
Da Genova a Milano, da Bologna a Napoli: le forze dell'ordine arrestano i criminali. Ma spesso le sentenze creative dei giudici li rimandano per strada.«In Italia, oggi, un agente rischia anche solo a chiedere un documento». Lo sfogo, amaro, arriva da un poliziotto che ha da qualche mese sospeso il servizio, ma fotografa bene la situazione nella quale sono costretti a lavorare gli uomini delle forze dell'ordine, condannati a difendere un sistema che non li tutela.Morsi, calci, pugni: ogni giorno gli agenti si trovano di fronte a criminali liberi di fare quel che meglio credono. Anche di uccidere, come è successo al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, accoltellato a morte undici volte mentre faceva il suo dovere.Può succedere ovunque, in strada, in tram, durante una manifestazione: l'impressione è che i delinquenti la facciano troppo spesso franca, certi dell'impunità.«Ma allora noi agenti che cosa ci facciamo ancora in strada? A correre, al freddo, a rischiare la pelle», si chiedeva qualche tempo fa un poliziotto, in uno sfogo condiviso con i colleghi attraverso una chat. Ecco, nella quotidiana lotta ai criminali, quante volte lo Stato ha finito per voltare le spalle alle forze dell'ordine?L'ultimo caso arriva da Monza: un nigeriano di 29 anni viene arrestato dalla polizia di Stato per aver aggredito e minacciato di morte due agenti, intervenuti su richiesta di tre donne nordafricane, a loro volta vittime di aggressione. Il ragazzo, con precedenti per rapina, violenza sessuale e resistenza a pubblico ufficiale, secondo quanto riferito dal segretario generale del Sindacato dei poliziotti, Giuseppe Tiani, viene condannato per direttissima a un anno, con pena sospesa. Finirà in carcere, direte voi. O almeno non verrà lasciato libero di spacciare e aggredire ancora. E invece, il giudice di Monza gli riconosce le attenuanti generiche in virtù «delle sue precarie condizioni di vita, in quanto in attesa del riconoscimento dell'asilo politico». In sostanza, lo status di richiedente asilo lo salva dal carcere. Ai due agenti coinvolti dieci giorni di prognosi, all'aggressore l'immediata libertà. Una circostanza isolata? Macché.Per un caso accaduto a Genova, per esempio, i giudici della terza sezione penale della Corte di Cassazione hanno annullato l'arresto di uno spacciatore gabonese con una motivazione che ha il sapore della beffa: è stato troppo facile prenderlo. Può sembrare paradossale, ma le parole con cui i giudici ne hanno deciso l'immediata liberazione sono chiare: «La conformazione ambientale, ovvero i caruggi, ha nella specie agevolato la repressione dell'illecito e in nulla agevolato la commissione del fatto». Così, gli ermellini hanno ribaltato la decisione del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Genova, confermata anche dal tribunale del Riesame, che aveva disposto per lo spacciatore la custodia cautelare in carcere. Niente da fare, i giudici della Cassazione hanno accolto i motivi di impugnazione, per i quali vi è stata un'errata applicazione delle circostanze aggravanti, dal momento che la decisione degli agenti di polizia «di collocarsi sulla pubblica via aveva favorito la cattura del ricorrente. Costui era stato facilmente individuato nell'attività di spaccio, segnalato dai residenti e così infine arrestato». I vicoli della città, insomma, da anni zona franca in mano agli spacciatori, avrebbero favorito l'azione di controllo da parte dei poliziotti anziché ostacolarla. «Siamo senza parole: secondo questa valutazione, si può spacciare indisturbati purché l'arresto sia facile», spiega il segretario generale del Sindacato autonomo di polizia, Stefano Paoloni.E c'è anche chi, a Milano, non avendo di cosa vivere, viene legittimato dai giudici a spacciare. Ecco le parole con cui è stato scarcerato un pusher gambiano: non avendo «[...] alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l'unico modo per mantenersi». E dopo essere stato fermato dalle forze dell'ordine e bollato durante il giudizio per direttissima come un pusher recidivo, sorpreso per la seconda volta in quattro giorni a vendere ecstasy nella periferia Nord della città, è stato rimesso in libertà. Anche in questo caso i giudici, nella premessa all'ordinanza di scarcerazione, ammettono che c'era «un