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2022-12-13
Preso il bottino di Kaili: 750.000 euro. Estradizione per le signore Panzeri
Eva Kaili (Vladimir Rys/Getty Images)
Dopo l’arresto della ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, l’Autorità antiriciclaggio greca ha posto sotto sequestro una società immobiliare creata un mese fa a nome della donna e del compagno, Francesco Giorgi, già assistente parlamentare a Bruxelles dell’ex europarlamentare italiano Antonio Panzeri, entrambi finiti in manette su ordine della magistratura belga. La società, su cui stanno indagando le autorità, ha sede a Kolonaki, uno dei quartieri più lussuosi di Atene. Per la coppia, indagata in Belgio con l’accusa di riciclaggio, organizzazione criminale e corruzione legati a interventi in favore del Qatar, è stato deciso un provvedimento di congelamento di beni immobili, conti, prodotti finanziari di ogni tipo, società e relative quote. Il provvedimento è stato esteso anche a genitori e parenti stretti (fratelli e sorelle) della coppia.
Inoltre, il capo dell’autorità greca contro il riciclaggio di denaro, l’ex sostituto procuratore della Corte suprema, Haralambos Vourliotis, ha ordinato un esame approfondito anche delle dichiarazioni patrimoniali presentate da Alexandros Kaili, padre dell’eurodeputata, che in quanto funzionario pubblico del Paese ellenico è obbligato per legge a presentare annualmente. Intanto ieri la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, in un suo intervento in aula ha comunicato di aver cautelativamente «destituito» la Kaili «da ogni incarico e responsabilità connessi al suo ruolo di vicepresidente» e di aver «convocato una riunione straordinaria della conferenza dei Presidenti per avviare una procedura di cui all’articolo 21 per porre fine al loro mandato di vicepresidente nel tentativo di proteggere l’integrità di quest’Aula».
Il quotidiano belga Le Soir ha raccontato invece i dettagli del blitz di venerdì scorso a casa della Kaili. A intervenire sono state le unità speciali della polizia federale, che, appostate fin dall’alba davanti alla residenza dell’eurodeputata, hanno atteso l’uscita dalla casa situata in rue Wiertz, nel cuore del quartiere degli espatriati a Bruxelles, di Giorgi. Per gli investigatori dell’Ufficio centrale per la repressione della corruzione (Ocrc), che stanno conducendo le indagini sotto la direzione del giudice istruttore, Michel Claise, il sequestro del cellulare di Giorgi e il suo interrogatorio sono cruciali, ma non possono intervenire entrando nella casa, a causa dell’immunità della compagna. Appena uscito dal garage, gli uomini dei reparti speciali lo bloccano e procedono all’arresto, che darà il via a una serie di 16 perquisizioni in ambito europeo, in diversi comuni di Bruxelles e periferia. Ma è a mezzogiorno che, racconta ancora Le Soir, avviene il colpo di scena che porterà al salto di qualità dell’operazione. Gli investigatori fermano un uomo che sta lasciando, insieme alla moglie, l’hotel Sofitel. È il padre della Kaili (che verrà poi rilasciato domenica), in visita per qualche giorno a Bruxelles. Con sé ha un trolley in formato bagaglio a mano, che i poliziotti trovano pieno di banconote da 50 euro. Per le autorità belghe questo basta per far perdere alla Kali le garanzie previste dalla sua carica, che cessano in caso di flagranza di reato, e a dare il via alla perquisizione. Al blitz nella casa dell’eurodeputata partecipa anche il giudice Claise. Ed è lì che gli investigatori trovano «borse di lusso e borse da viaggio» riempite di contanti, in tagli da 20 e 50 euro. Una fonte vicina all’inchiesta avrebbe commentato così: «Sono cose che generalmente avvengono durante le perquisizioni dei narcotrafficanti». L’importo esatto del tesoretto non è ancora stato quantificato, ma per il quotidiano belga «più fonti» indicano che nella valigia del padre della Kaili c’erano circa 600.000 euro, e nelle borse trovate nell’appartamento della donna almeno 150.000 euro in contanti. Stiamo parlando di una cifra monstre di 750.000 euro. Una stima che sarebbe conservativa. Inoltre, gli investigatori avrebbero trovato in casa della donna altri elementi che la collegano al Paese sospettato di corruzione: medaglie o altri oggetti di valore offerti dal Qatar.
Intanto l’inchiesta prosegue. Tra domenica sera e ieri sono state effettuate dalla Guardia di finanza, altre perquisizioni, in abitazioni e in un ufficio del capoluogo lombardo e della provincia riconducibili a Panzeri e alla sua famiglia, durante le quali sarebbero stati sequestrati supporti informatici, documenti e una somma in contanti di importo non rilevante e alcuni orologi.
