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2019-04-06
Trump apre l'ambasciata in Libia per arginare Macron
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Ansa
Sembrerebbe che con questa nomina l'amministrazione Trump abbia scelto di concentrarsi su un dossier - quello libico - che, almeno fino a oggi, non ha considerato eccessivamente prioritario. In particolare, è abbastanza probabile che la Casa Bianca abbia preso questa decisione, in vista della conferenza nazionale di Ghadames, prevista per la metà di aprile. Fortemente caldeggiato dalle Nazioni Unite, questo evento dovrebbe vedere al tavolo dei partecipanti i rappresentanti delle varie fazioni politiche e delle tribù libiche. In particolare, la conferenza avrebbe il principale obiettivo di smorzare la vecchia rivalità tra il presidente, Fayez al-Sarraj, e il generale, Khalifa Haftar, per arrivare successivamente ad elezioni da tenersi entro la fine del 2019. E' in questo contesto che il generale ha del resto avviato nei giorni scorsi una marcia militare in direzione di Tripoli. Haftar starebbe puntando, in altre parole, a presentarsi alla conferenza di Ghadames come l'uomo forte e in grado di risolvere la crisi libica: un'immagine decisa, da poter abilmente sfruttare in periodo elettorale. L'idea del generale sarebbe, insomma, quella di rafforzare ulteriormente la propria posizione politica nel complicatissimo scacchiere libico, favorendo indirettamente il suo principale sponsor europeo: la Francia di Emmanuel Macron.
D'altronde, è dai tempi dell'intervento bellico contro Gheddafi nel 2011 che la Libia è diventata scenario delle ambizioni politico-economiche di Parigi. A netto discapito dell'Italia. Secondo non pochi analisti, tra il 2016 e il 2017, Roma avrebbe dovuto giocare un ruolo maggiormente spregiudicato in Libia, svincolandosi parzialmente dalle direttive dell'Onu ed evitando di assumere troppo nettamente una posizione a favore di al-Sarraj. Una simile strategia le avrebbe consentito di non appiattirsi su un solo "candidato", permettendole di giostrarsi pragmaticamente in base all'evolversi della situazione. Una linea elastica, con cui avrebbe forse meglio potuto contrastare l'iperattivismo francese nella zona. In questo quadro, nel 2018, il governo gialloblu ha ereditato una situazione non poco spinosa. Negli ultimi mesi, Giuseppe Conte ha cercato di favorire un dialogo tra i due rivali libici, coinvolgendo altri attori dello scacchiere nordafricano e tentando così di arginare l'iniziativa francese. Inoltre, l'estate scorsa il premier italiano ha proposto a Donald Trump di istituire una sorta di cabina di regia comune per la gestione del dossier libico.
Il problema è che l'amministrazione Trump non ha espresso, a oggi, una chiara strategia per quanto riguarda questo territorio. Un fattore che, a detta di molti, testimonierebbe come la Casa Bianca non consideri tale dossier al centro dei propri pensieri. È vero: gli Stati Uniti sostengono formalmente al-Sarraj. Ma finora hanno fatto ben poco per aiutarlo attivamente. Bisognerà adesso vedere se la nomina di Norland cambierà effettivamente qualcosa. Da una parte, Trump potrebbe decidersi a un intervento più concreto per alcune ragioni fondamentali: non soltanto per contrastare alcune sacche islamiste presenti in loco ma - soprattutto - per arginare la crescente influenza geopolitica ed economica che la Russia sta esercitando sulla regione. Russia che - ricordiamolo - sostiene di fatto principalmente l'ascesa di Haftar. In tal senso, mostrarsi maggiormente attivo nell'opposizione al generale consentirebbe a Trump di conseguire due obiettivi: accontentare i falchi antirussi dell'establishment di Washington e mettere i bastoni tra le ruote a un avversario come il presidente francese, Emmanuel Macron. Elemento, quest'ultimo, su cui l'inquilino della Casa Bianca potrebbe giocare efficacemente di sponda con l'Italia. Dall'altra parte, è tutt'altro che scontato un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella questione libica. In generale, Trump teme infatti di restare impantanato all'interno di un contesto caotico: un contesto che - dai tempi in cui Hillary Clinton spinse per l'intervento bellico del 2011 - ha già inflitto abbastanza guai allo Zio Sam (soprattutto in materia di terrorismo). Inoltre, più nello specifico, non è detto che i rapporti tra Trump e Haftar non possano mutare in futuro. Non dimentichiamo che il generale libico annoveri tra i suoi principali alleati il presidente egiziano Al-Sisi: altra figura di "uomo forte", che ha a sua volta intrecciato solidi legami con l'attuale inquilino della Casa Bianca.
In questo senso, visto che Haftar sembra ormai definitivamente il candidato francese, è forse proprio sulle relazioni con Stati Uniti ed Egitto che l'Italia dovrebbe continuare a puntare per cercare di ostacolare la grandeur libica incarnata da Parigi. Una grandeur che minaccia gli interessi di Roma e che rischia - come già ai tempi di Nicolas Sarkozy - di incendiare il Nord Africa.
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Il presidente americano ha nominato martedì scorso Richard Norland come nuovo ambasciatore statunitense in Libia. Diplomatico di carriera, a partire dal 2016, ha lavorato come consigliere per la politica estera del capo dello stato maggiore congiunto delle forze armate statunitensi. Precedentemente aveva prestato servizio come ambasciatore in Uzbekistan e Ucraina. Norland verrà a coprire un incarico al momento vacante: attualmente gli Stati Uniti non dispongono infatti un ambasciatore in Libia. Fino al 2017, la poltrona era formalmente occupata da Peter Bodde, il quale, lo scorso novembre, è stato richiamato come incaricato d'affari presso l'Ufficio esterno della Libia a Tunisi.Sembrerebbe che con questa nomina l'amministrazione Trump abbia scelto di concentrarsi su un dossier - quello libico - che, almeno fino a oggi, non ha considerato eccessivamente prioritario. In particolare, è abbastanza probabile che la Casa Bianca abbia preso questa decisione, in vista della conferenza nazionale di Ghadames, prevista per la metà di aprile. Fortemente caldeggiato dalle Nazioni Unite, questo evento dovrebbe vedere al tavolo dei partecipanti i rappresentanti delle varie fazioni politiche e delle tribù libiche. In particolare, la conferenza avrebbe il principale obiettivo di smorzare la vecchia rivalità tra il presidente, Fayez al-Sarraj, e il generale, Khalifa Haftar, per arrivare successivamente ad elezioni da tenersi entro la fine del 2019. E' in questo contesto che il generale ha del resto avviato nei giorni scorsi una marcia militare in direzione di Tripoli. Haftar starebbe puntando, in altre parole, a presentarsi alla conferenza di Ghadames come l'uomo forte e in grado di risolvere la crisi libica: un'immagine decisa, da poter abilmente sfruttare in periodo elettorale. L'idea del generale sarebbe, insomma, quella di rafforzare ulteriormente la propria posizione politica nel complicatissimo scacchiere libico, favorendo indirettamente il suo principale sponsor europeo: la Francia di Emmanuel Macron.D'altronde, è dai tempi dell'intervento bellico contro Gheddafi nel 2011 che la Libia è diventata scenario delle ambizioni politico-economiche di Parigi. A netto discapito dell'Italia. Secondo non pochi analisti, tra il 2016 e il 2017, Roma avrebbe dovuto giocare un ruolo maggiormente spregiudicato in Libia, svincolandosi parzialmente dalle direttive dell'Onu ed evitando di assumere troppo nettamente una posizione a favore di al-Sarraj. Una simile strategia le avrebbe consentito di non appiattirsi su un solo "candidato", permettendole di giostrarsi pragmaticamente in base all'evolversi della situazione. Una linea elastica, con cui avrebbe forse meglio potuto contrastare l'iperattivismo francese nella zona. In questo quadro, nel 2018, il governo gialloblu ha ereditato una situazione non poco spinosa. Negli ultimi mesi, Giuseppe Conte ha cercato di favorire un dialogo tra i due rivali libici, coinvolgendo altri attori dello scacchiere nordafricano e tentando così di arginare l'iniziativa francese. Inoltre, l'estate scorsa il premier italiano ha proposto a Donald Trump di istituire una sorta di cabina di regia comune per la gestione del dossier libico.Il problema è che l'amministrazione Trump non ha espresso, a oggi, una chiara strategia per quanto riguarda questo territorio. Un fattore che, a detta di molti, testimonierebbe come la Casa Bianca non consideri tale dossier al centro dei propri pensieri. È vero: gli Stati Uniti sostengono formalmente al-Sarraj. Ma finora hanno fatto ben poco per aiutarlo attivamente. Bisognerà adesso vedere se la nomina di Norland cambierà effettivamente qualcosa. Da una parte, Trump potrebbe decidersi a un intervento più concreto per alcune ragioni fondamentali: non soltanto per contrastare alcune sacche islamiste presenti in loco ma - soprattutto - per arginare la crescente influenza geopolitica ed economica che la Russia sta esercitando sulla regione. Russia che - ricordiamolo - sostiene di fatto principalmente l'ascesa di Haftar. In tal senso, mostrarsi maggiormente attivo nell'opposizione al generale consentirebbe a Trump di conseguire due obiettivi: accontentare i falchi antirussi dell'establishment di Washington e mettere i bastoni tra le ruote a un avversario come il presidente francese, Emmanuel Macron. Elemento, quest'ultimo, su cui l'inquilino della Casa Bianca potrebbe giocare efficacemente di sponda con l'Italia. Dall'altra parte, è tutt'altro che scontato un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella questione libica. In generale, Trump teme infatti di restare impantanato all'interno di un contesto caotico: un contesto che - dai tempi in cui Hillary Clinton spinse per l'intervento bellico del 2011 - ha già inflitto abbastanza guai allo Zio Sam (soprattutto in materia di terrorismo). Inoltre, più nello specifico, non è detto che i rapporti tra Trump e Haftar non possano mutare in futuro. Non dimentichiamo che il generale libico annoveri tra i suoi principali alleati il presidente egiziano Al-Sisi: altra figura di "uomo forte", che ha a sua volta intrecciato solidi legami con l'attuale inquilino della Casa Bianca.In questo senso, visto che Haftar sembra ormai definitivamente il candidato francese, è forse proprio sulle relazioni con Stati Uniti ed Egitto che l'Italia dovrebbe continuare a puntare per cercare di ostacolare la grandeur libica incarnata da Parigi. Una grandeur che minaccia gli interessi di Roma e che rischia - come già ai tempi di Nicolas Sarkozy - di incendiare il Nord Africa.
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Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, la decarbonizzazione dell’auto europea stenta: le vendite elettriche sono ferme al 14%, le batterie e le infrastrutture sono arretrate. E mentre Germania e Italia spingono per una maggiore flessibilità, la Commissione europea valuta la revisione normativa.
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
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Ecco #DimmiLaVerità del 15 novembre 2025. Con il senatore di Fdi Etel Sigismondi commentiamo l'edizione dei record di Atreju.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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