2020-12-03
«Più trasparenza sui costi di gestione. I consigli utili per i risparmiatori»
L'ad di Euclidea sim Stefano Rossi,: «Spesso alcune spese sono mascherate: allarme anche della Consob e dell'Esma I soldi dei cittadini vanno protetti, soprattutto adesso che si parla di imporre una patrimoniale»Il tema della trasparenza negli investimenti è un problema che Esma, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, e la Consob, la Commissione che vigila su Piazza Affari, stanno cercando di risolvere da tempo. Il risparmiatore medio è spesso a digiuno di educazione finanziaria (secondo uno studio dell'Ocse il nostro Paese è in terz'ultima posizione tra le economie del G20 in questo settore) e finisce per pagare costi di cui non è a conoscenza. La Verità ne ha parlato con Stefano Rossi, amministratore delegato di Euclidea sim. Quali sono le caratteristiche di un investimento a cui un risparmiatore deve stare attento in termini di trasparenza nei costi?«Noi sappiamo che nel mondo del risparmio italiano ed europeo ci sono diversi costi che si sovrappongono, spese che l'investitore finale a volte non vede ma che comunque paga. Abbiamo dato vita a una società come Euclidea per offrire un servizio che risolva questo tipo di problemi. Da noi, sin da subito, un risparmiatore può vedere i costi di gestione e più in generale i costi richiesti da un determinato fondo comune o Etf. Del resto, pure l'Esma o la Consob, attraverso anche l'introduzione del rendiconto Mifid2, hanno da sempre messo l'accento sul bisogno di maggiore trasparenza per i risparmiatori. Invece molti operatori di mercato hanno fatto di tutto per occultare il rendiconto Mifid. Il primo consiglio è quello di fare domande ai distributori a cui ci si affida. Bisogna chiedere quali sono i costi di gestione e quali sono i costi contenuti all'interno degli strumenti scelti».Cos'altro bisogna guardare?«Ampie ricerche mostrano che alcune società italiane prelevano performance fees (commissioni di gestione, ndr) che fanno lievitare i costi per i risparmiatori. La commissione di gestione deve essere sempre calcolata con quello che viene chiamato high watermark, cioè il livello minimo per calcolarle. Non c'è nulla contro le performance fee, ma vanno calcolate in modo chiaro. Se investo 100.000 euro e poi il mercato va giù e io ho 90.000 euro, quando poi il mercato risale a 95.000 io non posso pagare commissioni su questo rendimento». Scegliendo, però, solo i prodotti senza performance fee non si rischia di tagliare la gran parte dell'offerta che c'è in Italia?«Noi escludiamo a priori tutti i prodotti con commissioni sul rendimento. In totale analizziamo circa 140.000 prodotti disponibili in Italia. Su questi esiste, eccome, l'opportunità di scegliere prodotti di investimento scevri da politiche commerciali». La Mifid2 era nata proprio con la finalità di garantire la massima trasparenza ai risparmiatori. Poi, però, a conti fatti, la norma non ha avuto il successo sperato. No?«Purtroppo, in Italia il risparmiatore finale non sa nemmeno che esiste. La regola prevede che l'investitore abbia facoltà di chiedere il rendiconto dei suoi investimenti. Purtroppo, però, è il cittadino che deve farsi avanti. Diversamente non sempre gli viene dato. Il risparmio in Italia va difeso, soprattutto quando inizia a farsi avanti lo spettro di una tassa patrimoniale, come di questi tempi. Il risparmiatore deve sapere che la tassa sul risparmio gestito esiste già. Non c'è solo la tassa sul capital gain (l'imposta sul rendimento, ndr), ma c'è anche quella che finisce ai distributori. Per legge bisogna menzionare qual è il rendimento netto e quello lordo. Se però il tutto viene mischiato a tanti altri contenuti inutili, si fa un dispetto al cliente. Quello che posso dire è che c'è una grande voglia di trasparenza da parte degli investitori». Meglio rivolgersi a prodotti a gestione attiva o passiva? I secondi sono sicuramente più economici.«La verità è che servono tutti e due. Noi abbiamo un portafoglio che nel 2020 ha reso il 6,21%, al netto dei costi degli ingredienti che erano dello 0,31%. Se l'industria andrà, come io credo, verso un abbassamento medio dei costi dei prodotti finanziari e io saprò scegliere bene i miei fondi attivi (così chiamati da un gestore in carne e ossa, ndr), potrò affidarmi anche alla gestione attiva con costi medi al di sotto dello 0,5%». Non mancano, poi, alcune reti di consulenti che per direttive aziendali propongono ai clienti prodotti ideati dalla casa madre ma che non sempre sono i più adatti ai clienti. «Purtroppo, questo accade di frequente. In Italia ognuno ha il suo modello di business. In questo caso si tratta di prodotti che fanno l'interesse del distributore e non quello del risparmiatore. Va detto che l'Italia è tra i Paesi con i costi più alti nel risparmio gestito».