La Gdf, coordinata dalla Procura milanese in collaborazione con Eurojust, ha perquisito anche l’abitazione di Giorgi e fatto verifiche sia sui suoi conti bancari che su quelli di Panzeri. Contemporaneamente, gli inquirenti belgi sono tornati negli uffici dell’Europarlamento per sequestrare «le risorse informatiche di dieci collaboratori parlamentari» che durante il blitz di venerdì «erano state “congelate” per evitare la scomparsa di dati necessari alle indagini». Per il giudice della Corte d’appello di Brescia, Anna Dalla Libera, invece «non appaiono sussistere cause ostative alla consegna» al Belgio di Maria Dolores Colleoni, moglie di Panzeri e della figlia della coppia, Silvia. Per le due donne, fermate venerdì nell’abitazione di famiglia, si spalancano quindi le porte dell’estradizione e della consegna alla Procura federale belga, che ieri ha comunicato che quattro persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta sul Qatargate, tra cui la Kaili, «compariranno mercoledì davanti alla Camera di consiglio» per una prima udienza.
Ora trema anche la Commissione Ue
Lo scandalo Qatargate fa tremare anche la Commissione europea, come conferma l’imbarazzo di Ursula von der Leyen. Reticente, la von der Leyen, ieri mattina: il suo rifiuto di rispondere alla domanda se la magistratura di Bruxelles si sia fatta viva anche dalle parti della Commissione ha provocato il plateale disappunto di diversi giornalisti presenti alla conferenza stampa, e alla fine Ursula ha dato una risposta talmente vaga da apparire surreale: «Per quanto riguarda i contatti tra le autorità belghe e la Commissione», ha detto la presidente, «devo chiedere al mio staff. È una domanda molto chiara a cui non posso rispondere».
A sollevare dubbi sul comportamento della Commissione è stata, tra gli altri, la deputata europea tedesca Viola von Cramon, esponente del gruppo Verdi-Ale. Ieri mattina, la von Cramon ha ripubblicato su Twitter alcuni post del vicepresidente della Commissione, il greco Margaritis Schinas, che ha la delega alla promozione dello stile di vita europeo. I post consistono in due foto che ritraggono Schinas a Doha in occasione dei mondiali di calcio. In particolare, il 20 novembre, Schinas è presente al match inaugurale della Coppa del Mondo, e twitta: «Il calcio unisce il mondo. World Cup 2022 il primo evento globale post pandemia che dimostra che ci stiamo riprendendo le nostre vite. Il Qatar», sottolinea Schinas, «il primo Paese arabo e il più piccolo ad aver mai ospitato la Coppa, ha attuato riforme e merita un successo globale. Il modello sportivo europeo un’ispirazione per tutti». Lo stesso giorno, altro tweet pro Qatar: «Incontri costruttivi oggi a Doha con il ministro degli Affari Esteri, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani», scrive Schinas, allegando le foto delle riunioni, «e il ministro del Lavoro, Ali bin Samikh Al Marri. L’Ue e il Qatar continueranno ad ampliare le relazioni in materia di mobilità, competenze, riforma del lavoro, sicurezza e contatti interpersonali». «Il Qatar», insiste Schinas nell’ennesimo tweet, «ha compiuto progressi considerevoli e tangibili sulle riforme del lavoro, che devono essere sostenute e attuate efficacemente dopo la Coppa del mondo 2022». La von Cramon commenta in maniera durissima: «Il nostro stile di vita europeo», scrive la eurodeputata tedesca, «non include certamente lodi al Qatar per le sue riforme, le norme sul lavoro e i meriti in materia di diritti umani. A seguito dei recenti tweet del commissario Schinas, si potrebbero anche sollevare alcune domande riguardo al Qatargate. Tolleranza zero alla corruzione!».
Fonti dell’entourage di Schinas spiegano all’Ansa che «in qualità di vicepresidente della Commissione responsabile per lo sport, Margaritis Schinas è stato invitato alla partita inaugurale della Coppa del Mondo insieme al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e al presidente del Cio, Thomas Bach». Rimbalza di cellulare in cellulare anche una foto del 18 novembre che raffigura Schinas ad Abu Dhabi con la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, arrestata per corruzione, e il viceministro greco dello Sviluppo e degli Investimenti, Ioannis Tsakiris. «La riunione con la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili», spiegano ancora fonti vicine a Schinas, «è stata del tutto improvvisata e non pianificata (come specificamente indicato nel tweet del vicepresidente Schinas) e si è svolta negli Emirati Arabi Uniti, ad Abu Dhabi e non in Qatar». Oggi alle 8.30 la conferenza dei presidenti dei gruppi del Parlamento europeo si riunirà per discutere della revoca del mandato di vicepresidente del Parlamento europeo a Eva Kaili.
