2021-09-12
Il pericolo non sono i non vaccinati ma credersi al sicuro dopo l’iniezione
Caro Berni, le rispondo con le parole di Naftali Bennett, non proprio un no vax. Il premier israeliano, cioè il capo di un Paese con più vaccinati al mondo, pochi giorni fa ha detto: «Paradossalmente, le persone più a rischio sono quelle con due dosi, che vanno in giro sentendosi protette. Non capiscono che l'efficacia è diminuita e devono fare la terza dose. Ci sono giovani (vaccinati) in serie condizioni». Questo non solo conferma le sue premesse, ovvero che i vaccini non coprono al 100 per cento e che, come spieghiamo nelle pagine interne, ci possono essere conseguenze gravi dovute al siero ma statisticamente sono più i benefici dei rischi, ma prova meglio di tante chiacchiere uno degli aspetti che lei sottolinea, ovvero che anche chi è vaccinato può contrarre la malattia e trasmetterla. Lei scrive che però questo rischio è molto ridotto e comunque al massimo ci si contagia in modo lieve. Ecco, io su questo sono in disaccordo con lei. E non perché io sia no vax (lo ribadisco per l'ennesima volta, così qualche polemista da spiaggia può schiarirsi le idee), ma perché guardando i numeri, le tendenze di diffusione del virus in Italia e all'estero, sono più d'accordo con Bennett che con lei. Comincio con il citarle qualche dato. Ieri, in Italia, abbiamo registrato altri 5.193 contagi, con 57 decessi per Covid. Un anno fa, cioè circa 40 milioni di vaccinati prima (con seconda dose, naturalmente), i nuovi contagi erano meno di un terzo, e i morti quasi un sesto di quelli di questi giorni, ovvero 1.616 a fronte di 10 decessi. È vero, l'anno scorso i tamponi giornalieri erano meno di 100.000, quest'anno sono il triplo, ma l'entità dei decessi non conferma l'idea che con l'80 per cento di immunizzati avremo l'immunità di gregge. Che cosa voglio dire con questi numeri? Che i vaccini non servono? Che è inutile farsi iniettare il siero? No, cerco solo di far capire che da sole le iniezioni non bastano perché, come ha spiegato Bennett, paradossalmente le persone più a rischio sono quelle che si sentono immuni, cioè protette e dunque autorizzate ad abbassare la guardia - anzi, la mascherina - contro il virus. Qualche giorno fa, ho cercato di spiegare perché reputo il green pass una colossale stupidaggine, in quanto si sono obbligati i clienti dei ristoranti a esibirlo, ma non si è fatto lo stesso con camerieri e cuochi, perché lo si mostrerà sul treno ma non sull'autobus o in metropolitana, e per entrare al museo è indispensabile, ma in chiesa non è richiesto. Tuttavia, le mie critiche non si fermano alle incongruenze, bensì anche alle false certezze che il certificato verde e chi ci governa propalano. Il green pass è concesso a chi si è sottoposto all'intero ciclo vaccinale, a chi ha fatto una dose e a chi ha eseguito un tampone nelle ultime 48 ore. E siamo certi che questo basti? La maggioranza degli italiani è stata indotta a credere che il quadratino mostrato all'ingresso di un locale lo protegga, ma così non è. E per farmi intendere vi racconto le storie che riguardano due persone che conosco. Il primo è un manager internazionale, che durante la prima ondata si è preso il Covid. È stato male, ma alla fine ne è uscito. Quando è venuto il suo turno, si è vaccinato sperando di poter tornare a una vita normale, cioè a viaggiare e a fare riunioni d'affari. Passato qualche mese però si è riammalato. Colpa di una variante, gli hanno spiegato. Sta di fatto che è stato peggio della prima volta. Altro che contagio lieve.Secondo caso che ho verificato di persona. Anche questa volta si tratta di un manager, ma non di uno che gira il mondo, bensì di un professionista che al massimo gira tra Milano e Roma. Anche lui si era già beccato il Covid lo scorso anno, prima di Natale, e ne era uscito. Secondo i calcoli avrebbe dovuto essere protetto, tuttavia all'inizio dell'estate ha scelto di vaccinarsi. Dose unica, con il siero Johnson & Johnson, e poi ha fatto anche un prelievo sierologico, per vedere quanti fossero gli anticorpi al virus. Responso: il massimo. Tutto ok, dunque? No. Qualche giorno prima delle vacanze, durante un pranzo di lavoro, incontra una persona non vaccinata, che però si è sottoposta al tampone 27 ore prima. Risultato: due giorni dopo si rende conto di aver contratto il Covid e di averlo trasmesso alla sua famiglia, cioè a moglie, figli e genitori, tutti già vaccinati. La polmonite bilaterale questa volta è grave, al punto che il manager ha bisogno dell'ossigeno e di essere monitorato costantemente. Per uscire dall'incubo ci mette 40 giorni, ma uno dei suoi familiari, il più anziano, non ce la fa.Ecco, caro Berni, lei ha ragione quando dice che c'è la libertà di farsi vaccinare e c'è la libertà di non farsi infettare. Ma il virus circola a prescindere da vaccinati e non vaccinati, perché purtroppo riesce a bucare le difese del siero. Qualche volta fa danni lievi, altre - come dice il premier israeliano - ne fa di pesanti. A Tel Aviv stanno procedendo con la terza dose, ma già si parla di una quarta. Qualcuno dice però che più aumentiamo le iniezioni e più crescono le varianti. Io non sono uno scienziato e dunque su questi temi non mi avventuro. Tuttavia, di una cosa sono certo ed è che su green pass e immunità di gregge i nostri politici ci prendono per il naso. Uso le stesse parole di Luca Ricolfi, il quale con una semplice formula matematica ha spiegato perché, neanche vaccinando il 100 per cento della popolazione, raggiungeremo l'obiettivo di eliminare il virus. In un suo studio, il professore ha scritto: «Magnificare acriticamente le virtù protettive dei vaccini ha contribuito a ridurre la vigilanza e il rispetto delle regole di prudenza». È detto meglio, ma è ciò che ho ripetuto io in questi mesi a proposito del green pass e delle tante sciocchezze che ci sono state fornite come verità rivelate.