
Pfizer, Moderna e BioNTech fatturano 100 miliardi grazie ai vaccini anti-Covid
Nel 2022 il fatturato dei vaccini a mRNA e delle pillole anti-Covid supererà i 100 miliardi di dollari di incassi mondiali. Un record assoluto nella storia della farmaceutica, ma tutt'altro che fantasioso. È la somma algebrica fatta da Verità&Affari delle previsioni di incasso da siringhe e pillole anti-Covid prodotte dalle tre aziende mondiali che hanno dominato il mercato della pandemia nel 2021: le americane Pfizer e Moderna e la tedesca BioNTech. Un fatturato così è in grado di produrre un utile netto di 45 miliardi di dollari, una redditività almeno 3 volte superiore a quella di Gazprom, la regina del gas russo che rischia di essere al centro della possibile terza guerra mondiale.
I dati arrivano dalle video-conferenze dell'ultimo mese dei manager dei tre colossi di Big Pharma che si sono specializzati nei vaccini contro il coronavirus, con le loro previsioni di mercato nel 2022. Sono cifre in crescita rispetto a quelle già straordinarie del 2021: i tre gruppi (due dei quali- Pfizer e BioNTech alleati) hanno già archiviato un fatturato di complessivi 118,8 miliardi di dollari, più del doppio del fatturato dell'anno precedente dove i primi i vaccini erano già stati messi in produzione distribuendoli però solo nel mese di dicembre. I sieri anti-Covid e l'inizio di produzione della pillola Paxlovid hanno consentito un incremento di ricavi l'anno scorso di 75,82 miliardi di dollari e una crescita dell'utile netto rispetto all'anno precedente di 35,7 miliardi di dollari. Differenze che già in sé non hanno paragone possibile nella storia della farmaceutica mondiale. Il giro di affari crescerà anche quest'anno, sia pure meno di quello che i tre avrebbero previsto solo qualche mese fa. La pandemia infatti ha avuto una discreta frenata in tutto il mondo e da un mese a questa parte al di là del suo andamento effettivo è passata ovunque in secondo piano per la guerra fra Russia e Ucraina. Non si è messo così in produzione su larga scala il nuovo richiamo del vaccino a mRNA messo a punti nei laboratori per adattare quello esistente alla variante Omicron nel frattempo divenuta dominante nel mondo. I tre quindi hanno tirato il freno, avendo capito che i governi mondiali sono impegnati ormai in tutt'altre faccende e nessuno avrebbe fatto partire un giro di vaccinazioni extra per una variante che non desta le preoccupazioni suscitate da quelle precedenti.
Ma la crescita di fatturato e pure di redditività non verrà comunque messa in discussione pur non potendo essere delle dimensioni che si erano registrate nel 2021. I contratti sono già sottoscritti da quasi tutti i paesi e della stessa Unione Europea e le forniture- più estese di quelle dell'anno scorso- sono ormai state messe in cassaforte da tutte e tre le aziende. Pfizer ha già in tasca contratti che le fanno prevedere comunque un incasso di 32 miliardi di dollari nel 2022 per il vaccino anti-Covid a cui aggiungere ben 22 miliardi di dollari per la pillola Paxlovid: in tutto quindi 54 miliardi per i medicinali contro una sola malattia, contro i 44,4 miliardi incassati complessivamente nel 2021. Queste cifre da sole porterebbero a fine di quest'anno il fatturato del colosso divenuto celebre in tutto il mondo quando inventò il Viagra, a una cifra che oscilla fra i 98 e i 102 miliardi di euro contro gli 81,3 fatturati a fine del 2021. Grazie a quegli ordini già assicurati sarà salva analoga crescita di utili e fatturato anche per Moderna e BioNTech, e tutti hanno la certezza che un giro di vaccinazioni si farà ancora in tutto il mondo all'inizio del prossimo autunno. Tutte e tre le aziende hanno allo studio un bi o trivalente che contenga oltre al siero anti-Covid anche uno o più vaccini contro l'influenza stagionale, anche questi realizzati con la tecnologia ad mRNA. Big Pharma guarda però già al 2023, anno in cui il Covid è previsto diventare endemico con il rischio di fare sgonfiare fatturati e dividendi distribuiti agli azionisti grazie al super utile registrato.
