2020-11-19
Più poveri, meno sani e più infelici. La parabola degli «eroi fannulloni»
Gli spot tedeschi invitano i giovani a essere «pigri come procioni» per sconfiggere il virus. Per i nostri intellò è una trovata geniale. Ma vegetare sul divano divorando cibo spazzatura è il massacro di una generazione.Il tedesco Tobi, un bel signore anziano con una fluente chioma candida, guarda dritto in camera e non trattiene un sorriso mentre spiega agli intervistatori perché quando era giovane, nel 2020, gli diedero una medaglia e lo trattarono da eroe. Mi premiarono, ricorda, perché ero un lavativo, tanto che mi chiamavano «Tobi il pigro», ed ero troppo pigro persino per offendermi. Già, Tobi se ne stava tutto il giorno in canottiera, incollato al pc cibandosi di ravioli precotti che «mangiavo direttamente dalla scatoletta». Tali caratteristiche lo hanno trasformato nel cittadino perfetto quando il coronavirus è esploso. Questa è la descrizione, in sintesi, del terzo spot realizzato dal governo federale tedesco per invitare la popolazione giovane a non uscire di casa in questi giorni di pandemia. I due filmati che l'hanno preceduto seguono lo stesso canovaccio. Organizzati come finti documentari, sono ambientati in un futuro non troppo lontano (circa cinquant'anni da oggi) e mostrano alcuni anziani che - come eroi di guerra - narrano le eroiche imprese compiute nell'era del Covid. Il messaggio è sempre lo stesso: dovete essere «pigri come procioni», stare chiusi in casa, poltrire. Nel primo spot il protagonista, un ventenne di nome Anton, è ripreso mentre giace in stato catatonico sul divano davanti alla televisione. Nel secondo episodio il giovanotto viene raggiunto dalla fidanzata: i due si compiacciono di restare in pigiama sul lettone, ingozzandosi di cibo spazzatura ordinato a domicilio. I tre video sono stati accolti qui da noi con squilli di tromba. La gran parte dei siti li definisce «geniali», i conduttori tv li trasmettono ridacchiando, i commentatori più fini ne apprezzano la fattura. Va riconosciuto: sono originali, possono risultare divertenti, hanno il sapore vagamente surreale che oggi va per la maggiore. Ed è proprio questo a renderli pericolosi. Queste «pubblicità progresso» si muovono su un terreno molto battuto negli ultimi anni: incensano il nerd (il gracilino un po' sfigato possibilmente amante della tecnologia). Un tipo umano che, da qualche tempo, è salito prepotentemente alla ribalta. Da un lato per via della smania contemporanea di celebrare debolezze, diversità e minoranze in genere. Dall'altro perché i nerd e gli smanettoni che 20 o 30 anni fa subivano le angherie dei compagni di scuola più atletici oggi sono al potere grazie alla rivoluzione digitale. La «rivincita dei nerd» (era il titolo di una nota commedia americana) si è compiuta, ma non ha portato a una rivalutazione dell'intelligenza e della sensibilità rispetto alla forza fisica. Rimasticata dal marketing, è diventata l'occasione per proporre un modello di consumatore: un ragazzotto con pochissime relazioni reali, che vive rinchiuso nella propria tana, preda del godimento immediato («Vuoi mangiare? Ordina subito!»; «Perché attendere, acquista con un clic dal divano!»). Un animale commerciale, un eterno bambino allattato dall'industria dell'intrattenimento. Ecco, questo è l'eroe che anche gli spot tedeschi propongono ai giovani con la scusa del Covid, fregandosene delle conseguenze sociali, fisiche, economiche e psicologiche. Starsene tutto il dì a vegetare sul divano mangiando cibo preconfezionato è devastante per la salute. Non coltivare relazioni sociali al di fuori delle mura domestiche lo è per la psiche: crea individui isolati, fragili, in preda all'ansia. Stare a casa da scuola, inoltre, indebolisce le menti. Il risultato sono ragazzi sedati, i quali non si rivolteranno contro le istituzioni che li blindano in salotto, ma al massimo sfogheranno il risentimento su social e forum. E poi l'ultima questione: chi paga? Chi finanzia il junk food? Chi offre Netflix? Nel caso dei giovani, a sborsare sono i genitori. Gli spot non dicono che per mantenere lo zombie addivanato è necessario, banalmente, che qualcuno lavori al posto suo. Altrimenti l'economia muore, e con l'economia frana tutto il resto, compreso il sistema sanitario che (in teoria) ci protegge dal Covid.Ai giovani destinatari dei video germanici non viene detto che un domani - grazie alla «eroica pigrizia» e alla benemerita chiusura totale - potrebbero faticare a trovare un impiego decente. Dovranno magari adattarsi a lavori scadenti e malpagati, e se li rifiuteranno non ci sarà più la tv a lodarli, ma un politico che li accuserà di essere «choosy» e piagnoni. Non ci saranno filmati sulle virtù del pollo fritto portato dai rider, ma pubblicità martellanti che li inviteranno a consumare meno calorie, onde risultare più scattanti e produttivi. Stare in casa in telelavoro o ad attendere un reddito di cittadinanza non sarà più un piacere, ma una condanna. Gli «eroi fannulloni», da vecchi, saranno più poveri, meno sani e più infelici. E sai che risate quando lo scopriranno.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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