2023-06-19
Pietro Luigi Garavelli: «Lascio la sanità, non la riconosco più»
Il primario di Novara, pioniere delle cure precoci contro il Covid: «La scienza alla fine mi ha dato ragione, eppure il sistema mi ha isolato. La pandemia è finita non grazie ai vaccini, ma perché il virus è mutato».«Non è più il mio mondo...». Con questa frase inizia il messaggio che il professor Pietro Luigi Garavelli, primario infettivologo dell’ospedale di Novara, sta inviando in questi giorni ai suoi contatti telefonici per annunciare la sua imminente uscita di scena dalla sanità pubblica, avendo deciso di andare in pensione con sei anni di anticipo. «Ho svuotato il mio studio di Novara. Dal 31 luglio inizierò il percorso che mi porterà alla pensione...» scrive oggi, anche se in realtà lo aveva deciso - e preannunciato - poco meno di due anni fa, all’indomani della bufera mediatica e dell’azione disciplinare che subì a causa di un suo intervento pubblico in una piazza di Alessandria, durante una manifestazione no Greenpass (ma etichettata come no vax), in occasione della quale Garavelli fece affermazioni sui vaccini anti Covid che non erano in linea con quelle che il governo stava divulgando. Garavelli disse, in quell’occasione, che quei vaccini che venivano propagandati dalle autorità come unica soluzione salvifica per uscire dalla pandemia in realtà non lo erano e così, lui che fu il primario più giovane d’Italia (a soli 38 anni); lui che ha pubblicato ben 300 lavori scientifici, di cui 119 indicizzati; lui che è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale; lui che ha coniato anche il nome di una malattia parassitaria (la blastocistosi); lui che è stato pure revisore della rivista The Lancet; lui che insomma ha un curriculum che per scriverlo non basterebbe questa pagina, finì alla gogna e fu punito da parte dell’ospedale di Novara con la sanzione disciplinare della «censura». Censura che il prof ha rispettato, senza però rinnegare quanto detto. Anzi. La sua uscita di scena volontaria appare piuttosto una denuncia implicita contro la censura appunto, subita, anche se lui, sia chiaro, questo non lo dice, visto che fin quando non sarà andato in pensione è ancora dipendente pubblico e dunque soggetto alle regole che gli impone l’azienda sanitaria di Novara, alla quale infatti il professore ha chiesto l’autorizzazione per questa intervista. Autorizzazione che è stata accordata. Professore, che significa quella frase: «Non è più il mio mondo»? «Non è più il mio mondo perché non è più il mondo di mio papà, medico condotto che era disponibile h24 e 365 giorni l’anno. Adesso il medico è un dipendente pubblico che è stato burocratizzato. Io credevo in tante cose ma la medicina è cambiata. Io credevo innanzitutto nell’assoluto valore della scienza; credevo nel dibattito scientifico; credevo nel sistema sanitario pubblico. Io sono cresciuto così, ma le ultime vicende personali mi hanno reso più agnostico, più… triste, perché dato che col tempo la scienza mi ha dato ragione, io mi sarei aspettato che qualcuno mi desse un buffetto dicendo: “Hai avuto ragione”. E invece tristemente non ho mai sentito nessuno. È rimasta l’immagine di me che arringavo la folla in una piazza di Alessandria con un megafono, senza che si sia saputo quello che in realtà avevo detto, cioè cose vere. Per questo lascio, con profonda amarezza. Per questo ho scritto “Non è più il mio mondo”». Ecco, professore, ma perché lei è stato diffamato? Quando lei disse certe cose, due anni fa, le disse già all’epoca in nome della scienza...«Io ho sempre cercato di spiegare l’andamento della pandemia con le mie conoscenze scientifiche». Invece si continua, nell’opinione comune, a sostenere che le autorità abbiano preso decisioni in nome della «Scienza» e ora che molte di queste decisioni si sono mostrate errate, qualcuno sostiene che la «Scienza» abbia sbagliato. «Io ho seguito la mia linea. E voglio parlare solo di quello che ho fatto e cioè: insieme ad altri, a livello italiano e a livello internazionale, ho sostenuto l’utilità delle cure precoci le quali, all’epoca, si facevano con l’utilizzo dei farmaci che avevamo già a disposizione e mi riferisco all’idrossiclorochina, all’ivermectina, all’azitromicina eccetera, che non erano costruiti sul Sars-Cov-2 ma funzionavano, mentre adesso ci sono dei farmaci specifici proposti dal mercato - e mi riferisco al Molnupiravir, al Paxlovid e al Remdesivir - che sono degli antivirali disegnati su Sars-Cov-2, che sono sostenuti da tutta la comunità scientifica perché essendo farmaci specifici nessuno si può tirare indietro. Tuttavia anche questi nuovi farmaci funzionano solo se impiegati precocemente. Tanto