2024-08-20
La prescrizione ha salvato Boschi sr dall’accusa di aver aiutato una cosca
Il padre dell’ex ministro era accusato, insieme con un presunto riciclatore, di aver truccato un’asta pubblica utilizzando anche soldi provenienti dalla Calabria. I giudici hanno archiviato i due per scadenza dei termini.Leggere le accuse di Maria Elena Boschi alle famiglie degli altri ci strappa sempre un sorriso. A maggior ragione dopo che abbiamo potuto visionare un fascicolo archiviato dal Tribunale di Firenze, in cui il padre Pierluigi era indagato per turbativa d’asta, reato aggravato ai sensi dell’articolo 416 bis 1 del codice penale, perché sarebbe stato commesso al fine di agevolare l'attività di una cosca di ’ndrangheta. L’accusa di aver truccato una gara era già stata contestata quasi quindici anni fa, ma le indagini non avevano portato a nulla. La Procura del capoluogo toscano, particolarmente solerte nel cercare i legami della mafia con Silvio Berlusconi, nel 2017 aveva clamorosamente ignorato le dichiarazioni rilasciate alla Verità dall’imprenditore Francesco Saporito, da anni sospettato di riciclare i soldi del clan calabrese Grande Aracri, per questo sottoposto a varie indagini e attualmente sotto processo a Siena. L’ottantaduenne originario di Petilia Policastro (Crotone) è stato socio di Boschi senior nell’acquisto al prezzo di 7,5 milioni di euro di una grande tenuta agricola (la Fattoria di Dorna) in provincia di Arezzo. Il podere era stato bloccato con un anticipo di 800.000 euro dalla Cantina Valdarno superiore, di cui era presidente il babbo.Come abbiamo già raccontato su questo giornale, quell’area venne comprata dopo una tribolata trattativa con l’università di Firenze, la quale, invece, di assegnarla al migliore offerente, deliberò di procedere a un’ulteriore trattativa, che permise a chi aveva fatto la migliore proposta (superiore alla base d’asta di ben 250.000 euro), un gruppo di investitori guidato dall’architetto Annalisa Baracchi, di ritirarsi e di lasciare la strada spianata a Boschi & c. che superarono, con un rilancio last minute, l’offerta dei concorrenti di appena 10.000 euro. Successivamente il babbo rivendette personalmente un rustico con annesso terreno, incassando 250.000 euro in nero. L’acquirente denunciò la cosa e iniziò un lungo contenzioso con l’Erario che si accanì con Saporito, titolare della quota maggioranza della società agricola Fattoria di Dorna. Ma l’ottuagenario imprenditore, però, negò di aver intascato un solo euro di quella somma versata in contanti. Il 19 dicembre 2017 sulla Verità pubblicammo la versione di Saporito. Un’intervista che riapriva clamorosamente la storia della turbativa d’asta con dichiarazioni (anche) autoaccusatorie: «Boschi mi ha fregato parecchi soldi, sa? Questi 250.000 più altri 200.000 euro». Denaro che sarebbe servito «a far ritirare un architetto di Firenze dalla trattativa per Dorna». Saporito aggiunse: «Boschi dice di averle dato 200.000 euro. Ma per me non è vero niente, perché poi mi è stato riferito che l’Ateneo ha accontentato la professionista con un’altra vendita e quei soldi a mio parere li ha pigliati lui. Comunque me li ha fregati». Saporito aveva anche specificato come fosse stata accantonata la provvista, rigorosamente in contanti: «Con il commercio che avevo a quei tempi 180-200.000 euro li mettevo da parte facilmente». Ma per un pentito quei denari avevano ben altra provenienza.Salvatore Muto, importante collaboratore di giustizia, nel 2019, ha raccontato come l’ex socio di Boschi senior avrebbe comprato un’altra tenuta in provincia di Siena: «Compresi che questi terreni di San Galgano Francesco Saporito li aveva acquistati in parte investendo denaro della ‘ndrangheta e in parte facendo dei mutui. […] Si trattava di alcuni milioni di euro, forse tre. L’affare era nato perché c’era questo denaro delle cosche da investire». Un’annotazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) chiosa: «Si ricorda che Francesco Saporito, secondo le dichiarazioni del collaboratore Salvatore Muto aveva la disponibilità di circa 2.500.000/3.000.000 di euro di denaro contante che gli era stato dato dalla 'ndrangheta per investirlo nelle compravendite di immobili in Toscana». Il denaro sarebbe finito in una cassetta di sicurezza del Monte dei Paschi di Siena. Gli investigatori hanno pochi dubbi: «Appare giustificato che eventuali somme di denaro a nero utilizzate da Saporito anche per la trattativa per la Fattoria di Dorna, ivi compresa la somma di denaro consegnata a Boschi e destinata verosimilmente all'architetto