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Scattano i sequestri per la numero due dell’Europarlamento. Roberta Metsola: «Sarà destituita». Perquisite le case di Francesco Giorgi e dell’ex sindacalista. I giudici: «Moglie e figlia dell’eurodeputato si possono consegnare al Belgio».Ora trema anche la Commissione Ue. Ursula von der Leyen sfugge alle domande dei media sull’inchiesta: «Stiamo controllando i registri». Mentre il suo vice Margaritis Schinas finisce nella bufera per i suoi recenti elogi a Doha. Lo speciale comprende due articoli.Dopo l’arresto della ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, l’Autorità antiriciclaggio greca ha posto sotto sequestro una società immobiliare creata un mese fa a nome della donna e del compagno, Francesco Giorgi, già assistente parlamentare a Bruxelles dell’ex europarlamentare italiano Antonio Panzeri, entrambi finiti in manette su ordine della magistratura belga. La società, su cui stanno indagando le autorità, ha sede a Kolonaki, uno dei quartieri più lussuosi di Atene. Per la coppia, indagata in Belgio con l’accusa di riciclaggio, organizzazione criminale e corruzione legati a interventi in favore del Qatar, è stato deciso un provvedimento di congelamento di beni immobili, conti, prodotti finanziari di ogni tipo, società e relative quote. Il provvedimento è stato esteso anche a genitori e parenti stretti (fratelli e sorelle) della coppia. Inoltre, il capo dell’autorità greca contro il riciclaggio di denaro, l’ex sostituto procuratore della Corte suprema, Haralambos Vourliotis, ha ordinato un esame approfondito anche delle dichiarazioni patrimoniali presentate da Alexandros Kaili, padre dell’eurodeputata, che in quanto funzionario pubblico del Paese ellenico è obbligato per legge a presentare annualmente. Intanto ieri la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, in un suo intervento in aula ha comunicato di aver cautelativamente «destituito» la Kaili «da ogni incarico e responsabilità connessi al suo ruolo di vicepresidente» e di aver «convocato una riunione straordinaria della conferenza dei Presidenti per avviare una procedura di cui all’articolo 21 per porre fine al loro mandato di vicepresidente nel tentativo di proteggere l’integrità di quest’Aula». Il quotidiano belga Le Soir ha raccontato invece i dettagli del blitz di venerdì scorso a casa della Kaili. A intervenire sono state le unità speciali della polizia federale, che, appostate fin dall’alba davanti alla residenza dell’eurodeputata, hanno atteso l’uscita dalla casa situata in rue Wiertz, nel cuore del quartiere degli espatriati a Bruxelles, di Giorgi. Per gli investigatori dell’Ufficio centrale per la repressione della corruzione (Ocrc), che stanno conducendo le indagini sotto la direzione del giudice istruttore, Michel Claise, il sequestro del cellulare di Giorgi e il suo interrogatorio sono cruciali, ma non possono intervenire entrando nella casa, a causa dell’immunità della compagna. Appena uscito dal garage, gli uomini dei reparti speciali lo bloccano e procedono all’arresto, che darà il via a una serie di 16 perquisizioni in ambito europeo, in diversi comuni di Bruxelles e periferia. Ma è a mezzogiorno che, racconta ancora Le Soir, avviene il colpo di scena che porterà al salto di qualità dell’operazione. Gli investigatori fermano un uomo che sta lasciando, insieme alla moglie, l’hotel Sofitel. È il padre della Kaili (che verrà poi rilasciato domenica), in visita per qualche giorno a Bruxelles. Con sé ha un trolley in formato bagaglio a mano, che i poliziotti trovano pieno di banconote da 50 euro. Per le autorità belghe questo basta per far perdere alla Kali le garanzie previste dalla sua carica, che cessano in caso di flagranza di reato, e a dare il via alla perquisizione. Al blitz nella casa dell’eurodeputata partecipa anche il giudice Claise. Ed è lì che gli investigatori trovano «borse di lusso e borse da viaggio» riempite di contanti, in tagli da 20 e 50 euro. Una fonte vicina all’inchiesta avrebbe commentato così: «Sono cose che generalmente avvengono durante le perquisizioni dei narcotrafficanti». L’importo esatto del tesoretto non è ancora stato quantificato, ma per il quotidiano belga «più fonti» indicano che nella valigia del padre della Kaili c’erano circa 600.000 euro, e nelle borse trovate nell’appartamento della donna almeno 150.000 euro in contanti. Stiamo parlando di una cifra monstre di 750.000 euro. Una stima che sarebbe conservativa. Inoltre, gli investigatori avrebbero trovato in casa della donna altri elementi che la collegano al Paese sospettato di corruzione: medaglie o altri oggetti di valore offerti dal Qatar. Intanto l’inchiesta prosegue. Tra domenica sera e ieri sono state effettuate dalla Guardia di finanza, altre perquisizioni, in abitazioni e in un ufficio del capoluogo lombardo e della provincia riconducibili a Panzeri e alla sua famiglia, durante le quali sarebbero stati sequestrati supporti informatici, documenti e una somma in contanti di importo non rilevante e