2020-01-06
A Rieti si produce in serra l'insalata super bio: in 7 giorni è pronta per la tavola
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Coniugando due passioni, lo spazio e l'agricoltura, da ingegnere aerospaziale Giorgia Pontetti è diventata imprenditrice agricola, amministratrice di Ferrari Farm, capace però di coltivare ortaggi anche su Marte. Tutto in nome dell'alta qualità e del rispetto di ambiente e tradizione. Ma soprattutto per risentire il profumo della verdura e della frutta che coltivava il nonno che la portava bambina nei campi.Giorgia Pontetti, 42 anni, sorriso contagioso e idee chiare, co-founder e ceo di Ferrari Farm è un'imprenditrice con la passione per il suo Paese che traduce in un modello produttivo 100% italiano utilizzando un controllo da remoto, in grado di funzionare anche quando le condizioni esterne non sono favorevoli ma anche in assenza della luce naturale. In provincia di Rieti, nel Cicolano, non troppo lontano da Roma, su una collina che domina il Lago del Salto, l'azienda si estende su una superficie di 18 ettari dove oltre a frutteti, orto ed erbe officinali, sono state sviluppate delle serre ermetiche e sterili in cui pomodori e basilico vengono coltivati con metodo idroponico e biologico.«Abbiamo realizzato l'impianto idroponico che ha la caratteristica, rispetto a tutti gli altri esistenti sul pianeta, di essere più pulito di una sala operatoria e quando dico più pulito intendo anche 10.000 volte più pulito. Questo consente di coltivare ovunque, perché se io posso prescindere dall'ambiente esterno, quindi dalle sue contaminazioni e soprattutto dal mutamento climatico, se posso coltivare in un ambiente asettico e quindi sano, ecco che unendo tutte queste cose vien da sé che la mia serra può essere messa in qualsiasi posto, sotto terra, sopra terra, all'equatore, al polo nord, nel deserto piuttosto che su Marte».La "pazza idea" le è venuta tanti anni fa a una conferenza in cui si parlava di missioni spaziali, e, ricorda Giorgia «un professore disse che se un giorno fossimo andati su Marte ci sarebbe stata la necessità di coltivare e l'unico modo sarebbe stato quello di usare l'idroponica. Mi sono appassionata così tanto a questo argomento che ho deciso di farne un'azienda di nuova generazione». Tanto pazza l'idea che nessuna banca ha mai pensato di finanziare il progetto, ma soltanto la famiglia ha sostenuto la figlia ingegnere che ha poi ottenuto un finanziamento Prs Ue che le ha consentito di ottenere il bollino della Regione Lazio come testimonial dell'Innovazione. Un progetto ardito oggi al 5 anno di vita, dopo 2 di sperimentazione, ma che ha ottenuto le autorizzazioni soltanto dopo 7 anni di trafila burocratica. La Ferrari Farm ha realizzato le serre di cui una, che si chiama fitotrone, è completamente isolata dall'ambiente esterno ed utilizza luce artificiale con lampade Led che operano sulle lunghezze d'onda della fotosintesi. «Questo è fondamentale perché se pensiamo di fare coltivazioni verticali ad altissima densità, è necessario farle con la luce artificiale».Le serre, con tanto di portali con coppi (zona vincolata), sono dotate di stazione meteo esterna per il controllo della temperatura, impianti di areazione con filtri per la decontaminazione ed automatismi per il controllo della temperatura interna, umidità e CO2. Non solo, i software di gestione da remoto ma anche l'hardware sono stati curati e adattati alle specifiche esigenze della coltivazione idroponica dalla stessa famiglia Pontetti, considerato che il padre di Giorgia è un ingegnere elettronico che lavora nel campo della microelettronica per le applicazioni spaziali, operando, in società con la figlia che fa l'ingegnere dal lunedì al giovedì, nei più grandi esperimenti per le applicazioni spaziali per la fisica, e lavorando con meccanica di alto livello nel settore della Difesa.Insomma nessun agronomo a seguire il ciclo vitale di un anno dei pomodori rampicanti che arrivano a 20 metri di altezza o del basilico genovese compatto che diventa quasi un alberello, ma un computer dentro la serra «che dal primo al trecentosessantacinquesimo giorno conosce da solo di cosa ha bisogno il pomodoro e decide da solo che cosa fare. In questo modo regola il clima, decide quante volte dare l'acqua, fa i controlli di potassio sia sull'acqua che sull'aria e così via».Se la bioteconologia è la scienza che manipola il patrimonio genetico inventando letteralmente nuove specie di piante, quella di Ferrari Farm potremmo definirla tecno-bio-poietica, cioè l'uso della tecnologia per coltivare la natura con lo scopo di produrre una super biologia. Siamo al super bio, zero impatto ambientale, zero contaminazioni, zero inquinamentoOltre alle serre ci sono coltivazioni di varietà autoctone della zona alle quali non viene fatto alcun trattamento, sia nell'orto sia nel frutteto, tutto coltivato in sterilità e senza fitofarmaci, col vantaggio di essere nichel free, quindi i pomodori possono essere mangiati da tanta gente che oggi non può mangiarli. L'azienda cicolana trasforma anche le sue produzioni all'interno utilizzando una linea di trasformazione che è stata progettata secondo gli standard degli impianti di dimensioni industriali, mantenendo però la caratteristica di produzione di carattere artigianale e lavorando con la tecnica del sottovuoto. Vengono prodotte confetture extra di frutta, nettari bio di frutta, verdure sott'olio, condimenti aromatici oltre a tutta la linea dell'idroponica quindi del pomodoro: passata, nettare, omogeneizzato, confettura, liquore al basilico e pesto.Nel frattempo in un container la Ferrari Farm sta sperimentando le microgreen, insalata che cresce in 7 giorni e che sarà venduto alla Difesa per l'alimentazione dei nostri militari in zone difficili.Ecco, sviluppare metodi alternativi di produzione alimentare e consentire di produrre cibo sano a chi non ne ha, è uno degli obiettivi di Giorgia Pontetti impegnata a ridurre soprattutto la malnutrizione infantile.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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