2024-01-12
Così il pm ha cercato di imbavagliarci e sequestrarci i video del sindaco hot
Il procuratore di Civitavecchia ha avocato a sé l’indagine per chiedere la confisca di tutti i filmati dopo che il suo sottoposto aveva dato due volte parere contrario alle istanze del primo cittadino«Oggi le richieste dei pubblici ministeri vengono normalmente trasformate in sentenze dei giudici» lamentava Silvio Berlusconi. Che forse non era mai stato a Civitavecchia, la città del Forte Michelangelo, dove i politici chiedono, i pm approvano e i giudici rigettano. Per lo meno questo è accaduto nel nostro caso e, verrebbe da dire, per fortuna. La vicenda è quella del sindaco hot di Santa Marinella Pietro Tidei, già più volte primo cittadino proprio di Civitavecchia. L’esponente pd ha chiesto alla Procura di mandare la polizia giudiziaria a sequestrare i video che lo ritraevano affaccendato nel suo ufficio in mille mestieri, da quello di ginnico amante a quello di procacciatore di posti di lavoro. Un’istanza che ha trovato pienamente disponibile il procuratore facente funzioni della città laziale Alessandro Gentile, il quale, in disaccordo con un suo pm, si è speso personalmente per fermare la pubblicazione da parte del nostro giornale dei resoconti delle conversazioni registrate dai Carabinieri di Civitavecchia nelle stanze del Comune. E lo ha fatto nella piena consapevolezza, messa nero su bianco nelle due richieste di sequestro inviate al gip, che gli eventuali reati commessi dai cronisti fossero di competenza della Procura di Milano, dove, specifica, il magistrato «insiste la sede della redazione nazionale» (indicata, però, dalla toga al vecchio indirizzo).Attenzione, il sequestro non doveva riguardare solo i video che le performance erotiche dell’arzillo settantasettenne nella cosiddetta stanza Romeo (nomen omen) con la sua Giulietta, ma tutto il materiale girato, compresi i filmati che raccontano la discutibile gestione del potere da parte di Tidei e dei suoi più stretti collaboratori: raccomandazioni per posti di lavoro, concorsi e bandi su misura concordati con i dirigenti. Conversazioni che, a quanto risulta, inspiegabilmente, durante le indagini, scaturite da una supposta corruzione finalizzata a ottenere la caduta della giunta Tidei, non sarebbero state trascritte e poste all’attenzione della Procura. Tidei si è difeso dicendo che erano millanterie, ma non è chiaro se qualcuno abbia accertato che tali fossero quelle promesse e quelle indicazioni. Dopo i nostri articoli, in molti pensavano (e speravano) che i pm di Civitavecchia avrebbero approfondito la questione, in modo da fare chiarezza. Invece a finire sotto osservazione siamo stati noi. Il sindaco e i sequestriIl 29 settembre, l’avvocato di Tidei, Lorenzo Mereu, presenta al pm Roberto Savelli un’istanza di sequestro del materiale video in possesso della Verità. A preoccuparlo in particolare è la descrizione del video hot (nelle parti non pecorecce): «Quel che desta allarme è rappresentata dall’indubbia circostanza che i file in parola siano ancora in possesso di un giornalista che pur “non pubblicandoli direttamente” ne descrive il contenuto al pubblico dei lettori». Va detto che la quasi totalità dei file di cui veniva chiesto il sequestro non era segreta e nella disponibilità di uno degli indagati del presunto complotto ai danni di Tidei, il consigliere comunale Roberto Angeletti, che li aveva ottenuti legittimamente dalla Procura. E forse anche per questo Savelli inoltra al gip la richiesta di Mereu, vergando a penna il parere contrario. L’8 ottobre il legale del sindaco (che nel procedimento per corruzione è passato con una certa dose di disinvoltura dal rappresentare l’indagato Angeletti alla difesa di Tidei) torna alla carica, chiedendo di nuovo l’assalto alla nostra redazione. Questa volta a disturbare lui e il cliente è stato l’articolo che abbiamo dedicato alle lamentele delle vecchie maestranze della tenuta di Tidei: una famiglia di dipendenti albanesi che denunciava di aver subito un trattamento non certo degno di un sedicente difensore dei diritti dei lavoratori. Mereu ormai lavora a tempo pieno per il sindaco santamarinellese, tanto che nell’incipit della nuova richiesta scrive: «La persona offesa avvocato Pietro Tidei ha presentato, nelle ultime due settimane, almeno una querela al giorno denunziando di essere vittima di reiterate gravissime diffamazioni attuate con il mezzo della stampa (giornale La Verità)». Ma ancora una volta la fatica dell’ormai stremato Mereu non porta a nulla. Savelli, infatti, impugna di nuovo la penna e inoltra al gip «con parere contrario».Il 10 ottobre, nel pieno del clamore mediatico, Gentile decide di prendere in mano la situazione e avoca di fatto a sé l’indagine, attraverso la coassegnazione del fascicolo. Le motivazioni ufficiali sono le seguenti: «Si tratta di procedimento particolarmente delicato, per le qualifiche soggettive delle persone indagate (consigliere comunale, giornalisti di un quotidiano di rilevanza nazionale) e delle persone offese (Sindaco di Santa Marinella) ed anche per la natura