2022-02-12
Orfani della mascherina. Se la si è perduta, è dura mostrare la faccia
Spuntano gli orfani dei Dpi all’aperto: «Aiutano gli esteticamente svantaggiati», dice «La Stampa». «Nascondono i denti sporchi», scrive Gramellini. Il partito del volto oscurato però può stare sereno: grazie a Speranza & C., al chiuso il bavaglio lo terremo a lungo. Mostrare la faccia? Come se ne avessimo ancora una? E come facciamo? Grande panico al quartier generale del Puv, pensiero unico del virus: la fine dell’obbligo di portare le mascherine all’aperto ha suscitato non poche preoccupazioni. La faccia? Davvero si può scoprire la nostra faccia? E con che coraggio potremo farlo? La maggior parte dei sostenitori del partito mascherina&ghigliottina-linea dura Ffp2 senza paura, s’è ritrovata all’improvviso un po’ spiazzata. La faccia? Fammici pensare. Sì, una volta dovevamo perfino averne una. Io l’ho perduta, io pure. Tu nei hai una di riserva? No? E allora com’è possibile togliersi la mascherina? Non sarebbe meglio continuare a tenerla ancora per un po’? Nel dubbio, Vincenzo De Luca ha deciso: in Campania si si prosegue a volto nascosto. Nostalgia canaglia: non fai in tempo ad allentare un po’ la morsa degli elastici che tormentano le orecchie e subito parte l’onda lunga del «rimpianto», come scrive Massimo Gramellini sul Corriere della Sera. Non è un vero e proprio «magone da abbandono», spiega Caterina Soffici sulla Stampa, ma quasi un «languorino di pancia». Una «sensazione straniante». Perché la Ffp2, diciamocelo, è una «copertina di Linus», di più: una «mascherina di Linus». Una «livella estetica» che rende giustizia agli «esteticamente svantaggiati», come dice La Stampa, che da sempre, si sa, ha a cuore le battaglie per il politicamente corretto. In effetti: la mascherina per coprire la faccia a chi è brutto non è una splendida idea politicamente corretta? E perché allora, per gli «esteticamente svantaggiati», non rendiamo la mascherina obbligatoria per sempre? Sarebbe fantastico: possono girare a viso scoperto solo quelli che superano i canoni estetici decisi dal Cts. Per i mediamente brutti è obbligatoria la chirurgica. Per i decisamente brutti è obbligatoria la Ffp2. Per i bruttissimi è obbligatorio il burqa. Ai disabili si faccia indossare direttamente lo scafandro del palombaro e non se ne parli più. In attesa di queste misure, davvero democratiche e progressiste, nel quartier generale del virus si guarda con angoscia il mondo in preda alla follia dello smascheramento. Un fremito di ribellione inaccettabile, perché come ha detto il senatore Sandro Ruotolo in Parlamento «non è il momento di cedere a questa voglia di libertà». Ma si capisce: che cos’è tutta questa improvvisa voglia di essere liberi? Cosa si credono gli italiani? Di poter andare in giro dove vogliono? E persino con il viso scoperto? Non si rendono conto che tutta questa improvvisa aria sul volto potrebbe far loro male? Per dire: se l’aria è fresca potrebbe persino svegliarsi. E allora si renderebbero conto di tutte le balle che sono state raccontate. Non sia mai. «Scommetto che molti continueranno a indossare le mascherine lo stesso», profetizza Caterina Soffici. Non è detto che su questo non abbia ragione. La sindrome di Stoccolma sa essere implacabile. E poi, come spiega Massimo Gramellini, bisogna anche capire che cosa è la vera libertà. Ovvio: vuoi mettere la libertà, che ti consente la mascherina, di «andarsene in giro struccate o non sbarbati»? O quella di «non essere più costretti a sorridere»? Dal che finalmente si capisce che avevano ragione i fondamentalisti islamici: le donne costrette a indossare il velo sono davvero libere perché possono evitare di truccarsi e anche di sorridere. Ma i più liberi di tutti sono i bambini che potranno (parole testuali in prima pagina del Corriere della Sera) «non provare alcun senso di colpa per avere dimenticato di lavare i denti». Non è meraviglioso? Finalmente abbiamo capito, dopo tanti pareri negativi degli scienziati, a che cosa servivano davvero le mascherine all’aperto: a risparmiare sul dentifricio. Tartaro? Incrostazioni? Alito pesante? L’igiene orale non serve, basta la Ffp2 a coprire ogni nefandezza. Comprese le carie. Che, gentilmente, ringraziano. Del resto quando parte il rimpianto non si guarda in faccia a nulla. Per dire: le Ffp2 fin dall’inizio sono state un ostacolo sulla via della comunicazione. La maggior parte delle persone manco sapeva, e molti ancora non sanno, che cosa siano. E tanto meno sa come si pronuncia il loro nome. Il quale nome però, sull’onda della nostalgia canaglia, diventa anch’esso immediatamente «bello». «Appropriato». Addirittura «evoca il robottino di Guerre Stellari». Ma sicuro: a Hollywood hanno già pronto il kolossal. Il ritorno dello Jedi mascherato. Sia chiaro: per fortuna dei nostri nostalgici mascherinisti il bavaglio ce lo possiamo togliere soltanto all’aperto e soltanto quando non c’è ressa. La grande innovazione sbandierata da tutti i media con un unico coro consiste nel permettere a chi passeggia in solitudine lungo un fiume o in cima a una montagna di poterlo fare senza doversi coprire il volto. Cosa che, per altro, era completamente folle anche prima, casomai qualcuno l’abbia fatto. In compenso l’obbligo di indossare le mascherine nei luoghi affollati e al chiuso rimane per la gioia di grandi e piccini, di Pierpaolo Sileri, di Nino Cartabellotta, di Stefania Salmaso tutti preoccupati che si possa tornare a mostrare il volto (che non si siano lavati i denti neppure loro?). Per loro fortuna il consulente di Speranza Walter Ricciardi ha annunciato: «Mascherine al chiuso almeno fino all’estate». Gran sospiro di sollievo nel quartier generale del Puv (pensiero unico del virus): almeno al bar sport per un po’ nessuno vedrà la loro faccia. E nessuno si accorgerà che è diventata come il culo.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)