2019-04-06
Trump apre l'ambasciata in Libia per arginare Macron
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Il presidente americano ha nominato martedì scorso Richard Norland come nuovo ambasciatore statunitense in Libia. Diplomatico di carriera, a partire dal 2016, ha lavorato come consigliere per la politica estera del capo dello stato maggiore congiunto delle forze armate statunitensi. Precedentemente aveva prestato servizio come ambasciatore in Uzbekistan e Ucraina. Norland verrà a coprire un incarico al momento vacante: attualmente gli Stati Uniti non dispongono infatti un ambasciatore in Libia. Fino al 2017, la poltrona era formalmente occupata da Peter Bodde, il quale, lo scorso novembre, è stato richiamato come incaricato d'affari presso l'Ufficio esterno della Libia a Tunisi.Sembrerebbe che con questa nomina l'amministrazione Trump abbia scelto di concentrarsi su un dossier - quello libico - che, almeno fino a oggi, non ha considerato eccessivamente prioritario. In particolare, è abbastanza probabile che la Casa Bianca abbia preso questa decisione, in vista della conferenza nazionale di Ghadames, prevista per la metà di aprile. Fortemente caldeggiato dalle Nazioni Unite, questo evento dovrebbe vedere al tavolo dei partecipanti i rappresentanti delle varie fazioni politiche e delle tribù libiche. In particolare, la conferenza avrebbe il principale obiettivo di smorzare la vecchia rivalità tra il presidente, Fayez al-Sarraj, e il generale, Khalifa Haftar, per arrivare successivamente ad elezioni da tenersi entro la fine del 2019. E' in questo contesto che il generale ha del resto avviato nei giorni scorsi una marcia militare in direzione di Tripoli. Haftar starebbe puntando, in altre parole, a presentarsi alla conferenza di Ghadames come l'uomo forte e in grado di risolvere la crisi libica: un'immagine decisa, da poter abilmente sfruttare in periodo elettorale. L'idea del generale sarebbe, insomma, quella di rafforzare ulteriormente la propria posizione politica nel complicatissimo scacchiere libico, favorendo indirettamente il suo principale sponsor europeo: la Francia di Emmanuel Macron.D'altronde, è dai tempi dell'intervento bellico contro Gheddafi nel 2011 che la Libia è diventata scenario delle ambizioni politico-economiche di Parigi. A netto discapito dell'Italia. Secondo non pochi analisti, tra il 2016 e il 2017, Roma avrebbe dovuto giocare un ruolo maggiormente spregiudicato in Libia, svincolandosi parzialmente dalle direttive dell'Onu ed evitando di assumere troppo nettamente una posizione a favore di al-Sarraj. Una simile strategia le avrebbe consentito di non appiattirsi su un solo "candidato", permettendole di giostrarsi pragmaticamente in base all'evolversi della situazione. Una linea elastica, con cui avrebbe forse meglio potuto contrastare l'iperattivismo francese nella zona. In questo quadro, nel 2018, il governo gialloblu ha ereditato una situazione non poco spinosa. Negli ultimi mesi, Giuseppe Conte ha cercato di favorire un dialogo tra i due rivali libici, coinvolgendo altri attori dello scacchiere nordafricano e tentando così di arginare l'iniziativa francese. Inoltre, l'estate scorsa il premier italiano ha proposto a Donald Trump di istituire una sorta di cabina di regia comune per la gestione del dossier libico.Il problema è che l'amministrazione Trump non ha espresso, a oggi, una chiara strategia per quanto riguarda questo territorio. Un fattore che, a detta di molti, testimonierebbe come la Casa Bianca non consideri tale dossier al centro dei propri pensieri. È vero: gli Stati Uniti sostengono formalmente al-Sarraj. Ma finora hanno fatto ben poco per aiutarlo attivamente. Bisognerà adesso vedere se la nomina di Norland cambierà effettivamente qualcosa. Da una parte, Trump potrebbe decidersi a un intervento più concreto per alcune ragioni fondamentali: non soltanto per contrastare alcune sacche islamiste presenti in loco ma - soprattutto - per arginare la crescente influenza geopolitica ed economica che la Russia sta esercitando sulla regione. Russia che - ricordiamolo - sostiene di fatto principalmente l'ascesa di Haftar. In tal senso, mostrarsi maggiormente attivo nell'opposizione al generale consentirebbe a Trump di conseguire due obiettivi: accontentare i falchi antirussi dell'establishment di Washington e mettere i bastoni tra le ruote a un avversario come il presidente francese, Emmanuel Macron. Elemento, quest'ultimo, su cui l'inquilino della Casa Bianca potrebbe giocare efficacemente di sponda con l'Italia. Dall'altra parte, è tutt'altro che scontato un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella questione libica. In generale, Trump teme infatti di restare impantanato all'interno di un contesto caotico: un contesto che - dai tempi in cui Hillary Clinton spinse per l'intervento bellico del 2011 - ha già inflitto abbastanza guai allo Zio Sam (soprattutto in materia di terrorismo). Inoltre, più nello specifico, non è detto che i rapporti tra Trump e Haftar non possano mutare in futuro. Non dimentichiamo che il generale libico annoveri tra i suoi principali alleati il presidente egiziano Al-Sisi: altra figura di "uomo forte", che ha a sua volta intrecciato solidi legami con l'attuale inquilino della Casa Bianca.In questo senso, visto che Haftar sembra ormai definitivamente il candidato francese, è forse proprio sulle relazioni con Stati Uniti ed Egitto che l'Italia dovrebbe continuare a puntare per cercare di ostacolare la grandeur libica incarnata da Parigi. Una grandeur che minaccia gli interessi di Roma e che rischia - come già ai tempi di Nicolas Sarkozy - di incendiare il Nord Africa.