2022-12-09
Perù, il golpe marxista non indigna
Dina Boluarte diventa presidente, dopo la destituzione di Pedro Castillo. L’insegnante accusato di corruzione che ha fallito il suo colpo di Stato. Nell’indifferenza dei media.Sembra essere tornata la calma in Perù dopo il golpe e il controgolpe maturato all’interno del partito di estrazione marxista Perú Libre, andato in scena nelle ultime 72 ore. Un colpo di Stato che ha trovato la stampa occidentale piuttosto distratta da ciò che avveniva, in tono minore, in Germania. A proposito di quanto accaduto a Lima, aveva ragione Karl Marx quando scrisse: «La Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa», visto che nel 1992 Alberto Fujimori, presidente eletto, inviò i carri armati per chiudere il Congresso del Perù e governò come autocrate per i successivi otto anni. Tre decenni dopo, Pedro Castillo, sconosciuto sindacalista degli insegnanti peruviani, eletto presidente della Repubblica del Perù il 28 luglio 2021, ha provato a fare lo stesso. Mercoledì ha annunciato che avrebbe chiuso il Congresso che si apprestava a votare la procedura di impeachment, ne avrebbe convocato uno nuovo con i poteri per redigere una nuova Costituzione e avrebbe riorganizzato la magistratura. Il tentativo però è andato in fumo nel giro di un paio d’ore, con il controgolpe che ha messo in condizione la vicepresidente, Dina Boluarte, di diventare il nuovo presidente che ora dovrà traghettare il Paese a nuove elezioni. Pedro Castillo, incalzato dalla inchieste della magistratura che lo accusa di corruzione nell’assegnazione di alcuni appalti pubblici, in preda al delirio di onnipotenza, si era chiuso nel suo ufficio e dopo aver letto la dichiarazione nella quale annunciava la fine del governo, lo scioglimento del Parlamento e la convocazione di nuove elezioni entro nove mesi per approvare una nuova Costituzione, aveva disposto il coprifuoco dalle 22 alle 4 del mattino del giorno successivo e sospeso ogni attività pubblica. Ma non è tutto, perché aveva avocato a sé tutti i poteri costituzionali, giudiziari e militari. Si è trattato di una mossa disperata di un uomo che alla prova dei fatti ha dimostrato di non essere all’altezza del compito e che negli ultimi mesi era stato abbandonato non solo dai suoi sostenitori ma anche dai suoi ministri, dimessisi in gran numero, oltre che dai suoi più stretti collaboratori e persino dai giuristi dello Stato peruviano. In soli 16 mesi in carica, Castillo è passato attraverso cinque gabinetti e circa 80 ministri che entravano e uscivano quasi settimanalmente, molti dei quali non qualificati, come lo stesso presidente. Alla fine, temendo di essere linciato dalla folla, che dopo i suoi annunci si era radunata sotto la sua residenza governativa, è scappato da un’uscita secondaria del palazzo presidenziale, si è infilato nella sua macchina blindata e ha chiesto di essere portato in un’ambasciata disposta ad accoglierlo (pare pensasse al Messico) solo che le auto della polizia che lo scortavano hanno deviato il suo percorso fino alla sede della prefettura regionale e una volta sceso dall’auto lo hanno arrestato. Ora il maestro di Cajamarca, che era stato eletto con una differenza di soli 40.000 voti (su quasi 18 milioni) dalla sua rivale, Keiko Fujimori ( figlia di Alberto Fujimori), rischia grosso, perché verrà accusato di «sedizione, ribellione e abuso d’autorità». La Costituzione peruviana consente al Congresso di rimuovere i presidenti per «incapacità morale permanente» e due dei predecessori di Castillo sono stati rimossi in base a questa clausola. Il Congresso due volte ha cercato di rimuovere l’ormai ex presidente anche ai sensi di questa clausola. Ma ha agito troppo presto e non ha ottenuto i necessari 87 voti di 130 legislatori. Il blocco di sinistra al Congresso è rimasto compatto perché in molti temevano di perdere i loro posti ben pagati (tutto il mondo è paese) se la rimozione fosse seguita da nuove elezioni generali, come vorrebbe la popolazione peruviana. Una terza mozione, con più consensi, doveva essere messa ai voti lo scorso 7 dicembre, poche ore prima dello strampalato annuncio di Castillo.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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