Tutte e tre cercano di ritagliarsi uno spazio grazie alla tecnologia in loro possesso nel mercato dei vaccini anti influenzali, ma sapendo che non basteranno hanno laboratori e centri clinici occupati oggi nella ricerca e in qualche caso nella sperimentazione di altri tipi di vaccini, sempre tutti a mRNA. BioNTech è già in fase avanzata di sperimentazione di alcuni vaccini contro più forme di cancro, e ha spiegato al mercato il 31 marzo scorso di essere già in fase clinica per alcune tipologie: tumori alla prostata e alle ovaie, tumori gastrici, alle tube di Fallopio e sarcomi dei tessuti molli. I vaccini sono stati già somministrati ai primi pazienti e si attendono i risultati della prima fase di osservazione. Non si faranno forse i numeri del Covid, ma certo il vaccino contro il cancro avrà un mercato mondiale di tutto rispetto.
L’Unione europea, che ha oscurato e negato le radici giudaico-cristiane del nostro continente, ha aggiunto un’altra medaglia al suo vergognoso palmares di scelte contro la vita: oggi è passata al Parlamento europeo l’Iniziativa cittadini europei (Ice) siglata «My voice, my choice»: «La mia voce, la mia scelta: per un aborto sicuro e accessibile». Patrocinata da sigle radicali femministe e sostenuta da schieramenti politici europei, la proposta ha raccolto 1 milione e 120.000 firme, proponendo un adeguato sostegno finanziario europeo per garantire un aborto legale e sicuro a tutte le cittadine europee, in particolare a coloro che vivono in Paesi con legislazioni restrittive circa l’accesso alla interruzione volontaria di gravidanza.
Secondo gli organizzatori, «il mancato accesso all’aborto in molte parti d’Europa provoca non solo danni fisici ma sottopone le donne e le famiglie a un ingiusto stress economico e psicologico». In concreto, la risoluzione - al momento non vincolante - stabilisce che si debba garantire che una donna residente in un Paese che prevede l’aborto solo entro un termine temporale ristretto (ad esempio, la dodicesima settimana) possa contare e usufruire di un aiuto economico europeo che le permetta di recarsi in altro Paese con una legge più permissiva.
Viene denominato «sacrificio solidale», e alla sua realizzazione devono essere coinvolti tutti gli Stati europei. Come sempre, quando ci troviamo di fronte a una normative contro la vita, ci si imbatte nella più bieca ipocrisia: il vero «sacrificio» non sono i soldi per finanziare l’aborto, ma il bimbo che viene sacrificato, senza appello alcuno, dalla dittatura del «my voice, my choice». La voce del bimbo non esiste, la sua scelta per la vita non esiste, conta e ha valore soltanto la volontà di chi vuole liberarsene. Il grande assente, il «convitato di pietra», come oggi si usa dire, è il bambino, il suo diritto alla vita, la sua difesa, la sua incolumità. Se di solidarietà vogliamo parlare, perché non finanziare un fondo per aiutare mamme in crisi nel portare a termine la propria gravidanza, con un sostegno economico che salvi le due vittime di ogni aborto, bimbo e mamma? Perché, di fronte alla possibilità di salvare anche una sola vita, la scelta cade sempre sulla morte del bimbo? Non è più «civile» salvare che uccidere?
Un altro aspetto non si può tacere: nel 2012 la campagna europea «One of Us» - in Italia fortemente sostenuta da Carlo Casini e il Movimento per la Vita - per il riconoscimento giuridico del concepito e la difesa della vita umana fin dal concepimento raccolse circa 1 milione e 750.000 firme (650.000 in più di questi), la più alta quota mai raggiunta da una Ice, l’Iniziativa dei cittadini europei, ma venne respinta senza dibattito parlamentare. Motivazione? Proposta legislativa non in linea con i principi generali dell’Ue, oltre al fatto che nel continente «la protezione della vita prenatale è già garantita». Ogni commento è superfluo, perché l’ipocrisia si commenta da sé. Ma una domanda rimane: perché due pesi e due misure? Perché una raccolta firme viene oscurata, mentre una inferiore trova diritto a essere dibattuta e accolta? Forse una risposta c’è, anzi, purtroppo una risposta c’è: perché questa Ue ha scelto come collante l’euro e il mercato, e ha rifiutato i principi fondanti la storia della cultura occidentale, da Atene a Gerusalemme e Roma.