concreto e attuale pericolo di reiterazione di analoghi reati». Ma alla fine optano per il divieto di dimora a Milano. Niente carcere. Vada a spacciare da qualche altra parte.E se i pusher vengono lasciati liberi di spacciare, ai ladri, a volte, può andare ancora meglio: può capitare che vengano liberati perché è concreto il pericolo di «evasione». A Napoli, un ladro recidivo l'ha fatta franca grazie ai suoi difensori puntigliosi, per un cavillo nel Codice di procedura penale. Lo beccarono i carabinieri del comando stazione di Arzano mentre con un cacciavite, una torcia e una chiave inglese scassinava indisturbato un'automobile. Ma gli stessi militari che l'hanno arrestato cogliendolo sul fatto sono rimasti di stucco quando hanno letto il dispositivo del giudice della direttissima. La premessa è questa: «Ritenuto che sussistono gravi indizi di colpevolezza e che esiste il pericolo di reiterazione del reato, inoltre la misura degli arresti domiciliari non appare efficace perché l'uomo è gravato da precedenti penali in materia di evasione». Tutto lasciava intendere che sarebbe finito in cella. E, invece, la parte finale del dispositivo è sorprendente: «Il giudice rigetta la misura degli arresti domiciliari e dispone la liberazione dell'imputato». Il significato è chiaro: siccome è recidivo e quando viene arrestato evade dai domiciliari, va scarcerato. Lo scivolone, però, in questo caso non l'ha preso il giudice, ma i magistrati della Procura. Dimenticando di trovarsi davanti al tribunale e non davanti a un gip, non hanno chiesto una misura più afflittiva e, siccome il giudice monocratico non può applicare una misura cautelare più grave se il pm non la richiede espressamente, quando gli avvocati gliel'hanno fatto notare, la toga non ha potuto che dare loro ragione, disponendo l'immediata scarcerazione dell'arrestato.E poi c'è il capitolo dei criminali di cui, con un bel decreto d'espulsione, potremmo liberarci. E che, invece, rimangono qui in Italia. È giusto il caso di un bombarolo nigeriano contiguo ai gruppi anarchici bolognesi, che non potrà essere rispedito nel suo Paese. Lo ha stabilito il giudice di Bari, annullando un provvedimento di espulsione firmato dal ministro dell'Interno, Matto Salvini, qualche giorno fa, sulla base di una segnalazione della questura che indicava il nigeriano come socialmente pericoloso. Condannato per detenzione di materiale esplosivo (50 chili di nitrato d'ammonio, undici barattoli di acetone, sei flaconi di perossido di idrogeno, vale a dire gli ingredienti per creare l'esplosivo artigianale più comune negli attentati) a una pena da contrabbandiere di raudi, un anno e dieci mesi in primo grado, è uscito di prigione dopo otto mesi. E siccome continuava a frequentare gli ambienti anarco-insurrezionalisti, mettendo a disposizione per i summit anche la sua abitazione, era stato prima spedito in un Cpr e poi espulso. Ma per il giudice di pace di Bari, «tutti gli elementi rappresentati dalla questura non possono che concretizzare meri indizi della asserita pericolosità, mai cristallizzata in provvedimenti giurisdizionali». E, così, il nigeriano anarchico è tornato a Bologna, nell'abitazione in cui sono state trovate e sequestrate le formule chimiche per assemblare pericolosi esplosivi e nella quale, a leggere gli atti dell'ultima inchiesta sugli anarchici bolognesi, «si svolgevano le riunioni con i compagni e si studiavano i piani».E allora, di fronte alla certezza dell'impunità, può capitare anche che oltraggiare un poliziotto con uno sputo sia ritenuto «un fatto di lieve entità», e come tale non deve essere punito. Come è successo a Milano: cinque giovani antagonisti vengono denunciati per danneggiamenti durante una manifestazione; uno di loro viene accusato di oltraggio a pubblico ufficiale per aver sputato a un agente in servizio. Sapete qual è la decisione del giudice, due anni dopo i fatti? Assoluzione per tutti, data «la particolare tenuità del fatto».«Anche nello sport, se qualcuno sputa su un avversario, viene perlomeno squalificato qualche giornata», commentava all'epoca dei fatti il segretario del Sap, Paoloni. In Italia evidentemente no, qui funziona al contrario: si può oltraggiare chi rappresenta lo Stato ed esser certi di cavarsela, senza neanche un'ammenda.