alcuni orologi. La Gdf, coordinata dalla Procura milanese in collaborazione con Eurojust, ha perquisito anche l’abitazione di Giorgi e fatto verifiche sia sui suoi conti bancari che su quelli di Panzeri. Contemporaneamente, gli inquirenti belgi sono tornati negli uffici dell’Europarlamento per sequestrare «le risorse informatiche di dieci collaboratori parlamentari» che durante il blitz di venerdì «erano state “congelate” per evitare la scomparsa di dati necessari alle indagini». Per il giudice della Corte d’appello di Brescia, Anna Dalla Libera, invece «non appaiono sussistere cause ostative alla consegna» al Belgio di Maria Dolores Colleoni, moglie di Panzeri e della figlia della coppia, Silvia. Per le due donne, fermate venerdì nell’abitazione di famiglia, si spalancano quindi le porte dell’estradizione e della consegna alla Procura federale belga, che ieri ha comunicato che quattro persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta sul Qatargate, tra cui la Kaili, «compariranno mercoledì davanti alla Camera di consiglio» per una prima udienza. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/preso-il-bottino-di-kaili-750-000-euro-estradizione-per-le-signore-panzeri-2658954794.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ora-trema-anche-la-commissione-ue" data-post-id="2658954794" data-published-at="1670878514" data-use-pagination="False"> Ora trema anche la Commissione Ue Lo scandalo Qatargate fa tremare anche la Commissione europea, come conferma l’imbarazzo di Ursula von der Leyen. Reticente, la von der Leyen, ieri mattina: il suo rifiuto di rispondere alla domanda se la magistratura di Bruxelles si sia fatta viva anche dalle parti della Commissione ha provocato il plateale disappunto di diversi giornalisti presenti alla conferenza stampa, e alla fine Ursula ha dato una risposta talmente vaga da apparire surreale: «Per quanto riguarda i contatti tra le autorità belghe e la Commissione», ha detto la presidente, «devo chiedere al mio staff. È una domanda molto chiara a cui non posso rispondere». A sollevare dubbi sul comportamento della Commissione è stata, tra gli altri, la deputata europea tedesca Viola von Cramon, esponente del gruppo Verdi-Ale. Ieri mattina, la von Cramon ha ripubblicato su Twitter alcuni post del vicepresidente della Commissione, il greco Margaritis Schinas, che ha la delega alla promozione dello stile di vita europeo. I post consistono in due foto che ritraggono Schinas a Doha in occasione dei mondiali di calcio. In particolare, il 20 novembre, Schinas è presente al match inaugurale della Coppa del Mondo, e twitta: «Il calcio unisce il mondo. World Cup 2022 il primo evento globale post pandemia che dimostra che ci stiamo riprendendo le nostre vite. Il Qatar», sottolinea Schinas, «il primo Paese arabo e il più piccolo ad aver mai ospitato la Coppa, ha attuato riforme e merita un successo globale. Il modello sportivo europeo un’ispirazione per tutti». Lo stesso giorno, altro tweet pro Qatar: «Incontri costruttivi oggi a Doha con il ministro degli Affari Esteri, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani», scrive Schinas, allegando le foto delle riunioni, «e il ministro del Lavoro, Ali bin Samikh Al Marri. L’Ue e il Qatar continueranno ad ampliare le relazioni in materia di mobilità, competenze, riforma del lavoro, sicurezza e contatti interpersonali». «Il Qatar», insiste Schinas nell’ennesimo tweet, «ha compiuto progressi considerevoli e tangibili sulle riforme del lavoro, che devono essere sostenute e attuate efficacemente dopo la Coppa del mondo 2022». La von Cramon commenta in maniera durissima: «Il nostro stile di vita europeo», scrive la eurodeputata tedesca, «non include certamente lodi al Qatar per le sue riforme, le norme sul lavoro e i meriti in materia di diritti umani. A seguito dei recenti tweet del commissario Schinas, si potrebbero anche sollevare alcune domande riguardo al Qatargate. Tolleranza zero alla corruzione!». Fonti dell’entourage di Schinas spiegano all’Ansa che «in qualità di vicepresidente della Commissione responsabile per lo sport, Margaritis Schinas è stato invitato alla partita inaugurale della Coppa del Mondo insieme al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e al presidente del Cio, Thomas Bach». Rimbalza di cellulare in cellulare anche una foto del 18 novembre che raffigura Schinas ad Abu Dhabi con la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, arrestata per corruzione, e il viceministro greco dello Sviluppo e degli Investimenti, Ioannis Tsakiris. «La riunione con la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili», spiegano ancora fonti vicine a Schinas, «è stata del tutto improvvisata e non pianificata (come specificamente indicato nel tweet del vicepresidente Schinas) e si è svolta negli Emirati Arabi Uniti, ad Abu Dhabi e non in Qatar». Oggi alle 8.30 la conferenza dei presidenti dei gruppi del Parlamento europeo si riunirà per discutere della revoca del mandato di vicepresidente del Parlamento europeo a Eva Kaili.
