2020-03-24
Prepariamoci: niente tornerà come prima
Quando la quotidianità si sviluppa troppo in fretta e la politica si fa trovare impreparata si entra in crisi. Dopo che l'infezione sarà finita, bisognerà cogliere l'occasione e ripensare tutto: dal lavoro ai rapporti globali. Sarà impossibile restaurare la «normalità».Pensare alla cose «dopo» che sono avvenute è sempre «tardi» rispetto alle opportunità. Pertanto non è prematuro, adesso nel corso dell'emergenza, cominciare a mettere dei punti fermi rispetto a quello che saremo noi, la nostra famiglia, la nostra comunità, l'Italia e il mondo dopo il coronavirus. Tutti, proprio tutti, cambieranno dal micro al macro livello perché questo è il necessario esito di ogni crisi: da qui la necessità di non trovarsi impreparati al cambiamento, ma cominciare a impostarne ora la direzione e l'orizzonte.Ciò non è facile, anzi spesso appare in controtendenza rispetto a quanto auspicabile: il sentimento di normalità tendiamo a confonderlo con il ripristino di uno stato precedente, tentiamo di rimettere le cose come erano prima: impossibile! Dunque cerchiamo infatti di capire, al di là del coronavirus, quale è lo scenario tipicamente di crisi che stiamo vivendo.Purtroppo con ciò ripeto cose che conosciamo da tempo e delle quali non si è fatto tesoro gestendo gli eventi all'impronta, senza competenze specifiche. Nel senso comune siamo spesso portati a definire come crisi un evento che «corre troppo veloce» rispetto agli eventi normali, quando «tutte le cose accadono in una volta» e vorrei tanto «fermare il mondo perché voglio scendere». Nel codice scientifico si qualifica una crisi perché i processi della normalità sono accelerati: in sostanza non cambiano significativamente i bisogni a cui rispondere ma cambia la loro distribuzione nel tempo. Oggi, infatti l'emergenza è dovuta al numero eccessivo e contemporaneo dei ricoveri non alle necessità dei ricoverati alle quali, normalmente, si saprebbe rispondere. Insomma, siamo in crisi quando la quotidianità si sviluppa troppo in fretta.A questo ben noto carattere delle emergenze si risponde attraverso lo sviluppo di scenari ipotetici di crisi, sottolineandone le possibili urgenze, risolvendo prima le vulnerabilità emergenti con una adeguata organizzazione. Oggi possiamo dire che una crisi è il risultato di una scarsa azione preventiva durante il tempo della normalità. Con ciò non si deve attribuire la responsabilità delle conseguenze di questi eventi eccezionali alla sola impreparazione: viviamo in un mondo che non è tutto prevedibile. Ma una buona dose di responsabilità i governi se la assumono quando pensano che «quello che accade altrove non potrà accadere a noi» più sulla base di esorcismi abitudinari che il singolo individuo usa per sopravvivere, esorcismi che diventano pericolosissimi a livello di comunità e criminali se conseguenti a intenti politici. La sindrome che porta a ripetere «la situazione è grave ma tanto a me non capita» è una forma di deresponsabilizzazione dolosa.Dobbiamo cominciare a pensare il nuovo mondo come un'area di elevata imprevedibilità non governabile con gli schemi attuali, che si sono dimostrati inadeguati sul piano culturale, valoriale, etico, financo antropologico, prima ancora che operativo.Quando l'emergenza sarà passata, rientrando dalla sua forma acuta, il tentativo di restaurazione sarà enorme: per prima la politica rincorrerà il sogno per garantire la disposizione di potere precedente, in questo confortata dalla maggior parte dei cittadini che vedranno in questa restaurazione la normalità fatta da consolidate abitudini, che erano state temporaneamente sospese.Saranno queste drammatiche tendenze da combattere, perché ogni crisi rompendo abitudini, comportamenti e interpretazioni, ha generato una esperienza che non può essere dimenticata o negata, se non con uno sforzo immane per cancellare la realtà che è stata. La consapevolezza di quanto avvenuto, durante la crisi del coronavirus, sarà il fondamento necessario per ripensare le modalità di relazione tra individui, il nostro lavoro, l'educazione dei figli, il rapporto tra Paesi e l'intero regime di scambi, lo sguardo con il quale leggere un mondo che sarà diverso.Se cogliamo l'occasione, la crisi diventa opportunità di cambiamento positivo nella misura in cui è indirizzato. Pertanto, avremo bisogno di nuove competenze e responsabilità politica insieme a un nuovo impegno di cittadinanza da parte di ciascuno.Paradossalmente, il dopo crisi può trasformarsi in una emergenza più subdola della sua attualità, se non colto nelle sue possibilità positive. Ma la responsabilità dell'indirizzo che sarà dato sarà solo nostra. Attualizzata fin da adesso.