2020-07-30
Perché l'ambientalismo è un problema per Biden
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Joe Biden ha recentemente presentato un piano per la lotta al cambiamento climatico: un piano ambizioso che prevede 2 trilioni di dollari in investimenti, a sostegno di energia pulita e infrastrutture. In particolare, obiettivo del progetto è quello di arrivare a zero emissioni entro il 2050. Si tratta di una proposta che ha ricevuto il plauso dei settori ambientalisti. Ma che, a ben vedere, potrebbe rappresentare un grattacapo elettorale non indifferente per il candidato democratico. Cominciamo col ricordare che l'ambiente non abbia mai costituito un interesse precipuo di Biden. È del resto chiaro che, con questo programma, l'ex vicepresidente punti ad accattivarsi le simpatie delle ali progressiste del Partito democratico: quelle aree, che hanno da tempo posto la lotta al cambiamento climatico in cima alla propria agenda politica. Non dimentichiamo d'altronde che, durante le primarie democratiche di quest'anno, fossero proprio i candidati più a sinistra a concentrarsi su questo argomento (da Bernie Sanders a Elizabeth Warren). È dunque evidente che Biden stia cercando di federare l'intero partito attorno al proprio vessillo. E, in questo senso, la questione ambientale è tra l'altro finalizzata a conquistare il voto dei settori giovanili: settori che storicamente non hanno - almeno finora - mai mostrato troppo apprezzamento per l'ex vicepresidente.Il punto è che, con questo programma, Biden rischia di scontentare una parte di quello che - da senatore del Delaware - risultò il suo zoccolo duro elettorale: gli operai sindacalizzati nel comparto dell'energia tradizionale. Sotto questo aspetto, la situazione è abbastanza ingarbugliata. Come recentemente ricordato dal sito Axios, nel settore delle energie rinnovabili il peso dei sindacati vale soltanto dal 4% al 6%. Un peso molto più consistente (12%) si registra di contro nelle centrali elettriche a carbone, gas naturale e nucleare. Settori invece legati al combustibile fossile vedono un peso ancor maggiore dei sindacati (di circa il 17%). Tutto questo, senza infine dimenticare che - stando a quanto riferito dal Dipartimento del Lavoro americano - i salari medi nel settore dell'energia tradizionale siano più elevati rispetto a quelli riscontrabili nel comparto delle rinnovabili (soprattutto per quanto riguarda l'eolico). Il rischio per Biden è quindi quello di ritrovarsi contro quegli stessi sindacati su cui, almeno in teoria, ha intenzione di puntare massicciamente nel 2020, soprattutto nell'area della Rust Belt. La questione è delicata specialmente in Pennsylvania dove, nel 2016, Donald Trump vinse per una manciata di voti contro Hillary Clinton. Non a caso, il presidente sta attualmente conducendo una campagna elettorale molto aggressiva in questo Stato, assicurando di voler garantire la tutela del settore energetico tradizionale e rivendicando l'abbattimento di alcune restrizioni, introdotte dall'amministrazione Obama. Per Biden, la questione è molto più complicata. Non solo i sindacati locali guardano con sospetto al suo piano ambientale, ma - nella fattispecie - un tema particolarmente spinoso è quello del "fracking". Pur avendo escluso un suo divieto, l'ex vicepresidente ha ciononostante reso noto di non voler rilasciare nuove concessioni nei territori e nelle acque federali. Una posizione intermedia dunque, che rischia di danneggiarlo: Trump non fa infatti che additarlo come ostaggio dell'estrema sinistra e - al contempo - gli ambientalisti lo accusano di non essere abbastanza deciso. Con i sindacati locali che, infine, fanno sempre più fatica a riconoscere il loro vecchio candidato.Certo: va ricordato che la maggior parte dei sondaggi diano al momento l'ex vicepresidente saldamente in vantaggio nello Stato della Pennsylvania. Bisognerà tuttavia capire quali saranno gli effetti in loco del piano ambientale, da lui recentemente presentato. Se da una parte - come accennato - questo progetto può aiutarlo a livello nazionale (soprattutto con le fasce più giovani), è ancora troppo presto per comprendere quale sarà la reazione elettorale dei lavoratori del settore energetico tradizionale. Il rischio, per Biden, è che possa verificarsi uno slittamento simile a quello subìto da Barack Obama nel passaggio dalla prima alla seconda campagna presidenziale: un Obama che, nel 2008, riuscì a ottenere il sostegno dei lavoratori impiegati nel settore carbonifero. Lavoratori che, nel 2012, non tollerarono tuttavia la sua svolta ambientalista e che gli preferirono pertanto il candidato repubblicano, Mitt Romney. Il punto è che, come su altre tematiche, Biden sconta un'eccessiva ambiguità, cercando di tenere insieme linee programmatiche fondamentalmente antitetiche. Un atteggiamento, dettato dal fatto che il suo elettorato potenziale risulti troppo eterogeneo (andando dai centristi alla sinistra radicale). C'è chi dice che, così facendo, l'ex vicepresidente si presenti efficacemente come un candidato di sintesi. Ma il pericolo, per lui, è quello di restare in mezzo al guado, scontentando tutti. E la questione ambientale, da opportunità, rischia di trasformarsi in uno scoglio difficilmente evitabile.