«Il governo belga si sta opponendo all’utilizzo dei fondi russi per timore di dover rimborsare l’intero importo qualora la Russia tentasse di recuperare il denaro», ha riferito Politico, per poi aggiungere: «Ma, a complicare ulteriormente la situazione, altri quattro Paesi - Italia, Malta, Bulgaria e Repubblica Ceca - hanno appoggiato la richiesta del Belgio di valutare finanziamenti alternativi per l’Ucraina, come il debito congiunto». A favore dell’uso dei beni russi congelati si è invece detta la Germania, che si è al contempo espressa contro il ricorso alla condivisione del debito. «Non illudiamoci. Se non ci riusciremo, la capacità di agire dell’Unione europea sarà gravemente compromessa per anni, se non per un periodo più lungo», ha dichiarato lunedì Friedrich Merz, riferendosi all’uso degli asset russi. Più sfumata appare invece la posizione della Francia, che non sembrerebbe del tutto ostile all’idea di ricorrere agli Eurobond. Nel frattempo, ieri Reuters ha riferito che i parlamentari italiani di maggioranza hanno stilato un documento, in cui si esorta il governo «a chiedere alla Commissione europea di condurre un esame approfondito degli aspetti legali e finanziari di tutte le opzioni di finanziamento sul tavolo». Si tratta di una risoluzione che dovrebbe essere votata nella giornata di oggi.
Come che sia, un diplomatico dell’Ue ha fatto sapere a Politico che sulla questione degli asset russi «non ci sarà alcun accordo fino al Consiglio europeo», che prenderà il via domani. «La Commissione europea ha presentato, tramite testo legislativo, due opzioni. Una era l’opzione per le riparazioni, che può essere attuata tramite la proposta legislativa presentata dalla Commissione a maggioranza qualificata. L’altra è l’opzione di un prestito, utilizzando come garanzia il margine di manovra del bilancio europeo. Questa opzione richiede l’unanimità», ha dichiarato un alto funzionario europeo. «È stato molto chiaro fin dal primo dibattito svoltosi tra gli ambasciatori che non c’era l’unanimità per quella seconda opzione, che è stata quindi messa da parte per concentrarsi sul prestito di riparazione. Non è un segreto che il prestito di riparazione sia la soluzione preferita da una considerevole maggioranza degli Stati membri», ha continuato. «Spetta ai leader decidere, ma credo che tutti i leader siano ben consapevoli della posta in gioco sproporzionata del Belgio in una soluzione basata sul prestito di riparazione. E questo viene preso in considerazione da tutti i leader e certamente il presidente del Consiglio europeo ne è ben consapevole», ha affermato un’altra fonte dell’Ue, che ha proseguito: «Tra l’altro, il negoziato sul prestito di riparazione si è svolto principalmente e soprattutto in base alle preoccupazioni del Belgio. E penso che questo sia anche un segno che tutti intorno al tavolo - gli Stati membri e certamente i leader - riconoscono la posta in gioco per il Belgio. Quindi il negoziato è in gran parte incentrato sulla condivisione di qualsiasi rischio o costo derivante da questa soluzione con il Belgio». Nell’Ue, se non panico, c’è «un senso di urgenza», come hanno detto ieri alcune fonti di Bruxelles. «Una decisione va presa».
Ricordiamo che i beni russi congelati sono detenuti da Euroclear Bank, che ha sede in Belgio. E proprio contro questo istituto ha fatto recentemente causa, davanti al Tribunale commerciale di Mosca, la banca centrale russa, chiedendo 230 miliardi di dollari di danni. «Se la banca centrale vincesse, potrebbe chiedere l’esecuzione forzata degli asset di Euroclear in altre giurisdizioni, in particolare quelle considerate ’amichevoli’ dalla Russia», ha sottolineato Reuters l’altro ieri. «Alcuni gestori di fondi avvertono che un’eventuale decisione di utilizzare i beni congelati aumenterebbe i rischi politici legati al possesso di asset in euro e metterebbe persino in dubbio il loro status di rifugio globale», aveva inoltre riportato, dieci giorni fa, il Financial Times. D’altronde, secondo il sito australiano The Conversation, «se gli operatori di mercato temessero sequestri di beni per motivi politici, potrebbero trasferire le proprie attività in giurisdizioni ritenute più sicure».
Insomma, la questione è insidiosa sul fronte tecnico. E poi emerge il nodo politico. Per l’ennesima volta, ci troviamo di fronte a un’Unione europea spaccata. Il dossier degli asset è scivoloso. Ed è tutto da dimostrare che il Consiglio europeo riuscirà a trovare una quadra su di esso.
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Da sinistra: Friedrich Merz, Keir Starmer, Volodymyr Zelensky ed Emmanuel Macron (Ansa)
Mentre il summit europeo di Berlino sulla pace in Ucraina è stato celebrato come un successo da chi ne ha preso parte, le proposte contenute nella dichiarazione congiunta dei leader dell’Europa sembrano fatte per essere rifiutate. E Mosca ha già iniziato a manifestare i primi segnali di chiusura.
A meno di 24 ore di distanza dal vertice, il Cremlino è convinto che la partecipazione degli europei alle trattative «non promette bene». E anche di fronte alle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che intravede la conclusione del conflitto, Mosca resta cauta. Il tycoon, dopo aver parlato lunedì sera con i primi ministri e i capi di Stato europei, aveva subito dichiarato: «Siamo più vicini che mai alla fine della guerra», aggiungendo anche di essere stato in contatto «di recente con Vladimir Putin». A smentire però la telefonata è stato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: i due leader non si sono più sentiti dopo il 16 ottobre. Il portavoce ha anche spiegato che Mosca «non ha ricevuto» alcun segnale dopo i round di negoziati a Berlino, e anche per questo dovrà valutare «quello che sarà il risultato dei negoziati che gli americani conducono con gli ucraini, con la partecipazione degli europei». Che Mosca non abbia ancora compreso l’esito dei summit è evidente anche dalle parole del viceministro degli Esteri russo, Sergej Ryabkov: «Non abbiamo idea di cosa succeda lì». Stando a quanto rivelato dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, si tratterebbe di una questione di giorni: i piani di pace, che dovrebbero essere finalizzati a breve, saranno poi presentati alla Russia dagli inviati americani.
Ma il niet russo è già arrivato in merito all’impegno europeo per «una forza multinazionale Ucraina a guida europea, composta dai contributi delle nazioni disponibili nell’ambito della coalizione dei Volenterosi e sostenuta dagli Stati Uniti». La posizione di Mosca era già nota, ma ieri il viceministro degli Esteri russo in un’intervista ad Abc News, ha ribadito: «Non sottoscriveremo, accetteremo o saremo nemmeno soddisfatti di alcuna presenza di truppe Nato sul territorio ucraino». Lo stesso rifiuto si applica anche qualora la forza multinazionale fosse parte di una garanzia di sicurezza o della Coalizione dei volenterosi. A intervenire in merito è stato anche Peskov che, affermando che Mosca «non ha visto alcun testo» sulla proposta europea della forza multinazionale, ha precisato: «La nostra posizione è ben nota, coerente e trasparente ed è chiara agli americani».
A ciò si aggiunge il grattacapo dei territori, con nessuna delle due parti che è disposta a cedere. Zelensky, a margine del vertice, ha ripetuto che «l’Ucraina non riconoscerà il Donbass come territorio russo, né de jure né de facto». L’impegno di Kiev è quello di continuare a «discuterne nonostante tutto». Il presidente ucraino pare quindi non prendere ancora sul serio le parole di Trump, che ha confermato che «il territorio del Donbass è già perso» per l’Ucraina. Dall’altra parte, anche la posizione russa resta immutata: Ryabkov ha detto che Mosca non scenderà «a compromessi» su Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia, Kherson e Crimea. Ed è anche in quest’ottica, con i soldati russi che continuano ad avanzare, che il Cremlino ha rifiutato la tregua natalizia avanzata dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Peskov ha infatti sottolineato: «Vogliamo la pace, non una tregua che dia sollievo agli ucraini e permetta loro di prepararsi a continuare la guerra».