Ambrogio Cartosio (Imagoeconomica). Nel riquadro, Anna Gallucci
La pm nella delibera del 24 aprile 2024: «Al procuratore Ambrogio Cartosio non piacque l’intercettazione a carico del primo cittadino di Mezzojuso», sciolto per infiltrazione mafiosa. Il «Fatto» la denigra: «Sconosciuta».
Dopo il comunicato del senatore del Movimento 5 stelle Roberto Scarpinato contro la pm Anna Gallucci era inevitabile che il suo ufficio stampa (il Fatto quotidiano) tirasse fuori dai cassetti le presunte valutazioni negative sulla toga che ha osato mettere in dubbio l’onorabilità del politico grillino. Ma il quotidiano pentastellato non ha letto tutto o l’ha letto male.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex capo della Dna inviò atti d’impulso sul partito di Salvini. Ora si giustifica, ma scorda che aveva già messo nel mirino Armando Siri.
Agli atti dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate, ci sono due documenti che ricostruiscono una faccenda tutta interna alla Procura nazionale antimafia sulla quale l’ex capo della Dna, Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare pentastellato, rischia di scivolare. Due firme, in particolare, apposte da De Raho su due comunicazioni di trasmissione di «atti d’impulso» preparati dal gruppo Sos, quello che si occupava delle segnalazioni di operazione sospette e che era guidato dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (l’uomo attorno al quale ruota l’inchiesta), dimostrano una certa attenzione per il Carroccio. La Guardia di finanza, delegata dalla Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo già costruito a Perugia da Raffaele Cantone, classifica così quei due dossier: «Nota […] del 22 novembre 2019 dal titolo “Flussi finanziari anomali riconducibili al partito politico Lega Nord”» e «nota […] dell’11 giugno 2019 intitolata “Segnalazioni bancarie sospette. Armando Siri“ (senatore leghista e sottosegretario fino al maggio 2019, ndr)». Due atti d’impulso, diretti, in un caso alle Procure distrettuali, nell’altro alla Dia e ad altri uffici investigativi, costruiti dal Gruppo Sos e poi trasmessi «per il tramite» del procuratore nazionale antimafia.
Donald Trump e Sanae Takaichi (Ansa)
Il leader Usa apre all’espulsione di chi non si integra. E la premier giapponese preferisce una nazione vecchia a una invasa. L’Inps conferma: non ci pagheranno loro le pensioni.
A voler far caso a certi messaggi ed ai loro ritorni, all’allineamento degli agenti di validazione che li emanano e ai media che li ripetono, sembrerebbe quasi esista una sorta di coordinamento, un’«agenda» nella quale sono scritte le cadenze delle ripetizioni in modo tale che il pubblico non solo non dimentichi ma si consolidi nella propria convinzione che certi principi non sono discutibili e che ciò che è fuori dal menù non si può proprio ordinare. Uno dei messaggi più classici, che viene emanato sia in occasione di eventi che ne evocano la ripetizione, sia più in generale in maniera ciclica come certe prediche dei parroci di una volta, consiste nella conferma dell’idea di immigrazione come necessaria, utile ed inevitabile.
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Il titolare del Mimit: «La lettera di Merz è un buon segno, dimostra che la nostra linea ha fatto breccia. La presenza dell’Italia emerge in tutte le istituzioni europee. Ora via i diktat verdi o diventeremo un museo. Chi frena è Madrid, Parigi si sta ravvedendo».
Giorni decisivi per il futuro del Green Deal europeo ma soprattutto di imprese e lavoratori, già massacrati da regole asfissianti e concorrenza extra Ue sempre più sofisticata. A partire dall’auto, dossier sul quale il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dedicato centinaia di riunioni.






