
Il rivoluzionario chef ne fece un personale cavallo di battaglia. È uno dei piatti delle inaspettate meraviglie della cucina ucraina. Honorè de Balzac nei suoi diari annotò che essa contemplava 80 tipi di pani diversi, tra cui la pampuska: una focaccia identitaria.Dopo una Treccani golosa dedicata alle meraviglie del Bel Paese, per una volta la Storia in Tavola prende il volo e scruta le inaspettate meraviglie della cucina ucraina. Capita che una realtà, vista da lontano, viaggi di stereotipi. Noi italiani spesso semplificati, nell’immaginario international, come il popolo di spaghetti e mandolino. Gli ucraini, per molti di noi, una volta tolta la coperta omologante degli zar armati di falce e martello, visti come un popolo di silenziose badanti arrivate a noi dalle fredde steppe del nord. E, invece, poi scopri che è tutta un’altra storia, a partire da inaspettati punti in comune che uniscono questi due popoli, anche a tavola. Ucraina grande esportatrice di granaglie, Italia capitale mondiale della pasta. Nikolay Gogol, uno dei massimi autori della letteratura del XIX secolo, rimase talmente ammirato dal nostro Dante Alighieri, che visse molti anni a Roma. Una delle sue opere più importanti, Le Anime morte è stata scritta al tavolo del Caffè Greco, in via Condotti, dove un busto lo ricorda a futura memoria. Una hit canora che ha attraversato il tempo, ’O sole mio, è stata composta a Odessa, sulle rive del Mar Nero, da due napoletani veraci, Giovanni Capurro e Eduardo Di Capua. Odessa, dove la lingua ufficiale delle transazioni commerciali era l’italiano. Nel 1934, a Parigi, si tenne un concorso linguistico di confronto tra le nazioni. Italiano e ucraino furono considerate le due migliori lingue melodiche, per ritmo, flessioni, armonia. Uno dei piatti iconici di Gualtiero Marchesi, il padre del risotto oro e zafferano, è stato il pollo alla Kiev, magistralmente riletto dal pioniere della cucina italiana moderna. È giunta l’ora di sedersi a tavola, il palato curioso a scoprire storie golose. La stessa storia dell’Ucraina, per certi versi, ha importanti analogie con quella italica, crocevia di popoli e tradizioni diverse, amalgamate poi con una forte matrice identitaria comune «un ricco patrimonio storico di cui gli ucraini sono orgogliosi, tutti i piatti si sono “stabiliti” in Ucraina così tanto che gli ucraini li considerano, giustamente, parte integrante della loro cultura». Si viaggia, pertanto, tra memorie al piatto di zuppe polacche, pasticci rumeni o ungheresi in un melting pot dal ricettario intrigante. Quando Honorè de Balzac visitò Kiev e dintorni annotò sui suoi diari che, in Ucraina, si confezionavano ottanta tipi di pani diversi. Pane simbolo di identità familiare ed accoglienza. Nelle ricorrenze importanti venite accolti come ospiti da una pagnotta e grani di sale posti su di una tovaglia ricamata. Pampuska è una focaccia che ha un rito preciso. Otto palline di impasto disposte nella teglia circolare, con una di esse al centro. Lievitano in forno, pennellate con uova, prezzemolo e olio di girasole, e si uniscono tra loro. Talmente identitarie che pampuska, nella tradizione locale, sta ad indicare quella donna florida e solare ideale cemento di ogni famiglia. La varietà dei formaggi viaggia prevalentemente di prodotti freschi, dal tocco leggermente acidulo. Meritano menzione i baranciki e i kalaciki. Fatti con il latte di pecora vengono venduti dai pastori al termine della stagione d’alpeggio sui Carpazi. Sono piccole sculture casearie. Dopo una breve stagionatura di pochi giorni le forme vengono tagliate a pezzi e immerse in acqua calda, così poi da essere modellate, a forma di agnello, i primi, o di maniglia, i secondi. Un forte richiamo simbolico. Gli agnelli caseari vengono offerti in riti dedicati alle precoci morti infantili, le maniglie a quei defunti che non hanno ricevuto degna sepoltura, quasi a legarli per sempre alla memoria di chi li ha conosciuti. Le donne ucraine che giungono in terra italica portano spesso con sé, nelle case che le accolgono, memoria