2020-10-18
«Pineider piace anche a rapper e tatuatori»
Giiuseppe Rossi, direttore generale di Pineider
Giuseppe Rossi, direttore generale del marchio fiorentino di cartoleria e pelletteria di lusso, nato nel 1774 e rilevato dalla famiglia Rovagnati: «Abbiamo appena aperto una boutique a Milano. Ci associano ai notai, ma con i social puntiamo a giovani e nuove categorie».Eleonora Duse, Maria Callas, Gabriele D'Annunzio, Luigi Pirandello, Henry Ford, Marlene Dietrich, Rudolf Nureyev, Luchino Visconti, Elizabeth Taylor che, si narra, volle una carta filigranata del colore viola dei suoi occhi: tutti clienti di Pineider, a cui bisogna aggiungere Napoleone, Giacomo Leopardi, Stendhal, lord Byron, Charles Dickens. Oggi Pineider non ha perso smalto, tanto che a Barack Obama è stato regalato il set scrivania da viaggio in legno di ciliegio e pelle con tanto di selezione completa di strumenti e cancelleria per scrivere lettere e prendere appunti. E regali firmati Pineider sono stati donati ai capi di Stato del G7 di Taormina e del G8 dell'Aquila. Ma non è il lungo elenco di famosi affezionati a fare la differenza per il marchio. È la storia straordinaria mantenuta nel tempo a confermare che Pineider rappresenta un segno distintivo per chi usa la sua carta, i suoi oggetti da scrittura e gli accessori in pelle, con collezioni di grande pregio che si rinnovano di stagione in stagione e si arricchiscono di materiali e colori. L'eccellenza nella stampa personalizzata su carta da lettere, biglietti da visita e partecipazioni di nozze, a cui poi si sono affiancati penne, orologi e articoli in pelle, la dice lunga su un marchio usato per gli inviti ufficiali delle istituzioni e scelto dalle grandi famiglie di industriali e nobili. Ogni prodotto esce rigorosamente dalle sapienti mani degli artigiani toscani. «Il nostro nome ha accompagnato editti, grandi matrimoni, incoronazioni, pubblicazioni speciali. Sulle carte Pineider sono stati redatti atti fondamentali che forniscono un tracciato storico di questi 244 anni», spiega alla Verità Giuseppe Rossi, direttore generale del marchio.Una storia che parte da lontano.«Nel 1774 Francesco Pineider è sceso dalla Val Gardena come semplice incisore, un artigiano che incideva legno, pietre e metalli per fare i cliché di stampa sulla carta. Arrivare a Firenze allora era come andare a New York negli anni Ottanta o Shanghai per i ventenni di oggi. Era il luogo dove poter fare fortuna e arricchirsi culturalmente. Qui hanno scoperto in Pineider l'artista che con bulino e cesello poteva raffigurare Palazzo Vecchio o i ponti di Firenze, già difficili da riprodurre a matita. È diventato un punto di riferimento per la nobiltà che si rivolgeva a lui quando aveva bisogno di cliché di stampa. E ci aggiunse tutto quello che poteva essere il corredo in pelle di porta carte e porta documenti. Dopo poco aprì la sua prima bottega, un negozio di cartoleria, nella prestigiosa piazza della Signoria, cuore pulsante della politica fiorentina. Il concetto di negozio era per lui quello di uno spazio unico dove raccogliere queste esperienze. Che tutt'ora si tramanda».La vostra è stata una continua evoluzione.«Nel 1886, dopo la comparsa della prima stilografica inventata da Lewis Waterman negli Stati Uniti, Pineider, un pronipote di Francesco ovviamente, ha importato le prime penne arrivando a 150 articoli da scrittura. Quindi a oggetti si sono aggiunti altri oggetti. Facendo un salto enorme nel tempo, arriviamo a tre anni fa. La situazione in cui versava l'azienda era assai complicata. Negli anni Novanta gli eredi Pineider avevano lasciato l'azienda. La famiglia Rovagnati, celeberrima per l'alimentare, ha rilevato il marchio. Si è deciso di ripartire da zero ricreando l'intera organizzazione aziendale attraverso un piccolo laboratorio con macchine che stampano ancora con le tecniche della fine dell'Ottocento. E sviluppando prodotti di bellezza rara, articoli in pelle e da scrittura. L'ultimo tassello di questo rilancio è il nuovo spazio milanese, concepito per proporre varie esperienze. Stiamo facendo presentazioni sempre di nicchia in totale sicurezza rispettando le norme anti Covid».E arriviamo quindi al negozio di Milano che ha preso il posto della storica Feltrinelli di via Manzoni. Si pensava di perdere un simbolo del passato ma con l'arrivo di Pineider si sono spente anche le lamentele. Cosa presentate?«Siamo un'azienda con una storia straordinaria e se si guardano i prodotti sono assolutamente contemporanei. Vogliamo raccontare qualcosa di nuovo per portare l'azienda sempre avanti. Vogliamo avvicinare un cliente sempre più giovane, partendo dal trentenne. E non necessariamente il professionista come è sempre stato per Pineider, nome che fa pensare subito a un notaio, a un avvocato, a un commercialista, a un medico. La nostra idea è fare uno scatto in avanti con collaborazioni particolari. Con interlocutori, da un punto di vista del percepito, molto lontani da Pineider: tatuatori, scrittori irriverenti, artisti. Attraverso i social comunichiamo in modo differente, con target differenti. È un mondo in apparenza lontano da noi ma che scrive e ha bisogno di matericità. Ad esempio i rapper scrivono ancora sulla carta. E lì abbiamo trovato il legame. E poi c'è un bistrò per la clientela, chiamato Il club degli scrittori, con affaccio sulla corte del museo Poldi Pezzoli. Questo non è un negozio ma uno spazio dove ci si incontra e ci si contamina».Pineider è un marchio noto e amato in Italia. E nel resto del mondo?«Ha delle piccole cellule di notorietà in alcuni mercati all'interno di determinate fasce di consumatori. Dai 35 ai 70 anni lo conoscono tutti, basta chiedere ai professionisti americani, belgi, francesi, inglesi. I grandi mercati statunitensi, l'Asia, l'Europa e il Medio Oriente, al netto di questa fascia, non ci conoscono. Quelli inclini alla scrittura e alla carta, alla storia e alla personalizzazione sono senza dubbio interessati. Il Giappone è il Paese numero uno cosi come gli Stati Uniti. Non spreco tempo a Dubai o ad Abu Dhabi, che sono le città più digitalizzate al mondo e dove vendi più la marca che l'esperienza. Parlare ora di estero è difficile con gli spostamenti pressoché bloccati».Eppure, nonostante questo particolare momento, avete dato vita a uno spazio così importante.«È vero. Ammiro tantissimo lo spirito imprenditoriale della famiglia Rovagnati, che ha una visione, sa guardare oltre. Quando ho manifestato certi miei pensieri da prudente padre di famiglia, tra marzo e oggi, sottolineando che si potevano stoppare certe decisioni, viste le circostanze, non ne hanno voluto sentir parlare e nulla è stato fermato. Chi si occupa in prima persona del gruppo è la signora Claudia, il figlio Lorenzo è amministratore delegato, mentre Ferruccio, l'altro figlio, è più esterno».