2020-12-08
Per poter uscire di casa dovremo farci tatuare la «V» di vaccino
Gli effetti dell'isteria da virus in un surreale futuro: da cittadini a «Potenziali malati». E chi rifiuterà di farsi inoculare la cura diventerà un derelitto costretto a nascondersi.Il derelitto uscì dal tugurio e stancamente si diresse verso la mensa clandestina, dove avrebbe incontrato altri come lui.La metropoli era semideserta. A parte alcune persone che avevano ricevuto il permesso di uscire per svolgere particolari servizi relativi al mantenimento della salute pubblica, la popolazione se ne stava rintanata nelle case. Il traffico era ridotto al minimo e le strade erano percorse per lo più dalle pattuglie della Polizia Covidica, composte da cyborg e cani robot. Noti per la loro ottusità, questi agenti biomeccanici aizzavano i cani contro chiunque non fosse più che lesto a mostrare il tatuaggio.Il derelitto aumentò l'andatura. Il cappuccio della felpa ben calato, si guardò intorno sospettoso, poi si infilò nel vicolo. Con un gesto meccanico, si toccò il polso destro. Lì, all'altezza dello scafoide, un tatuaggio avrebbe significato per lui la salvezza, la redenzione, il ritorno nel mondo. Ma lui il tatuaggio non l'aveva.Il dpcm che aveva stabilito l'obbligatorietà del tatuaggio era stato di poco successivo a quello che aveva ordinato la vaccinazione a tappeto, per tutti gli Mp, ovvero i Malati potenziali, come venivano chiamati all'epoca quelli che un tempo erano i cittadini. Una volta avvenuta la vaccinazione - così stabiliva il decreto - ogni Mp sarà tatuato all'altezza dello scafoide: una V maiuscola, di tre centimetri di altezza e due di larghezza. V come vaccino, ovviamente, così da certificare in modo indelebile l'appartenenza alla SdV, la Società dei Vaccinati, cioè dei liberi: liberi di condurre una vita moderatamente normale.Coloro che, in un modo o nell'altro, non si erano sottoposti al vaccino, e dunque non avevano il tatuaggio, erano noti invece come i derelitti. Esseri reietti, isolati, esclusi, costretti a sopravvivere ai margini della società.I derelitti non potevano entrare nei ristoranti, nei bar, nei cinema, nei teatri. Non potevano andare allo stadio, salire su un autobus, sulla metro o sui treni. Non potevano usufruire del taxi né accedere a qualsiasi altro tipo di servizio. Erano a tutti gli effetti dei paria, mancanti di diritti e dignità. E tuttavia non erano pochissimi. Subito dopo la campagna per la vaccinazione obbligatoria e il tatuaggio (campagna che era stata contraddistinta dallo slogan «Vaccinàti e tatuàti, sempre accettati») una certa percentuale di Malati potenziali aveva deciso, di fatto, di darsi alla macchia. Niente vaccino, niente tatuaggio. Meglio, si erano detti, una vita di stenti piuttosto che l'omologazione. Meglio l'emarginazione piuttosto che farsi iniettare quella sostanza che non era mai stata adeguatamente testata e poteva determinare, a detta di alcuni esperti che non aderivano al regime, inquietanti effetti collaterali.«Niente vaccini, non siamo agnellini» disse l'uomo con la felpa dopo essere sceso in uno scantinato buio e aver bussato a una porta. Era la parola d'ordine. L'amico, sorridendo, gli rispose: «Vaccino, vomitino». Si abbracciarono. Poi il nuovo arrivato andò a sedersi al lungo tavolaccio, dove altri derelitti come lui stavano già consumando la loro cena: una brodaglia con pane nero. Ma almeno era calda.Nel locale sotterraneo nessuno indossava mascherine e nessuno fiatava. L'unico rumore percepibile era quello dei cucchiai che rimestavano nelle ciotole. Occorreva essere cauti. La Polizia Covidica era ovunque e aveva i suoi infiltrati. Perdere la libertà, e ritrovarsi vaccinati e tatuati, era un attimo.Le autorità le avevano provate tutte. Gli agenti cyborg e i cani robot pattugliavano ogni angolo della metropoli. Inoltre la stampa non faceva che chiamare i Malati potenziali a dare prova di senso di responsabilità sia aderendo alla campagna per la vaccinazione obbligatoria sia segnalando coloro che avevano invece scelto di far parte della resistenza.Da ogni maxischermo il Grande Virologo, con il suo tipico tono paternalistico, non faceva che esortare a vaccinarsi e a lasciarsi tatuare: «Proteggi te stesso e i tuoi cari! Sii responsabile!». Il governo aveva arruolato allo scopo giornalisti, attori, cantanti, uomini e donne della cultura, un vero e proprio esercito mobilitato a favore della vaccinazione obbligatoria