Baracchi, siano transitate per questa cassetta di sicurezza». La fonte di Muto sarebbe stato il sessantenne Edo Commisso, fattore di origine catanzarese, coindagato di Saporito in un’inchiesta per riciclaggio che è oggi in fase dibattimentale. Nel 2022 il Tribunale di Firenze ha ordinato nei confronti dei due imputati il sequestro di 5 milioni di euro collegati all’acquisto della tenuta di San Galgano. Saporito è accusato di essere stato un imprenditore «a disposizione» delle cosche e di aver impiegato denaro di origine mafiosa con l’aggravante di aver agevolato la ‘ndrina Grande Aracri.Commisso per i magistrati sarebbe l’uomo «incaricato dalla cosca di sovrintendere agli interessi della stessa in territorio toscano e di individuare occasioni di investimento». Il mezzadro è stato per anni in rapporti con Boschi senior. Ma questa è una storia che approfondiremo prossimamente. I magistrati, dopo le dichiarazioni di Muto e l’apertura, nel 2019, di un fascicolo a Firenze, ci hanno messo tre anni prima di sentire Saporito. Nell’interrogatorio del 9 maggio 2022 i pm gli domandano: «Ci sono stati altri affari che le ha proposto Edo Commisso in Toscana e che lei ha portato a termine?». La risposta riprende esattamente quanto raccontato alla Verità quasi cinque anni prima: «Edo Commisso mi ha proposto l’acquisto della Fattoria di Dorna, io non ero interessato perché non ne avevo bisogno. Edo ha insistito dicendo che era un buon affare in quanto la fattoria era all’asta e il prezzo sarebbe potuto scendere a una cifra conveniente. In quel caso mi presentò Pierluigi Boschi, il quale mi fece vedere la planimetria di Dorna e mi disse che mi avrebbe fatto prendere un mutuo presso la banca del Monte dei Paschi di Siena». In effetti agli atti del procedimento è stata depositata una nota di un’agenzia dell’istituto di credito senese in cui si legge che Saporito «ci è stato presentato dal signor Pierluigi Boschi della Cantina Valdarno superiore».Il verbale dell’imprenditore prosegue: «In un secondo incontro fra me e Boschi», avvenuto in un bar di un distributore Agip vicino a un casello autostradale, «mi disse che oltre al prezzo di acquisto della fattoria servivano 250.000 euro in contanti da consegnare all’architetto Baracchi per farla ritirare dall’asta. Specifico che per farmi entrare nella compravendita Boschi mi chiese di versare i 250.000 euro in contanti che servivano per la Baracchi, consentendomi con tale versamento di entrare in società con lui». Su richiesta del legale, Saporito aggiunge alcuni particolari: «Circa 2 mesi dopo l'appuntamento al distributore Agip ho consegnato 250.000 euro in contanti a Boschi, ma non ricordo nello specifico dove ci siamo incontrati, né la data. Ricordo che forse mi trovavo a Figline Valdarno, nei pressi di una banca. Ho dato una busta chiusa a Boschi contenente il denaro che, a suo dire, era destinato all'architetto Baracchi. Successivamente Boschi mi ha contattato per riferirmi che l'avvocato R. di Arezzo ci aveva invitati a pranzo insieme all'architetto Baracchi. Il pranzo ebbe luogo a Firenze dove eravamo presenti i quattro appena nominati. In quel frangente l’architetto non ha specificato alcunché circa i 250.000 euro». Nel 2020 gli investigatori della Squadra mobile di Firenze avevano sentito la Baracchi come persona informata dei fatti e la stessa aveva negato di avere mai «incontrato soggetti collegati alla controparte che si è aggiudicata la gara». Aveva pure smentito di conoscere il nome della società vincitrice. La donna, subito dopo essere uscita dalla Questura, chiese, intercettata, un colloquio urgente con uno degli imprenditori che si erano ritirati dalla gara. Ma a insospettire gli investigatori è stato soprattutto un altro fatto. Per loro la donna, dichiarando di non aver incontrato nessuno della controparte, avrebbe mentito. In una nota si legge: «Il comportamento operoso di Boschi nell'acquisto della Fattoria di Dorna, e la sua vicinanza all'architetto Baracchi, emergono anche dal fatto che sarà lui stesso a consegnare, alla Commissione incaricata di eseguire l'asta immobiliare, l'atto di rinuncia della Baracchi a partecipare all'asta, come emerge chiaramente dall'intercettazione telefonica dell'utenza cellulare in uso all'architetto Vito Carriero». Ovvero il dirigente dei servizi tecnici patrimoniali e sicurezza dell'Università di Firenze che ha curato la dismissione di alcuni immobili di proprietà dell’ateneo, compresa la Fattoria di Dorna. Nella conversazione Carriero chiede a una funzionaria «il verbale dove c'è scritto che Boschi