fatto nascere più di un sospetto. Sospetti che Gualtieri provò a fugare con le sue parole in quell’audizione. «I flussi transiteranno su conti correnti dedicati e vincolati in modo da assicurare un controllo puntuale circa la destinazione delle somme», spiegò il futuro sindaco di Roma. E aggiunse che il contratto (segreto) «prevede specifici obblighi di rendicontazione periodica». Insomma, tutto a posto. Che cosa ha fatto di quei soldi Stellantis, avventura negoziata nell’estate del 2020 e nata ufficialmente a gennaio del 2021 (+48% in Borsa in un solo anno)? Non c’è ancora l’ufficialità, come non c’è l’ufficialità della loro restituzione (ieri però i portavoce di Stellantis e Intesa Sanpaolo hanno preferito non commentare la notizia di Bloomberg), ma guardando che è successo in questi 18 mesi è assai probabile che siano stati usati non solo per pagare lauti dividendi agli azionisti Fca, ma anche per lanciare la 500 E e varare quell’elettrificazione della gamma motori del Lingotto sulla quale la Fiat di Sergio Marchionne era rimasta indietro. Non solo, ma nel pieno di un anno drammatico per tutta l’economia come il 2020, e con il settore auto che vale pur sempre il 6,2% del Pil italiano, il finanziamento di Intesa ha consentito al gruppo Fca di avere una liquidità che in quella fase era assolutamente necessaria. Per tutto il 2021, poi, la pax francese sugli stabilimenti italiani, che, come ha ricordato la scorsa settimana Tavares in un’intervista, hanno «costi doppi rispetto al resto d’Europa, ha consentito di continuare a ottenere dal governo di Roma cassa integrazione «a gettone» esattamente come ai tempi della Fiat. Nel suo primo anno, Stellantis ha spostato la presentazione del suo piano industriale dalla scorsa estate all’autunno inoltrato e poi al primo marzo prossimo. Nel frattempo, con l’avallo di sindacati e governo, ha convinto migliaia di operai, impiegati e dirigenti a lasciare l’azienda su base volontaria. Ora, con la restituzione del prestito, nessun politico italiano potrebbe protestare qualora Stellantis annunciasse pesanti tagli occupazionali nella Penisola, dove conta oltre 55.000 dipendenti. E per scoprire le carte di Tavares, ormai, mancano meno di 40 giorni. In realtà, quello che oggi può apparire un colpo di scena era abbastanza intuibile. Il 23 luglio scorso, Stellantis aveva rinegoziato tutti i suoi debiti con le banche e aveva ottenuto una nuova linea di credito da 12 miliardi, che la rendeva «autonoma» dal prestito Intesa-Sace. E poi, basta andare a rivedere che cosa avevano dichiarato, dai banchi dell’opposizione, due leader come Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Il 31 agosto del 2020 fu il capo della Lega a protestare: «La nuova Fiat Punto sarà fatta in Polonia con tecnologia francese, alla faccia di Gualtieri che aveva assicurato garanzie precise per il prestito del governo a Fca. Nel Paese entrano clandestini ed escono lavoro e tecnologie». E il 29 gennaio 2021 la leader di Fdi, mentre tutti lodavano la nascita di Stellantis, denunciava: «Non è europeista consentire, dopo che solo qualche mese fa lo Stato italiano ha garantito con soldi nostri un prestito di 6 miliardi alla casa automobilistica, che ora Fca sia diventata a maggioranza francese, avendo tra i principali azionisti non solo aziende francesi, ma lo Stato francese. Così saranno i francesi a decidere sui posti di lavoro degli stabilimenti del gruppo, sui fornitori, sulle strategie».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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