e del tatuaggio. Ma più le autorità si accanivano e più, inspiegabilmente, le file della resistenza andavano aumentando. Sembrava impossibile, eppure c'erano Malati potenziali che preferivano vivere ai margini della società piuttosto che lasciarsi omologare.Come comportarsi con chi rifiuta di vaccinarsi? La domanda, posta esplicitamente da un celebre giornalista, noto per le sue idee liberali, aveva catalizzato il dibattito. Come rieducare le masse dei resistenti, degli acerrimi no-vax? Basteranno i campi di detenzione?L'uomo con la felpa, mentre sorbiva la sua brodaglia, ripensava al discorso del giornalista, mandato in onda ripetutamente dagli organi di stampa allineati. Lui, l'uomo con la felpa, non era mai stato un no-vax e non si sentiva tale. Riteneva che i vaccini fossero utili e che avessero contribuito a debellare numerose malattie, ma sapeva che un vaccino, prima di essere impiegato, e su larga scala, va adeguatamente preparato e testato. Per questo aveva deciso di diventare un derelitto e di combattere, nel suo piccolo, una battaglia di libertà. Non gli andava di portare il cervello all'ammasso e di lasciarsi condizionare dalle sparate del Grande Virologo e dei suoi scagnozzi. Certo, non era facile. Certo, il prezzo pagato era alto. Certo, vivere nell'emarginazione era faticoso. Ma, diceva a se stesso, mille volte meglio derelitto piuttosto che omologato, vaccinato e tatuato. Proprio mentre, sei metri sottoterra, l'uomo con la felpa era immerso nei suoi pensieri, in superficie decine di auto a guida automatica percorrevano le strade lanciando gli slogan della campagna vaccinale: «All'altro non avvicinarti! Corri a vaccinarti!», «Non essere malato! Scegli di essere amato!», «Chi non si lascia vaccinare ti vuole rovinare!».L'uomo con la felpa finì la sua brodaglia, portò la ciotola al lavabo e tornò a sedersi. Accanto a lui c'erano intere famiglie. Uomini, donne, bambini e anziani vestivano in modo modesto, ma non avevano perso il sorriso. E il fatto di non essere tatuati dava loro una grande consapevolezza: non tutto era perduto, la libertà non era morta.Intanto nel palazzo del governo il Decretatore non si sentiva bene. L'intervista di quella giornalista l'aveva spossato. Tutto sudato e paonazzo, andò in bagno. Provò a chiamare il suo collaboratore, ma non gli venivano le parole. Lui l'aveva detto al Grande Virologo che non voleva vaccinarsi, che sarebbe stato meglio aspettare i test. Ma il Grande Virologo era stato fermissimo: «Devi dare l'esempio!».«Maledetto il Grande Virologo e maledetto il suo Comitato» pensò il Decretatore, mentre sentiva che qualcosa in lui stava cambiando. Si guardò il polso all'altezza dello scafoide, dove campeggiava la V, e vide che il colore della pelle stava virando verso un verde-azzurro per niente rassicurante.In quelle ore, in milioni di case, milioni di Malati potenziali stavano vivendo la stessa drammatica esperienza. E non era solo per la pigmentazione verde-azzurra. C'erano anche quelle squame sulle mani. E c'era la difficoltà di articolare le parole.«Ma che suc… ce…de?» balbettò il Decretatore mentre cercava, senza riuscirci, di digitare il numero del Grande Virologo. Nello scantinato, quando un giovane derelitto entrò trafelato, tutti si voltarono verso di lui.«Lassù sta succedendo qualcosa» disse il giovane. «Le pattuglie si stanno ritirando e le auto non diffondono più gli slogan!».«Andiamo in superficie a dare un'occhiata» disse un altro derelitto.Quando la squadra emerse, lo spettacolo che si trovò di fronte fu indescrivibile. Dalle case uscivano centinaia di persone dal colorito verde-azzurro. Sulle loro mani stavano crescendo orrende squame e l'andatura di quella gente aveva un che di innaturale. «A che cosa assomigliavano?» si chiese l'uomo con la felpa. Ah, ecco, sì, ora ricordava: erano simili a zombi. In tutto e per tutto. Si trascinavano a fatica. Le gambe rigide, i movimenti disarticolati. Emettevano suoni gutturali, spaventosi e incomprensibili. Qualcuno, sollevandosi la manica, cercava di addentarsi il polso, all'altezza dello scafoide, dove c'era il tatuaggio. L'uomo con la felpa, sconvolto, indietreggiò. I suoi amici osservavano quella scena terrificante e si guardavano l'un l'altro.Dalla folla delle creature verdi-azzurre emerse una donna che ancora riusciva a pronunciare qualche parola. Diceva, in un sussurro: «Derelitti, per favore, salvateci!».
Jose Mourinho (Getty Images)