degli holubtsi, involtini di cavolo cappuccio con infinite varianti. Nella tradizione una farcia di carni diverse; rivisti in chiave gourmet con l’aggiunta di riso e spezie diverse. Il piatto nazionale, in una antologia di eccellenze, è senza dubbio il borsch, una minestra frutto anche di venti ingredienti diversi, che vede la barbabietola protagonista, con il suo rosso acceso che si impone alla vista. È la «pietra angolare» della cucina ucraina, tanto da essere candidata a patrimonio culturale dell’Unesco. Suo testimonial Ievgen Klopotenko, talento locale, tra i cinquanta giovani chef emergenti a livello mondiale. Assieme ad altri ventotto colleghi ha stilato il manifesto della cucina ucraina, volta a favorire la migliore valorizzazione tra l’eccellenza della produzione agricola e la tradizione della tavola. Al punto sei la chiave di lettura più importante, «consideriamo la cucina delle nazionalità e dei popoli che vivono nel territorio ucraino come parte integrante della gastrocultura nazionale», più inclusivo di così. Questo a gennaio, un mese prima dei fatti di cronaca che hanno sostituito, nei palinsesti mediatici, la pandemia virale. Tanto che lo stesso Klopotenko ha suggerito ai colleghi delle altre cucine del mondo di proporre il borsch come filiera ideale di pace tra i popoli «make bortsch, not war» il mantra condiviso. Borsch, «simbolo di una famiglia forte, tutti gli ingredienti vengono cotti in un’unica pentola» con una sequenza precisa «trasferendo in tal modo i loro sapori l’uno all’altro e diventando così un tutt’uno». Come una famiglia ideale, appunto. Tanto è vero che ogni ragazza ucraina impara a cucinare il borsch prima di convolare a nozze. Che dire dei vareniky, la variante ucraina dei nostri ravioli, ma ben più palestrati, a forma di mezzaluna e quattro volte più grandi. Anche qui accompagnati da un valore simbolico declinato in varie forme, ad esempio vengono regalati alle giovani partorienti come iniezione di forza e sostanza. A Capodanno, attorno al tavolo, buona tradizione prevede di trovarsi a condividere un vassoio di curiose varianti, tutte da scoprire, sia nelle versioni salate che dolci. Se all’interno troverete grani di mais aspettatevi ricchezza; gioia se albicocche, fama con una farcia a base di foglie d’alloro. E così via. Il maiale, in Ucraina, è una tradizione nata un po’ per caso e necessità. Quando, nel medioevo, i tatari occuparono l’Ucraina, sequestrarono tutto il bestiame, vacche e ovini, ma lasciarono il maiale, in quanto «impuro e quindi inadatto come cibo». E fu così che, il salo, ovvero il lardo nelle sue varie declinazioni, divenne il «narcotico ucraino», infilato di nascosto nelle valigie dei migranti verso le rotte del nord America. Era la classica merenda del cacciatore all’alba, prima di imbracciare lo schioppo tra le betulle dei Carpazi. Tagliato a fette sottili, su pane di segala, aglio crudo, pomodoro e cetriolini. Un sorso di vodka ad amalgamare poi il tutto. Roba da intrigare Ernest Hemingway. A Leopoli, città patrimonio dell’Unesco, esiste museo dedicato, con opere conservate in celle frigorifero: sculture lardacee che rimandano a volti e storie diverse, su tutti il valoroso Taras Bulba, icona nazionale, creato da Gogol, un eroe cosacco che combatté contro gli invasori tatari e polacchi. Come souvenir provate il gelato al salo e portate a casa i cioccolatini, inedito incrocio di salo e cacao. Se vi fermate alla prima bancarella del mercato un consiglio di antica saggezza popolare. Prendete un fiammifero robusto, infilatelo nel salo, se questo penetra facilmente potete farvi fare il pacchetto da infilare in valigia.
Ansa
Centinaia di tank israeliani pronti a invadere la Striscia. Paesi islamici coesi contro il raid ebraico in Qatar. Oggi Marco Rubio a Doha.
iStock
Considerato un superfood, questo seme (e l’olio che se ne ricava) combatte trigliceridi, colesterolo e ipertensione. E in menopausa aiuta a contrastare l’osteoporosi. Accertatevi però di non essere allergici.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci