2022-02-14
Antonio Magi: «Per ogni laureato che se ne va 41.000 euro buttati via»
Il presidente dell’ordine professionale della capitale: «Assurdo formare i giovani senza offrire condizioni soddisfacenti di lavoro Eppure i posti non mancano, ci sono tanti vuoti. Con il Covid abbiamo richiamato i pensionati perché chi lascia non viene sostituito».«Ogni anno, solo a Roma, firmo come presidente dell’ordine dei medici oltre 500 good standing, i certificati di onorabilità professionale necessari per andare all’estero, nei Paesi extra Ue. Li chiedono soprattutto giovani di una fascia di età compresa fra 30 e 35 anni, circa il 75%, mentre il rimanente 25% si distribuisce tra 35-45 anni. I più giovani fanno fatica da noi a costruirsi un futuro e avere certezze nonostante gli anni di studio spesi nel tentativo di costruirsi una professione. Ciò che il mercato italiano offre sono contratti a tempo determinato che hanno portato negli ultimi anni al fenomeno del precariato». Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Roma, afferma che il processo di fuga oltre confine, dopo uno stop determinato dalla pandemia, ora sta riprendendo.Il Covid ha accelerato o frenato l’uscita dall’Italia?«Ha messo ancora di più le strutture ospedaliere sotto pressione, creando condizioni di lavoro molto stressanti e faticose. Il posto di medico ospedaliero non offre più quella condizione privilegiata di un decennio fa. Così chi può se ne va. Nel 2020, per far fronte all’emergenza, sono stati reclutati anestesisti e rianimatori in pensione. In corsia, con loro, c’erano anche i neolaureati in medicina».Forse qualcuno può obiettare che i giovani non sono più propensi a fare la gavetta e cercano strade più facili.«Non è così. I giovani sono sempre più delusi dall’attuale poca attrattività del servizio sanitario nazionale. Tecnici ed esperti che si sono succeduti al ministero della Salute spesso hanno partorito scelte incomprensibili che non pongono come priorità l’investimento sul capitale umano. Tanti laureati, non vedendo opportunità professionali soddisfacenti e sapendo che li attende un lungo precariato mal pagato, preferiscono fare i bagagli e migrare. Non avere sbocchi professionali significa anche non riuscire a programmare una famiglia oltre che una carriera». Quali specialisti sono più attratti dalle opportunità di altri Paesi?«È un fenomeno trasversale. Negli ultimi 4 anni ben 5.000 medici specializzati in Italia che si erano formati con i soldi pubblici hanno preferito partire verso Paesi che hanno offerto migliori condizioni professionali. E pensare che lo Stato spende 41.000 euro per formare un laureato. Oggi non troviamo più specialisti anche per un’errata programmazione passata. La fuga dei cervelli riguarda anche chi si è appena laureato e ha difficoltà ad accedere alle scuole di specializzazione. Molti Paesi offrono a questi colleghi contratti a tempo indeterminato, vitto e alloggio. Chi emigra cerca oltre frontiera ciò che non trova nel nostro Paese, ovvero la possibilità di progettare un futuro, sicurezza economica, stabilità, gratificazione professionale ed economica».Anche i medici di famiglia se ne vanno?«Per i medici di famiglia assistiamo a un altro fenomeno. Spesso non accettano l’incarico come medico di medicina generale nonostante abbiano ottenuto il titolo. Il percorso non è facile, devono cercare i pazienti e affrontare le spese dell’affitto e dell’allestimento di un ambulatorio. Così molti di loro preferiscono andare a lavorare nelle strutture private».Davvero all’estero si sta meglio?«Chi lascia il Paese è perché ha davanti migliori condizioni a livello professionale, contratti a tempo indeterminato cosa che in Italia è ormai molto difficile ottenere. Inoltre può spesso disporre di attrezzature tecnologiche e di strumenti per operare al meglio. Infine le retribuzioni offerte all’estero sono anche 4 volte superiori a quelle italiane».Come vengono rimpiazzati i vuoti di chi emigra?«Questo è il vero problema. Non vengono rimpiazzati. Si cercano soluzioni alternative e “fantasiose” volendo artificiosamente dare responsabilità a chi non ha competenze perché ha fatto un ciclo formativo universitario differente. Sono veramente preoccupato, nonostante le dichiarazioni pubbliche da parte di governo e Regioni sul futuro del servizio sanitario nazionale e regionale. Lo dico solo come medico ma anche da possibile paziente».
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