e modalità dei fatti (diffusione e pubblicazione di intercettazioni di cui si era autorizzato il rilascio di copia ad uno degli imputati del procedimento in cui erano state eseguite)»; «sono in corso accertamenti investigativi particolarmente complessi» e «nell’immediato si appalesa necessario provvedere a richieste cautelari reali il cui eventuale accoglimento potrebbe ulteriormente ampliare il clamore mediatico della vicenda». In soldoni, visto il tam-tam su siti, giornali e tv, «du pm is megl che uan», per dirla con un celebre tormentone pubblicitario. Così, a 48 ore dal parere negativo del suo sottoposto, Gentile sconfessa Savelli, anticipando la richiesta di sequestro (che porterà la firma di entrambi i magistrati) e associa l’eco mediatica alla necessità di gestire personalmente il fascicolo.Il procuratore in campo Puntualmente, il giorno dopo, l’11 ottobre, il facente funzioni inoltra al gip la richiesta di sequestro nei confronti dei cronisti della Verità «delle copie di atti processuali» in loro possesso «ovunque si trovino, presso il domicilio degli stessi o presso gli uffici della Verità». Per il magistrato «sussiste il pericolo che la libera disponibilità» di tale documentazione «possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato e soprattutto agevolare la commissione da parte degli indagati di altri reati». Anche perché, udite udite, in quei giorni pubblicavamo un articolo al giorno e ciò rendeva «elevato il pericolo» che i cronisti potessero scrivere ulteriori articoli «contenenti parti di atti processuali o lo stesso video in questione o anche solo qualche fotogramma». Per quei servizi gli scriventi sono indagati insieme con Angeletti e con la sorella Bruna per pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. La Procura ci contesta la pubblicazione di 13 articoli contenenti stralci delle intercettazioni. Gli articoli che abbiamo mandato in stampa, però, sono 14. I magistrati, infatti, non ci contestano quello, pubblicato il 28 ottobre, che riportava il dialogo tra Tidei e il luogotenente Carmine Ricci, comandante della stazione dei Carabinieri di Santa Marinella. Nel corso della conversazione Tidei comunicava al sottufficiale di potersi adoperare per trovare un posto di lavoro per la moglie. Come detto, la competenza territoriale per la presunta diffamazione originata dalle nostre pubblicazioni, come ammette lo stesso Gentile nella richiesta, è di Milano. Tuttavia, nell’istanza, il magistrato scrive che «tale elemento non prelude (preclude, ndr) l’emissione» del provvedimento di sequestro, avendo noi, «gli indagati», la colpa di continuare «quotidianamente a propalare atti processuali quali intercettazioni e audio – video», con conseguente «immediata necessità di impedire l’ulteriore prosecuzione della condotta di reato». Portato a casa il risultato, anticipa Gentile, la Procura si dichiarerà «incompetente». Le argomentazioni del facente funzioni a favore del sequestro non sono finite e si ancorano anche al fascicolo per revenge porn contestato ad Angeletti, sospettato di aver diffuso il video con gli amplessi di Tidei. Infatti il pm informa il giudice che a imporre, temporaneamente, «il mantenimento della competenza innanzi a codesto Tribunale» sarebbe anche la necessità di completare gli accertamenti, in quel momento in corso, per «verificare se il video esplicito in possesso dei giornalisti sia stato effettivamente trasmesso da Angeletti e con quale contributo psicologico sia stato ricevuto». Con queste parole Gentile lascia immaginare un’inchiesta di fatto nei confronti dei cronisti della Verità anche per questa ipotesi di reato, senza, però, le garanzie, almeno formali, dell’iscrizione sul registro degli indagati.Nella sua richiesta, il facente funzioni gioca d’anticipo e prova a parare eventuali obiezioni: «Che la circostanza che il video esplicito si possa trovare presso gli uffici, i computer o servizi informatici del giornale La Verità non ne inibisce il sequestro quand’anche si opinasse che lo stesso sia stato ricevuto in buona fede, senza conoscerne i contenuti».Il magistrato sembra particolarmente voglioso di entrare nella redazione del nostro giornale. Tanto che, il 18 ottobre, torna alla carica, con una richiesta dai contenuti pressoché identici, estesa, però, anche al video «in possesso» di Angeletti.La risposta del gip Invano, visto che il gip del Tribunale di Civitavecchia, Matteo Ferrante, ha rigettato la richiesta, anche perché le pubblicazioni erano ormai cessate da mesi al momento della decisione. Ma il giudice, nel decreto, dà comunque una lezione di procedura ai colleghi, specificando che «il sequestro del materiale investigativo non potrebbe comunque essere disposto nei confronti di Angeletti che ne ha legittimamente ottenuto il rilascio dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari». E quindi i giornalisti potrebbero «rientrare in ogni momento in possesso del medesimo materiale». Da qui «l'evidente inutilità del richiesto provvedimento cautelare reale».Almeno a Civitavecchia c’è un giudice che non scrive sotto dettatura dei pm.