portò una lettera dove c'era scritto che quell'altra (la Baracchi, ndr) si era ritirata dall'asta». Gli investigatori aggiungono anche che «dalla lettura del verbale di assemblea (dell’Università, ndr) emerge anche che Boschi si è presentato in Commissione insieme all'avvocato R. di Arezzo, ovvero lo stesso legale che, per quanto dichiarato da Saporito in sede di interrogatorio, ha invitato lo stesso Saporito a pranzo insieme all'architetto Baracchi, su richiesta di quest'ultima». Eppure, il 23 giugno del 2022, apparentemente senza ulteriori approfondimenti (nel fascicolo non abbiamo trovato né l’interrogatorio di Boschi senior, né quello degli «amici di affari» della Baracchi), i pm Monferini e Fabio Di Vizio chiedono l’archiviazione per il sessantanovenne architetto aretino dall’accusa di astensione dagli incanti per denaro dato o promesso. Ma non perché il reato non ci sia, ma perché è prescritto: «Il delitto ipotizzato, che trova spunto e una precisa contestualizzazione nelle dichiarazioni rese in corso di verbale di interrogatorio di Francesco Saporito e in un successivo riscontro da parte della polizia giudiziaria (Dia) in una rilettura degli atti e delle intercettazioni alla luce di tali dichiarazioni, è tuttavia estinto per intervenuta prescrizione». Anche perché, per gli inquirenti, «non appare fondatamente contestabile all'indagata l'aggravante di agevolazione mafiosa». Cioè le indagini non hanno dimostrato che la Baracchi «sapesse di favorire, agevolare o in qualche modo arrecare vantaggio alla cosca calabrese di riferimento del Saporito. Né il Saporito sul punto riferisce alcuna circostanza, limitandosi a indicare in Pierluigi Boschi colui che avrebbe fatto da tramite e avrebbe imbastito tutta l'iniziativa, tra lui e la Baracchi, per la consegna dei soldi». Quattro giorni dopo, praticamente a tempo di record, il gip Angelo Antonio Pezzuti concorda sul fatto che «la commissione del reato da parte di Annalisa Baracchi sembra dimostrata», ma anche per lui, «non sussistono elementi sufficienti per sostenere, in questa sede, l'accusa in giudizio con riferimento all’aggravante di cui all’articolo 416 bis 1 del codice penale». Per questo dispone l’archiviazione «atteso che il reato deve ritenersi prescritto». Il 7 luglio la Baracchi, mai sentita come indagata, viene riconvocata come testimone. Spiega che la cordata da lei rappresentata ritirò improvvisamente («in maniera inopinata» per gli investigatori) l’offerta perché lei e i suoi soci avevano deciso di puntare su un altro immobile «molto più bello», di cui non ricorda, però, «il prezzo di aggiudicazione». A verbale nega ancora la frequentazione «per ragioni di lavoro o affari» di Boschi e di Saporito, «tanto meno per la vicenda dell’aggiudicazione di Dorna». Non esclude, però, di aver incrociato il babbo in «occasioni di convivialità con esponenti in vista di Arezzo». Infine, bolla come «calunnia e falsità» le accuse a lei rivolte dall’imprenditore calabrese.Martedì 16 agosto 2022, quando la Procura è praticamente deserta, Monferini decide di stralciare gli atti che riguardano la turbativa d’asta in un nuovo fascicolo «ritenuto che debba procedersi a richiesta di archiviazione» nei confronti di Boschi e Saporito. Esattamente una settimana dopo, il magistrato, che non deve amare le ferie d’agosto, inoltra l’istanza, sostenendo che il reato turbativa d’asta, che sarebbe avvenuta il 10 ottobre 2007, «anche configurando l’aggravante di agevolazione mafiosa», è estinto per prescrizione il 10 ottobre 2019. Il pm, inoltre, contrariamente a quanto aveva fatto per la richiesta di proscioglimento della donna, aggiunge nuovi elementi a favore dell’archiviazione del babbo. Per esempio precisa che la Baracchi «ha fornito una spiegazione plausibile della rinuncia». Che sarebbe questa: «Prima dell’aggiudicazione era stato valutato che fosse più economico l’acquisto del secondo complesso immobiliare». In realtà, come detto, la Baracchi ai magistrati ha riferito che a rendere (improvvisamente) preferibile il secondo immobile era stata la sua bellezza e non il prezzo. La toga puntualizza pure che nei tabulati acquisiti a suo tempo non risultavano contatti telefonici diretti tra Boschi e la Baracchi. Il 30 agosto il gip Fabio Gugliotta non si addentra nei particolari e conclude che, «anche a prescindere da una valutazione degli elementi indiziari ricavabili dalla documentazione presente nel fascicolo, risulta decorso il termine di prescrizione del reato». Per questo dispone l’archiviazione. Dovuta all’inconcludenza di almeno 12 anni di indagini.