Un altro tassello complicato riguarda Kiev e l’Ue, anche se non dalla prospettiva russa. Nell’ultimo punto della dichiarazione congiunta dei leader europei si afferma: «Il fermo sostegno all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea». Ma da parte italiana emergono alcune perplessità. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha osservato che ritiene «difficile» l’ingresso dell’Ucraina sia nella Nato sia nell’Ue «non per motivi politici ma agricoli, conoscendo gli agricoltori polacchi, francesi, italiani e tedeschi». A ribadire la sua contrarietà è stato poi il premier ungherese, Viktor Orbàn: «Il popolo ungherese ha detto che non vuole stare in un’Unione con l’Ucraina». Tornando alla linea dell’Italia, riguardo alle garanzie di sicurezza simili all’articolo 5 della Nato di cui «gli americani ne saranno parte», il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ricordato che si tratta della «proposta italiana» che è stata «accolta» perché «di buon senso». Ma ad essere accolte, sul fronte opposto, sono state anche le dichiarazioni inerenti al riarmo del vicepremier, Matteo Salvini: «Se Hitler e Napoleone non sono riusciti a mettere in ginocchio Mosca con le loro campagne in Russia, è improbabile che Kallas, Macron, Starmer e Merz abbiano successo». Per la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova «il paragone è preciso, la conclusione è indiscutibile».
Nato e referendum sul Donbass: la guerra poteva finire già nel 2022
Il nostro articolo del 27 febbraio 2022 concludeva con queste parole: «Forse si potrebbe auspicare che la Nato dichiari di rinunciare, una volta per tutte, ad «invitare» l’Ucraina a farvi parte; e che le regioni ucraine oggetto del contendere siano sottoposte a nuovo referendum». Dopo quasi quattro anni di guerra, leggiamo che «Volodymyr Zelensky apre: no a Kiev nella Nato».
Inoltre, a chi gli chiedeva se egli sarebbe stato disponibile a concedere territori come parte di un accordo di pace, Zelensky rispondeva che «la cosa non può essere decisa unilateralmente dal governo o dagli alleati, ma deve avere un mandato popolare, cioè il popolo ucraino deve essere coinvolto tramite un qualche processo democratico, nel formato di elezioni o di referendum». Che il nostro auspicio di quattro anni fa coincida con le conclusioni cui sarebbe alla fine pervenuto Zelensky dopo quattro anni, è, a mio parere, l’ulteriore prova della inadeguatezza di un uomo chiamato a gestire una situazione più grande, molto più grande, di lui. E non si tratta solo di inadeguatezza, ma anche di irresponsabilità. Perché le cose - se vogliamo capirle - dobbiamo dirle tutte. Dobbiamo quindi dire che già il 15 marzo 2022 Zelensky dichiarava: «Abbiamo capito che l’Ucraina non diventerà un membro della Nato, e dobbiamo riconoscere che non ci sono porte aperte». Insomma, il dover abbandonare ogni velleità di aderire alla Nato, più che una apertura di questi giorni, era una consapevolezza acquisita già quattro anni fa. Il che impone la cogente domanda: perché ha continuato la guerra e non si arrese quel 15 marzo 2022? Prima o poi, se non da un tribunale, sicuramente dalla Storia, questa domanda gli verrà posta.
Un’altra domanda che gli si dovrà porre è da dove gli è mai venuta l’idea di una Nato dalle «porte aperte». L’art. 10 del Patto Atlantico prevede che i membri «possono, con accordo unanime, invitare qualsiasi altro Stato europeo ad aderire al Trattato»; cosicché per far parte della Nato bisogna 1) essere uno Stato europeo, 2) essere invitati da chi membro lo è già, e 3) essere invitati all’unanimità. È vero che, subito dopo la fine della Guerra fredda, sebbene ci fosse stata da parte dei vertici della Nato una promessa verbale di non espansione a est della Germania, quegli stessi vertici si preoccuparono di far sapere al mondo intero che non ci sarebbero state preclusioni di principio per l’allargamento della Nato. Tuttavia, l’articolo 10 del Trattato è rimasto immutato. Insomma, Zelensky mai poteva allora, né può ora accampare diritti in ordine alla adesione dell’Ucraina alla Nato. E fa sorridere che codesta volontà di adesione sia stata scritta, addirittura, nella Costituzione ucraina, quando la cosa non dipende dalla volontà dell’Ucraina. E fa sorridere ancora di più, perché questa volontà fu addirittura un emendamento del 2019 alla Costituzione del 1996 che invece garantiva l’Ucraina quale Stato militarmente neutrale.
Anche l’altra recente affermazione di Zelensky sul possibile referendum in ordine alla «cessione» dei territori ripropone la sprovvedutezza dell’uomo. Quattro anni fa l’idea poteva sorgere spontanea. E, anzi, doveva sorgere già nel 2014. Allora, in seguito allo spodestamento del presidente Viktor Yanukovich, legittimamente eletto anche col forte sostegno dei voti dei cittadini di Crimea e del Donbass, questi decidevano di separarsi dal governo centrale con un referendum. Il referendum era, ovviamente, illegittimo; ma poneva un problema politico che in un sistema sedicente democratico avrebbe dovuto risolversi in qualche modo. Ma, anziché invocare il principio, sancito dalla Carta Onu, dell’autodeterminazione dei popoli e far ripetere i referendum sotto il controllo internazionale, la comunità internazionale girava le spalle al Donbass che si dichiarava indipendente; e sanzionava la Russia cui la Crimea si era confederata.