Se da un lato non si può che provare amarezza e vergogna per questo nuovo tassello contro la vita, dall’altra si deve raccogliere la sfida a non arretrare. Resta più che mai attuale il monito di quel vecchio profeta vissuto 700 anni prima di Cristo, di nome Isaia, che ci interpella già dal suo nome - «Isaia: Il Signore salva» - ammonendoci di non arrenderci mai, soprattutto nel tempo in cui si chiama «il bene male e il male bene, si trasforma la luce in tenebra e la tenebra in luce, confondendo il dolce con l’amaro» (Isaia, capitolo 5). Un capovolgimento di valori e principi morali e umani che non sta portando nulla di buono, basta guardarsi attorno.
Il Me too in salsa gay incontra il Grande Fratello. Fabrizio Corona ha sparato il suo ennesimo petardo: «Se non vai a letto con Alfonso Signorini non lavori in televisione». Il conduttore Mediaset gli ha risposto secco: «Non parlo di questo, ho già messo in mano tutto ai miei legali». Nel frattempo, sui social, tra allusioni e mezze frasi, spuntano ragazzi che hanno il dente avvelenato con Alfonsino e consentono a Corona, di fatto, di continuare a montare la panna sulla vicenda.
I due protagonisti sono volti noti della televisione. Milanese, 61 anni, ex insegnate di liceo, il conduttore del Grande Fratello è direttore editoriale del settimanale scandalistico Chi ed è titolare, insieme a Mondadori, della Talent Agency, che seleziona idee e personaggi da lanciare sul piccolo schermo. Corona, dieci anni di meno, ha iniziato come fotografo e si è legato alla scuderia di Lele Mora. Ha avuto qualche guaio con la giustizia, tra cui una pesante condanna per ricatti vari a 13 anni nel 2015, ma nel 2019 ha ottenuto i domiciliari per motivi terapeutici. L’unica cosa certa in questa storia è che i due hanno nuotato nelle stesse acque per oltre un ventennio. Ora succede che Corona conduce un programma online chiamato prudentemente Falsissimo e nell’ultima puntata ha sparato a zero sul rivale: «Se non vai a letto con Alfonso Signorini non lavori in televisione». E ha descritto il giornalista come «l’unico vero trampolino di lancio per il mondo dello spettacolo», denunciando l’esistenza di un «sistema Signorini» che comprenderebbe circa 500 persone e durerebbe da circa 10 anni, seguendo all’incirca sempre lo stesso schema. Che, inutile dirlo, secondo Corona prevederebbe prima le prestazioni sessuali omo e poi l’ingresso nel mondo dello spettacolo. Secondo una modalità che Corona ha già sperimentato in passato con altri obiettivi delle sue «inchieste», al primo scoop segue una sorta di call to action. E qualcuno salta sempre fuori, ovviamente. Così, specialmente su Instagram, adesso è il momento delle allusioni pesanti contro Signorini. Una serie di personaggi da reality sono usciti allo scoperto. Uno di questi si chiama Antonio Medugno, che da piccola celebrità dei social è diventato concorrente dell’edizione 2022 del Grande Fratello. A Corona ha raccontato che si scambiò messaggi vari con Signorini per 4-5 mesi, fino ad arrivare a un incontro in cui avrebbe respinto le sue avance. Il risultato è stato ambiguo: il ragazzo fu inizialmente scartato, ma poi ripescato pochi mesi dopo. Fanpage ha ricostruito altri due casi di concorrenti che si sono lamentati dei metodi di Signorini, tra cui uno che si sarebbe «difeso» solo raccontando di conoscere Maria De Filippi. E poi c’è chi come l’ex calciatore della Sampdoria Stefano Bettarini ha scritto su Instagram: «Quando sei sulla riva del fiume da 4 anni e… Karma». Signorini non ha voluto rispondere: lo faranno per lui i suoi avvocati, ai quali ha dato ampio mandato.
