2020-02-02
Livia Pomodoro: «Prestata alla giustizia, son tornata a casa»
Dopo una lunga carriera in magistratura, ora si occupa del teatro fondato dalla sorella scomparsa e presiede l'Accademia di Brera. «La mia gemella era una drammaturga, Giò e Arnaldo erano miei cugini. Mi consideravo l'encefalogramma piatto della famiglia».Il terzo occhio, una sorella gemella scomparsa e una nuova vita che inizia. Sembra la trama di un romanzo con retrogusto esoterico, invece è la storia di Livia Pomodoro. Magistrato e giurista d'alto lignaggio, già presidente del Tribunale per i minorenni e poi del Tribunale di Milano, responsabile della commissione ministeriale che ha scritto il codice di procedura penale minorile, capo di gabinetto del ministero di Grazia e giustizia di Claudio Martelli, ha vissuto in prima linea gli anni della lotta alla mafia, al terrorismo e quelli di Mani pulite. Nell'agosto del 2008, però, l'esistenza di Livia Pomodoro ha subito una svolta. La sorella gemella Teresa, attrice, regista sensibile alle realtà marginali e fondatrice del teatro No'hma, è morta di tumore. Da allora l'arte è divenuto il suo nuovo mondo, come testimonia anche la presidenza dell'Accademia di belle arti di Brera. Da servitrice delle istituzioni, si è sempre tenuta a distanza dalle polemiche e anche in questa intervista preferisce non pronunciarsi sull'attualità.Un magistrato che dirige un'accademia d'arte e un ente teatrale: come mette d'accordo questi mondi?«Appartengo a una famiglia di artisti. Mia sorella era un'attrice e drammaturga, Giò e Arnaldo Pomodoro erano miei cugini. Io per qualche verso mi consideravo l'encefalogramma piatto della famiglia. Per questo, da sempre, mi avvicino all'arte e alla cultura con grande umiltà e timore. Ma anche con grande passione. Qualcuno sostiene che sono stata un'intellettuale prestata alla giustizia. Mi aiuta una curiosità quasi felina, mi informo su tutto e tutti, come ho imparato a fare da magistrato. Al mondo dell'arte mi sono accostata in modo più specifico quando è mancata mia sorella e ho deciso di prendere in mano questo teatro particolare».In che senso?«È l'unico teatro al mondo dove non si paga il biglietto per entrare. È il posto dell'utopia immaginato da Teresa, un posto dove l'arte e la conoscenza sono accessibili a tutti, senza differenze di censo, dai generali e i ministri fino agli homeless del quartiere». La perdita della sorella le ha lasciato una seconda vita?«Mi ha regalato una meravigliosa passione. Diceva sempre: “Non hai visione, non hai il terzo occhio". Io mi rattristavo, ma aveva ragione lei. Da magistrati si impara a essere aderenti ai fatti. Quando ho iniziato a dedicarmi al teatro, mi sono documentata su cosa fosse il terzo occhio. Ce l'hanno gli artisti, coloro che hanno uno sguardo e un pensiero visionario sul futuro. Pian piano ho scoperto di averlo anch'io, pur non essendo un'artista».Che cosa si aspetta il teatro No'hma dalle istituzioni?«Ci hanno già dato molto. Questa sede straordinaria era una palazzina dell'acquedotto in disuso che il Comune ci ha concesso. Altre istituzioni, anche milanesi, ci danno patrocini e pubblicità su testate prestigiose. Aziende molto importanti ci aiutano senza chiedere visibilità in cambio. Attraverso lo streaming i nostri spettacoli sono fruibili in tutto il mondo e noi lavoriamo con passione sperando di cavarcela».Bene?«Bene è parola eccessiva. Resistiamo. Però il cartellone è apprezzato, tanto che alcuni prestigiosi artisti si esibiscono riducendosi generosamente il cachet. Al ciclo delle Domeniche speciali hanno partecipato Renzo Arbore, Giancarlo Giannini, Lina Wertmuller, Franco Nero, Marco Bellocchio, solo per citarne alcuni. Anche il tradizionale appuntamento Prima della prima della Scala, che anticipa i contenuti dell'evento che apre la stagione, è molto seguito».Di che cosa ha bisogno, invece, l'Accademia di Brera?«Siamo un'accademia universitaria, ma restiamo inseriti nell'ambito delle scuole superiori. Serve una modifica legislativa che ci inserisca a tutto tondo nell'ordinamento universitario. L'accademia è stata fondata nel 1776, è un'istituzione di grande tradizione, con un prestigio internazionale simile a quello di cui gode La Scala, come hanno documentato i rilevamenti della Makno, l'istituto diretto da Mario Abis. Io sono al secondo mandato. Nel primo, mi sono dedicata alla realizzazione di nuovi insediamenti di Brera sul territorio come i laboratori di Segrate, i campus artistici dell'ex scalo ferroviario Farini destinati a scultura restauro e falegnameria. Nel prossimo triennio vorremmo proporre Brera come università della bellezza. Ma per realizzare questo progetto abbiamo bisogno di maggiore autonomia».Per non farsi mancare nulla ha accettato anche una nuova cattedra universitaria.«Lavorando per l'Expo sulle tematiche giuridiche connesse al diritto al cibo, mi sono appassionata ai temi dell'alimentazione e dell'ecosostenibilità. Così attraverso l'università Statale ho avuto dall'Unesco la prima cattedra italiana in materia».La disciplina accademica è?«Diritti umani, diritto al cibo, ecosostenibilità».Un tema di moda.