L’impressione è che, se fosse assennato, a Zelensky converrebbe mollare la Ue e affidarsi esclusivamente a Donald Trump. Se da un lato questi vorrebbe far finire quanto prima la guerra, e pertanto appare disponibile ad accontentare le pretese di Putin, dall’altro ha interesse a minimizzarne i vantaggi, cosa che indirettamente significa anche minimizzare gli svantaggi per l’Ucraina. Le cui disgrazie sono anche in parte dovute a quel «f**k the Eu» pronunciato - da Victoria Nuland, nel 2014 responsabile americana agli affari euroasiatici - a detrimento dell’Ucraina. Forse è venuto il momento per Zelensky di pronunciare la stessa invettiva a vantaggio del proprio Paese.
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Il viceministro degli Esteri israeliano Sharren Haskel (MFA/Mordehai Gordon)
Viceministro, la pace sembra essere ancora molto lontana in Medioriente.
«La situazione è particolarmente complessa e stiamo lavorando in patria e all’estero per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani e di tutti gli ebrei. A Gaza, Hamas non vuole consegnare le armi, bloccando l’inizio della Fase 2, ma la nostra pazienza ha un limite. Nella Striscia serve sicurezza e democrazia, due cose che Hamas combatte da sempre. Io personalmente non ho nessuna fiducia negli attuali leader palestinesi: molti di loro fanno dichiarazioni in arabo contro Israele e poi in inglese si fingono democratici. Glorificano i terroristi e fomentano la violenza. E così fanno solo il male dei palestinesi».
Il presidente statunitense, Donald Trump, vuole inserire anche l’Italia nel cosiddetto Consiglio di pace per Gaza.
«Siamo assolutamente favorevoli a coinvolgere l’Italia. Abbiamo grande fiducia sia nei militari che nei politici italiani. Il governo di Roma si sta adoperando per raggiungere la pace e io personalmente conosco il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e ne apprezzo la grande capacità diplomatica. Siamo però molto delusi da alcune nazioni europee come la Spagna e l’Irlanda, che hanno deciso di riconoscere la Palestina. Questo riconoscimento non è niente, non esiste e non ha senso che esista. Si tratta di un gravissimo errore politico, non fanno altro che riconoscere Hamas e i suoi crimini. Dopo aver rapito, stuprato e ucciso civili innocenti, i terroristi ne escono rafforzati perché vengono premiati da questi Paesi».
Anche il confine settentrionale resta problematico.
«Non ci fidiamo assolutamente del nuovo regime in Siria. Abu Muhamnad Al Jolani, lo chiamo ancora così perché resta un pericoloso jihadista che ha buttato la tunica e indossato la cravatta, sta uccidendo le minoranze, dagli alawiti ai cristiani, ma soprattutto i drusi che Israele ha deciso di difendere. I drusi israeliani sono parte integrante della nostra società, servono nell’Idf come soldati e sono cittadini a tutti gli effetti. I loro fratelli siriani vengono massacrati solo perché sono una minoranza e noi non lo permetteremo. Hezbollah rimane un pericolo per Israele anche se la sua forza è diminuita, ma grazie ai crimini che commettono con il traffico di droga e armi dal Sud America presto torneranno a essere un pericolo. Stiamo facendo pressioni sul governo libanese perché acceleri il disarmo di Hezbollah, che ancora non è stato fatto nonostante sia ufficialmente iniziato ad agosto. Il presidente del Libano, Joseph Aoun, ha promesso che l’esercito nazionale avrà il monopolio della forza, ma deve ancora dimostrarlo».
L’attentato contro la comunità ebraica a Bondi Beach, in Australia, ha portato l’attenzione ai massimi livelli e l’ambasciatore d’Israele a Roma, Jonathan Peled, ha dichiarato che gli ebrei non si sentono sicuri neanche in Italia.
«Con il governo di Roma c’è una stretta e proficua collaborazione e sappiamo che cerca di garantire sempre la sicurezza degli ebrei in Italia. Ma le parole del nostro ambasciatore derivano dalle manifestazioni che ci sono state nel vostro Paese, dove abbiamo visto molti episodi di antisemitismo, che vanno condannati con maggiore determinazione. Il sostegno alla causa della Palestina è soltanto una scusa per attaccarci e per questo motivo serve particolare attenzione per gli ebrei in tutto il mondo. Israele combatte molti nemici, ma il più pericoloso rimane il pregiudizio nei nostri confronti, che nella storia ha causato tante tragedie».
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