2023-09-07
L’eterno successo di Max Pezzali e la «leggenda» su quella tessera del Fronte
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Stasera il concerto al Circo Massimo dell’ex frontman degli 883 verrà tramesso su Canale 5. Ripercorriamo la vicenda della sua affiliazione politica, distinguendo il vero dal falso.Il 2 settembre scorso, a Roma, al Circo Massimo, Max Pezzali ha chiuso davanti a 56.000 fan il suo tour di grande successo in cui ha festeggiato i 30 anni di carriera. Circo Max verrà peraltro riproposto stasera su Canale 5 in prima serata. Ancora una volta, l'ex frontman degli 883 si conferma uno dei musicisti più amati del panorama italiano, nonostante la sua distanza da certi giri artistici politicizzati, o forse proprio per questo. Come già accaduto a Lucio Battisti, i temi personali e “disimpegnati” dei brani di Pezzali hanno più volte fatto parlare di un cantautore di destra, tesi avvalorata da alcuni dettagli biografici nel corso degli anni diffusi dall'artista. La cosa ha poi assunto la dimensione della leggenda metropolitana, tanto che in alcuni ambienti si favoleggiava di un passato di Pezzali addirittura nei ranghi dei gruppi skinhead di Pavia. Cosa c'è di vero?Il passato di Pezzali in formazione radicali o una sua militanza consapevole e duratura parrebbe effettivamente essere frutto di fantasie incontrollate. Non si spiegherebbe, del resto, come un artista con una politicizzazione, anche passata, tanto radicata possa aver collaborato con il fumettista dei centri sociali Zerocalcare, che ha realizzato un'illustrazione per la copertina di un singolo di Pezzali, intitolato In questa città. Ma non tutto è inventato. È stato Max stesso a dichiarare di aver posseduto, da giovane, la tessera del Fronte della gioventù. Non sarebbe però stata la lettura di Evola o una convinta adesione al programma della formazione missina a conquistarlo. “Avevo 14 anni e un amico del bar ci chiese di tesserarci per votare a un congresso, qualche giorno prima della votazione”, disse una volta il cantautore al Secolo d’Italia. Insomma, sembra più una dinamica paesana, fatti di amici degli amici, che non una scelta politica. In un’altra intervista al Tempo, precisò: “A 14 anni mi feci la tessera del Fronte della gioventù per fare un favore a un amico, niente di più. Anche perché a Pavia comunisti, fascisti e democristiani frequentavano tutti gli stessi ambienti: nei bar di provincia si impara la sofisticata arte della mediazione. Oggi viviamo un'era post-politica e non trovo niente in cui mi identifichi davvero”. Certo, per un antifascista fanatico, queste stesse parole in qualche modo potrebbero essere tacciate di qualunquismo di destra: nessun cordone sanitario nei confronti dei fascisti, il fattore umano che prevale sulla politicizzazione etc. Ma sarebbe disonesto costruirci sopra chissà quale narrazione.Delle letture politiche di Hanno ucciso l’uomo ragno, Pezzali disse al Secolo: “Mi fanno ridere. Quando la canzone uscì, nella primavera-estate del ‘92, c’era Tangentopoli, poi ci sono state le stragi di Falcone e Borsellino. Ricordo che quando uscivamo dallo studio, andavamo a leggere il televideo per vedere chi avessero arrestato quel giorno. Poi, in quel periodo, uscì la canzone di De Gregori, La ballata dell’Uomo Ragno, dedicata a Craxi, e la confusione nacque spontanea, perché molti pensarono che anche il nostro rappresentasse la fine di un personaggio o di una stagione politica. La musica veniva vista attraverso lenti ideologiche, era impossibile parlare di musica pop semplicemente come musica pop. Per essere notati da una certa critica bisognava infilare il tema sociale, anche tirato per i capelli, e se in una canzone banale e mediocre parlavi di Mandela, diventava degna di nota; se invece parlavi di vita quotidiana, eri un poveraccio o, peggio ancora, uno strumento commerciale, parola sempre vista in maniera negativa”. Ecco perché, chiosava, non lo invitavano al Concertone del primo maggio (anche se, anni dopo quell’intervista, effettivamente vi partecipò): “Non lo so, forse c’era la paura di invitare un ‘estraneo’. La divisione tra pop e rock era una guerra di religione. In Italia anche chi è apparentemente progressista e rivoluzionario diventa un conservatore quando si tratta di accettare l’innovazione”. In fondo, anche se non è una posizione militante, ce la possiamo pure far andar bene.
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