Vista la fedina penale già appesantita, per Corona non è una buona notizia. Ieri pomeriggio, infine, è toccato anche a Rosario Fiorello intervenire. Nella sua trasmissione La Pennicanza, prima ha affrontato il caso Signorini con prudenza, ma poi ha sentenziato: «Ragazzi, lo scandalo è grosso» e ha videochiamato Corona. Quello, con grande maestria, ha finto di tentennare un po’, dopo di che ha alzato il tiro: «Io sto combattendo una guerra contro il sistema, l’unico vero, onesto, pulito è Rosario Fiorello! La vuoi un’esclusiva? La storia che ho lanciato ieri non finisce qui!». E ha fatto chiaramente il gesto delle manette. Non si è capito per chi.
Tra gli anni '20 e '30 furono venduti liberamente bevande, cosmetici e oggetti al radio e al torio, pubblicizzandone le proprietà benefiche. Furono prodotte e diffuse anche in Italia. Saranno le vittime famose e la bomba atomica a decretarne il declino.
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Negli anni Venti la radioattività diventò una moda. Sulla scia delle scoperte di Röntgen e dei coniugi Pierre e Marie Curie alla fine dell’Ottocento, l’utilizzo di elementi come il radio e il torio superò i confini della fisica e della radiodiagnostica per approdare nel mondo del commercio. Le sostanze radioattive furono esaltate per le presunte (e molto pubblicizzate) proprietà benefiche. I produttori di beni di consumo di tutto il mondo cavalcarono l’onda, utilizzandole liberamente per la realizzazione di cosmetici, integratori, oggetti di arredo e abbigliamento. La spinta verso la diffusione di prodotti a base di elementi radioattivi fu suggerita dalla scienza, ancora inconsapevole delle gravi conseguenze sulla salute riguardo al contatto di quelle sostanze sull’organismo umano. Iniziata soprattutto negli Stati Uniti, la moda investì presto anche l’Europa. Il caso più famoso è quello di un integratore venduto liberamente, il Radithor. Brevettato nel 1925 da William Bailey, consisteva in una bevanda integratore in boccetta la cui formula prevedeva acqua distillata con aggiunta di un microcurie di radio 226 e di radio 228. A seguito di un grande battage pubblicitario, la bevanda curativa ebbe larga diffusione. Per 5 anni fu disponibile sul mercato, fino allo scandalo nato dalla morte per avvelenamento da radio del famoso golfista Eben Byers, che in seguito ad un infortunio assunse tre boccette al giorno di Radithor che inizialmente sembravano rinvigorirlo. Grande scalpore fece poi il caso delle «Radium girls», le operaie del New Jersey che dipingevano a mano i quadranti di orologi e strumenti con vernice radioluminescente. Istruite ad inumidire i pennelli con la bocca, subirono grave avvelenamento da radio che generò tumori ossei incurabili. Prima di soccombere alla malattia le donne furono protagoniste di una class action molto seguita dai media, che aprì gli occhi all'opinione pubblica sui danni della radioattività sul corpo umano. A partire dalla metà degli anni ’30 la Fda vietò definitivamente la commercializzazione delle bevande radioattive. Nel frattempo però, la mania della radioattività benefica si era diffusa ovunque. Radio e torio erano presenti in creme di bellezza, dentifrici, dolciumi. Addirittura nell’abbigliamento, come pubblicizzava un marchio francese, che presentò in catalogo sottovesti invernali con tessuti radioattivati. Anche l’Italia mise in commercio prodotti con elementi radioattivi. La ditta torinese di saponi e creme Fratelli De Bernardi presentò nel 1923 la saponetta «Radia», arricchita con particelle di radio. Nello stesso periodo fu messa in commercio la «Fiala Pagliani», simile al Radithor, brevettata dal medico torinese Luigi Pagliani. Arricchita con Radon-222, la fiala detta «radioemanogena» era usata come una vera e propria panacea.
Fu la guerra, più che altri fattori, a generare il declino definitivo dei prodotti radioattivati. Le bombe atomiche del 1945 con le loro drammatiche conseguenze a lungo termine e la continua minaccia di guerra nucleare dei decenni seguenti, fecero comprendere ai consumatori la pericolosità delle radiazioni non controllate, escludendo quelle per scopi clinici. A partire dagli anni Sessanta sparirono praticamente tutti i prodotti a base di elementi radioattivi, vietati nello stesso periodo dalle leggi. Non si è a conoscenza del numero esatto di vittime dovuto all’uso di alimenti o oggetti, in quanto durante gli anni della loro massima diffusione non furono da subito identificati quali causa dei decessi.



