più una malattia come questa viene curata precocemente tanto più è possibile guarire e questo è un concetto generale di tutte le malattie infettive. Noi abbiamo fatto le cure domiciliari nell’ambito di un protocollo che all’epoca fu approvato dall’assessorato alla Sanità della Regione Piemonte e fu fatto uno studio che ha dimostrato che riducevano sensibilmente le ospedalizzazioni. Io ne ho parlato al Senato; l’assessore regionale alla Sanità ne ha parlato più volte alla conferenza Stato-Regioni… Ma non voglio entrare in polemica con coloro che hanno seguito un’altra via. Io ho seguito la mia via, la mia coscienza e quello che sapevo e ora il tempo mi dà ragione. Questo sia sulle cure sia sui vaccini. Io sui vaccini ho sempre sostenuto la necessità di avere vaccini aggiornati perché il virus muta e supera i vaccini. Il virus è la lepre dove il vaccino è la tartaruga». Quindi non è vero che siamo usciti dalla pandemia grazie ai vaccini…«Senta... Questo virus vuole sopravvivere, come tutti i microrganismi. I virus tendono, nella loro evoluzione darwiniana, a modificare le loro caratteristiche attenuando la loro aggressività e questa è una grande lezione di biologia. Poi, c’è la tendenza del sistema immunitario dell’uomo che si rafforza man mano che affronta nuove patologie, perché anche da paucisintomatico inizia a sviluppare una risposta immunitaria specifica e aspecifica». E questo si sapeva già…«Ovviamente». E a proposito degli effetti collaterali? «Io non li vedo perché non è questo il mio lavoro, ma su questo tema suggerisco di ascoltare quanto sostiene il professor Ciro Isidoro, professore ordinario di patologia generale, che è un grande esperto sia sull’efficacia di questi vaccini anti Covid a mRna sia sulle problematiche che possono causare. Isidoro ne ha parlato all’International Covid Summit di Bruxelles. È stata una delle relazioni più interessanti, perché lui parla con cognizione di causa. Il tema invece su cui vorrei intervenire, essendo sindacalista, è il futuro della sanità pubblica, perché c’è il problema dell’effettiva accessibilità delle cure, in generale, per tutte le patologie. Avere i farmaci a disposizione non è la stessa cosa di poterne veramente usufruire. In una sanità dove non ci sono più investimenti in termini economici, dove non sono stati programmati gli organici medici e infermieristici, l’accessibilità delle cure sta diventando sempre più difficile. Il Covid è stato l’epifenomeno di una crisi profonda della sanità italiana. Il Covid ha accelerato e fatto vedere le magagne della sanità». Professore, questo suo addio alla professione di medico ci fa tornare alla mente un altro addio, tragico e probabilmente causato da motivazioni simili alle sue... Mi riferisco al caso di Giuseppe De Donno... «Io alcuni strascichi li ho ancora. Ad esempio sono diventato un po’ più insonne... non so se riesco a rendere l’idea. Io ho avuto vicino la mia famiglia». Mi sta dicendo che anche lei ha subito psicologicamente in maniera forte gli attacchi che le sono stati fatti? «Guardi, io in realtà li subisco ancora di più adesso, perché c’è la rabbia dovuta al fatto che io ho avuto ragione e nessuno delle istituzioni me lo ha riconosciuto. Avrebbero potuto dirmi: “Avevi ragione, è capitato così, capiscici...”. Invece silenzio assoluto». Eh ma se le istituzioni ammettessero che lei aveva ragione ciò vorrebbe dire che esse avevano torto. Vorrebbe dire ammettere che a causa della negazione dell’efficacia delle cure precoci c’è stata una colpa rispetto a tantissimi morti che si potevano evitare. «Per questo può comprendere perché voglio tornare a casa, nel “mio mondo”. Me ne sto tra le mie colline. Io ho aderito all’Unci, Unione nazionale dei cavalieri italiani, perché è un modo per ricordare l’unica cosa bella che ho ricevuto: mi hanno nominato Cavaliere per il mio impegno contro il Covid. E poi mi sono portato avanti. Ad Alessandria ho fondato il “Lions Club Alessandria Valmadonna Valle delle Grazie”, per dedicarmi al volontariato. Ad esempio abbiamo raccolto tantissimi finanziamenti prima per i terremotati della Turchia e della Siria, adesso per gli alluvionati della Romagna. Inoltre proseguirò nella mia attività sindacale presso l’Ugs di cui sono consigliere nazionale, per continuare a servire la società civile in una sanità de-finanziata e depotenziata. Questo sarà il mio obiettivo quando lascerò l’ospedale, oltre a quello ancor più importante di stare vicino alle mie figlie, che sono cresciute con un padre tanto, troppo assente. Devo proteggerle dalla deriva di questa società fatua, che mi fa paura».
(Totaleu)
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