2023-12-06
Il premierato non lima tutti gli artigli al Colle
Sergio Mattarella (Imagoeconomica)
Il disegno di legge, lungi dallo sminuire il ruolo quirinalizio, ne lascia invece intatte molte prerogative, come stoppare decreti legge «sgraditi» e bloccare nomine di ministri non ritenuti idonei. Il presidente del Consiglio eletto sarebbe tutt’altro che onnipotente.Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione.Tra i costituzionalisti in servizio permanente effettivo o di complemento, nella maggior parte orientati a sinistra, la più grande preoccupazione destata dal disegno di legge governativo di modifica costituzionale volto all’istituzione del «premierato» sembra essere quella che la figura del presidente della Repubblica verrebbe sminuita al punto da farle assumere un ruolo pressoché esclusivamente «notarile», in contrasto con quello di «garanzia». Si tratta, in realtà, di una preoccupazione che ne nasconde, all’evidenza, un’altra, inconfessabile, e cioè quella che, prospettandosi come altamente probabile l’elezione di un presidente del Consiglio espresso dal centro-destra, la sua azione non possa più essere controllata e limitata, come avvenuto finora, da un presidente della Repubblica che si suppone debba essere, per una sorta di diritto divino, di diverso, se non anche opposto, orientamento politico. Ma, in realtà, se si esamina con attenzione il testo, assai stringato, del disegno di legge governativo, la preoccupazione da nutrire sembrerebbe dover essere di segno diametralmente opposto. Esso, infatti, lascia intatti i poteri che la Costituzione assegna al presidente della Repubblica, fatta eccezione per quello di nomina dei senatori a vita. E quei poteri sono tutt’altro che trascurabili, tanto è vero che, senza minimamente modificarli ma dando ad essi una «lettura» un po’ più «ardita» rispetto a quella affermatasi, con poche varianti, fino all’avvento della presidenza Scalfaro, nel 1992, la Repubblica italiana è venuta, gradualmente, ad assumere, di fatto, connotazioni non troppo dissimili da quelle di una repubblica semipresidenziale. Si pensi, in particolare, alla nomina dei presidenti del Consiglio dei ministri non più, necessariamente, sulla base dell’indicazione emersa a seguito degli accordi fra i partiti in grado di disporre di una maggioranza parlamentare, ma anche sulla base, quando richiesto dalla situazione, di valutazioni della situazione politica operate direttamente dal Colle. È stato questo, come si ricorderà, il caso delle nomine di Lamberto Dini, nel 1995, Mario Monti, nel 2011, Mario Draghi, nel 2021, ad opera, rispettivamente, dei presidenti Scalfaro, Napolitano e Mattarella. Si pensi, inoltre, alla prassi, ormai invalsa, per la quale il presidente della Repubblica ha l’ultima parola circa l’emanazione ed il contenuto dei decreti legge, pur prevedendo l’art. 77 della Costituzione che di essi solo il governo abbia l’esclusiva responsabilità. Emblematico può ritenersi, in proposito, il noto caso del presidente Napolitano che bloccò l’emanazione del decreto legge predisposto dal governo Berlusconi nel 2009 per impedire la interruzione dei supporti vitali che consentivano la sopravvivenza di Eluana Englaro. E si pensi, ancora, al potere di «veto» circa la scelta dei ministri, manifestatosi, ad esempio, nel caso di Paolo Savona, proposto nel 2018 come ministro dell’economia ma poi passato alle politiche Ue per l’opposizione del presidente Mattarella. Ora, è vero che con la riforma proposta dal governo il potere di nomina del presidente del Consiglio sarebbe vincolato alla scelta operata dall’elettorato, per cui non sarebbe più possibile la nomina di governi «tecnici», del tipo di quelli sopra menzionati. È, però, altrettanto vero che i poteri residui del presidente della Repubblica sarebbero tali da poter dar luogo a situazioni di conflittualità assai pericolose. Il presidente della Repubblica potrebbe, infatti, continuare a bloccare l’emanazione di decreti legge il cui contenuto non fosse di suo gradimento. Parimenti potrebbe continuare a bloccare la nomina di ministri che, anch’essi, non fossero di suo gradimento, benché «proposti» non più (come ora avviene) dal presidente del Consiglio da lui nominato ma addirittura da quello eletto dal popolo; cosa, questa, palesemente assurda. Rimarrebbe, inoltre, intatto, anche il potere, previsto dall’art. 87 della Costituzione, di «autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo». Finora questo potere è stato esercitato, nella prassi, in modo da escludere (almeno all’apparenza) ogni discrezionalità da parte del suo titolare. Ma basterebbe dare, anche di esso, una lettura un po’ più «ardita» per consentire al presidente della Repubblica di avvalersene per esercitare un controllo di merito sul contenuto dei disegni di legge governativi, autorizzandone la presentazione solo se da lui condiviso ed entrando, in caso contrario, in conflitto con il Governo. Ed ancora, resterebbe nella piena disponibilità del Quirinale il potere, previsto dall’art. 88 della Costituzione, di sciogliere entrambe le Camere (anche se non più una sola di esse, come attualmente previsto), alla sola condizione della previa audizione, senza necessità di consenso, dei loro presidenti, pur quando non ricorra il caso, espressamente contemplato nel disegno di legge governativo, della seconda sfiducia, da parte del Parlamento, nei confronti del «premier» eletto o di chi sia stato designato in sua sostituzione. Stando così le cose, sembrerebbe potersi sostenere che le vie da percorrere per un’ipotetica riforma costituzionale dovrebbero essere, allora, sostanzialmente due: o quella di un «premierato» in cui il presidente della Repubblica venisse effettivamente ridotto ad una funzione puramente simbolica e di rappresentanza, oppure quella di un mantenimento dei suoi attuali poteri, ma prevedendone la diretta elezione popolare, da effettuarsi contestualmente all’elezione del Parlamento, in modo da evitare, per quanto possibile, diversità di orientamenti tra presidenza della Repubblica e governo espresso dalla maggioranza parlamentare. La prima di tali vie porterebbe, però, ad un «unicum» nel panorama delle democrazie occidentali, in cui risulterebbe assai difficile, tra l’altro, vedere l’utilità di un presidente della Repubblica assimilabile ad un Re senza poteri e senza neppure quella corona che, almeno, in forza della tradizione, conferisce ai veri Re, di solito, un certo carisma. Sarebbe quindi più logico, qualora non si vogliano lasciare le cose come stanno, propendere per l’altra via, cioè quella dell’elezione diretta del presidente della Repubblica, sulla falsariga (per rimanere all’esempio che ci è più vicino) di quanto previsto nella vigente costituzione della repubblica francese. La sinistra continuerebbe, presumibilmente, nell’immediato, ad opporsi, ma potrebbe poi, ad un certo punto, ricordarsi che anche in Francia , dopo oltre un ventennio in cui si susseguirono le presidenze di Charles de Gaulle, Georges Pompidou e Valéry Giscard d’Estaing, venne, alla fine, anche la volta del socialista François Mitterrand. Le occorrerebbe, quindi, soltanto avere pazienza come, in Italia, l’ha avuta e la sta avendo, da ben più lungo tempo, la destra.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)