«Ma che nessuno conosce bene. Le imprese parlano genericamente di innovazione, il ricorso alle risorse che possono arrivare dal sistema bancario è poco sfruttato. C'è ancora molto da lavorare per far capire che cosa significhi davvero la sostenibilità nelle filiere produttive. Poi bisogna informare adeguatamente i consumatori. La riflessione e l'approfondimento su queste tematiche non sono utili, ma indispensabili». Che cosa pensa di Greta Thunberg?«È una testimonial generalista. Senza enfatizzarlo, il suo impegno può essere utile a richiamare una responsabilità collettiva verso il futuro. È arrivato il momento di lavorare su questi temi con un approccio positivo e propositivo. Non certo nella direzione della decrescita felice».Che cosa non la convince di questa filosofia?«La sfiducia inconsapevole nei traguardi e nei risultati della ricerca, nella capacità di innovare che al contrario non deve mai abbandonarci».Era in prima linea, capo di gabinetto al ministero di Giustizia quando la mafia uccise prima Giovanni Falcone, direttore degli Affari penali nello stesso ministero, e poi Paolo Borsellino. Come si vive vedendo che i propri colleghi e amici muoiono come in guerra?«Si vive male. Ho assistito a due stragi. Sono stata il più sfortunato capo di gabinetto della storia della Repubblica. Devo ringraziare tutti coloro che ci hanno aiutato ad affrontare momenti altamente drammatici. Dopo la morte di Falcone, riunii tutti i collaboratori del ministero per affrontare l'emergenza. Ricordo quella mattina, arrivata da Milano… ci trovammo in centinaia sulle scale… non c'era un'aula che ci contenesse. Sono figlia delle istituzioni, amo molto i cittadini italiani, persone straordinarie, piene di risorse e capaci di reazioni dignitose, come vidi in quei momenti».Ha mai temuto per la sua vita? «Il momento di massimo scoramento fu per la morte di Guido Galli, ucciso da Prima linea nel marzo 1980. Tutti i giorni tornavamo insieme dal tribunale perché abitavamo di fronte. Mi accompagnava davanti a casa e si allontanava a piedi. Dopo la sua morte fu trovato un volantino nel quale le Brigate rosse progettavano di ucciderci entrambi, ma il commando di Prima linea le precedette, ammazzandolo in un'aula universitaria dov'ero stata spesso con lui. All'obitorio trovai Virginio Rognoni, ministro dell'Interno: “Virginio, ci ammazzeranno tutti". Lui mi consigliò di allontanarmi per un po'. Feci un breve viaggio con mia sorella, per poi tornare quasi subito, pentita di averlo fatto. Una mia amica ecuadoregna dice che sono una donna muy animosa, molto coraggiosa». Ha imparato di più al ministero di Grazia e giustizia o al Tribunale per i minorenni?«Al tribunale. È un posto dove ogni giorno si fa un bagno di sofferenza, ma anche dove si ha la possibilità concreta di aiutare chi ha bisogno».Che segno crede di aver lasciato al Tribunale di Milano?«Qualcosa credo di aver fatto, se n'è accorta anche l'università di Coimbra che, in una pubblicazione sulla gestione dei tribunali, ha citato quello di Milano». Qual è la principale innovazione della sua presidenza?«Il modello informatico digitale, poi copiato da molti. Anche il bilancio di responsabilità sociale l'ho fatto io. Mi piace leggere i bilanci perché si capiscono tante cose. In tutti gli anni in cui sono stata capo di gabinetto il bilancio è sempre stato in pareggio. Un risultato che devo al ragioniere generale dello Stato di allora, Andrea Monorchio. Ci incontravamo la mattina presto e lui si prestava ad istruirmi».Che cos'è, in breve, un bilancio di responsabilità sociale?«È un documento che descrive il percorso annuale di un'impresa con uno sguardo che va oltre le tematiche finanziarie e contabili. E chiama in causa il territorio, l'ambiente, i lavoratori: gli stakeholder. Per Brera ad esempio parliamo ora di bilancio integrato. Accanto alla contabilità classica dobbiamo appunto calcolare l'impatto economico dell'Accademia sulla città e considerare che la sua reputazione, il suo brand internazionale, genera a sua volta numeri positivi».Che legge farebbe per tutelare maggiormente l'infanzia?«Non credo che le leggi siano in grado di sostituire le risorse della comunità. Credo servano leggi di carattere generalissimo che ci permettano di stare insieme attraverso la conoscenza, la cultura, l'attenzione nei confronti dei più deboli».Che idea si è fatta del caso Bibbiano?«Non l'ho seguito».C'è spazio nel nostro Paese per una giustizia non giustizialista, ma al servizio dei cittadini?«Dopo 50 anni di servizio nelle istituzioni della giustizia intendo mantenere questo profilo di terzietà che considero distintivo del mio ruolo e che custodisco gelosamente. Oggi desidero occuparmi di diritti umani, di arte, di bellezza. E coltivare il mio terzo occhio».Lei ha avuto ruoli di potere in ambienti prevalentemente maschili. Il fatto di essere donna l'ha ostacolata? «Mi ha spronato semmai a fare sempre di più e meglio. Senza timore. Solo così ho potuto aprire la strada alle generazioni di donne che oggi popolano il mondo della giustizia del nostro Paese».
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
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Ursula von der Leyen (Ansa)