2025-08-15
Per i nomadi buttiamo troppi soldi. Le Ong: «Siamo il Paese dei campi»
Mentre i media danno la colpa all’Italia, i dati dell’associazione 21 luglio dicono il contrario: «È la nazione Ue che investe di più: 60 milioni per 30.000 persone e 516 insediamenti». Che invece andrebbero sgomberati.Ha scritto bene, ieri sulla Stampa, la sociologa Chiara Saraceno: «I quattro bambini coinvolti nell’omicidio automobilistico di una donna al Gratosoglio, periferia di Milano, vivevano in un campo поnomadi bosniaco, alcuni da diversi mesi, altri da più tempo. Eppure, sembra che nessuno sia mai andato a scuola, né che la loro esistenza, come quella di tutti gli altri bambini e adolescenti che si trovano in quel campo, sia mai stata stata segnalata alle autorità scolastiche o al servizio di assistenza sociale». Secondo la studiosa quei bambini divenuti loro malgrado assassini per aver falciato con un’auto rubata la povera Cecilia De Astis, 71 anni, fanno parte del gruppo degli under 14 «traditi dalla politica». Ed è questo in effetti il refrain di questi giorni: i più, di fronte a una tragedia impossibile da giustificare, cercano disperatamente un capro espiatorio interno, devono per forza ribadire che la colpa è della società italiana che non include, non integra e non sostiene i rom.Eppure per smentire questa ricostruzione basta leggere il rapporto annuale dell’associazione 21 luglio, presentato in Senato lo scorso aprile. Veronica Alfonsi, per conto dell’organizzazione no profit, ha fornito un quadro complessivo della situazione: «Anche per il 2024, a livello europeo, per le persone rom l’Italia si conferma il Paese dei campi», ha detto. «Tra le nazioni europee, infatti, è quella che ha dedicato maggiori risorse - umane ed economiche - alla gestione di strutture abitative con un chiaro profilo discriminatorio, spesso al di sotto degli standard minimi stabiliti dalle normative nazionali e internazionali». Al netto della consueta retorica sul razzismo e la discriminazione, il dato è chiaro: siamo ancora quelli che spendono di più per i campi, anche se negli ultimi anni molti sono stati chiusi. La Strategia nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione di rom e sinti 2021-2030, spiega il rapporto, «ha rilevato la presenza di 516 insediamenti sparsi sul territorio italiano. In totale le persone stimate sono state circa 30.000». In realtà probabilmente i rom che vivono nei campi censiti sono meno, circa 11.000: «10.580 circa sarebbero infatti i rom e sinti presenti negli insediamenti formali (baraccopoli e macroaree). Nelle 64 macroaree vivono 4.931 sinti; nelle 38 baraccopoli vivono 5.649 rom. Centodue sono gli insediamenti formali all’aperto (baraccopoli e macroaree) in Italia, presenti in 75 Comuni e in 13 regioni. Duemila circa sono i rom stimati presenti nelle baraccopoli informali». Sempre secondo il rapporto di 21 luglio, «circa il 65% dei rom e sinti presenti negli insediamenti istituzionali ha la cittadinanza italiana e circa il 55% ha meno di 18 anni». Ma il punto centrale è che nei campi si sopravvive ben al di sotto della soglia della dignità. Praticamente ovunque in questi insediamenti si registra «mancanza di accesso adeguato a fonti di acqua, di elettricità e riscaldamento e di servizi; abitazioni costruite con materiali di risulta e non sicure; presenza di elevate quantità di rifiuti, anche tossici o industriali». Non a caso l’aspettativa di vita di chi vive in un campo è di almeno dieci anni inferiore rispetto alla media italiana. Se esiste una responsabilità della politica italiana, dunque, non riguarda il mancato sostegno ai rom come suggerisce gran parte della stampa. Riguarda invece la mancata chiusura di tutti gli insediamenti, abusivi e non. Per le comunità cosiddette nomadi si spendono fior di milioni di euro, come conferma gioiosamente la stessa 21 luglio, che nel suo rapporto celebra «il consistente stanziamento di risorse finanziarie - 20 milioni di euro gestiti dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) per interventi specifici sulle comunità rom e sinte e ulteriori 40 milioni stanziati dal ministero del Lavoro destinati all’inclusione scolastica e sociale - e un numero crescente di Comuni impegnati nel superamento degli insediamenti monoetnici, con una significativa riduzione degli sgomberi forzati». Più soldi e meno sgomberi: ecco come si producono situazioni analoghe a quelle del Gratosoglio di Milano. Dove i bambini sono in effetti abbandonati, ma non perché manchino tolleranza e inclusione: il dramma e che bisognerebbe sgomberare ma non si fa abbastanza. In fondo, da sempre, è un problema ideologico. Con la scusa di rispettare la cultura rom si ghettizzano i rom, li si tratta come se fossero incapaci di condurre una vita decente alla pari di tutti gli altri. Si concede loro (o, meglio, a una minoranza che però risulta esageratamente problematica) di vivere al di fuori della legalità, di non avere una dimora o un lavoro. Nel frattempo si continuano a buttare milioni per politiche di inclusione che non si capisce cosa producano. Il Comune di Milano, ad esempio, stanzia 3 milioni di euro per combattere le discriminazioni etniche e per contrastare l’antiziganismo. Cosa assolutamente inutile, come riconosce persino 21 luglio: «Nonostante il riconoscimento dell’antiziganismo come problematica centrale, le indagini e le campagne di sensibilizzazione non hanno prodotto risultati significativi». E allora perché si continuano a finanziare? Forse per eliminare il risentimento popolare nei confronti dei rom sarebbe meglio spingerli a condurre un’esistenza rispettabile invece che buttare denaro in campagne ridicole. Solo la Regione Emilia-Romagna ha stanziato oltre 571.000 euro nel 2024/2025 e 800.000 per il 2026, per progetti riguardanti rom e sinti. Soldi utili a fare bella figura in Europa e a lavarsi la coscienza, ma che produrranno poco o niente fino a che esisteranno migliaia di rom che vivono in baracche, roulotte o altri insediamenti simili. In queste condizioni, nell’Italia divenuta «Paese dei campi», lo sgombero è questione di dignità e di tutela dei diritti. Anche di quelli dei rom.
Ingredienti – 4 melanzane lunghe di media grandezza, 100 gr di farina doppio zero, 100 grammi di pangrattato e volendo due cucchiai di Parmigiano Reggiano o Grana Padano, 6 cucchiai di latte 3 uova, olio extravergine di oliva e sale qb. Se avete degli amici vegetariani e non volete usare le uova escludetele pure, come anche il formaggio, ma tra gli ingredienti mettete un bicchiere di birra ben freddo che vi servirò per preparare una pastella con la farina dove ripassare i ventagli per poi impanarli.
Preparazione – Sbucciate le melanzane poi incidetele con un coltello per il lungo ricavando delle fette alte circa 3 millimetri. Fate attenzione a che le fette restino attaccate al picciolo della melanzana. Salate le melanzane anche in mezzo alle fette e fatele riposare per una ventina di minuti in un colino in modo che perdano parte dell’acqua di vegetazione. Nel frattempo sbattete le uova con il latte, salate. Ora prendete le melanzane e infarinatele con cura da una parte all’altra di ogni fetta (oppure passatele nella pastella che avrete preparato stemperando la farina con la birra) passatele nello stesso modo nell’uovo e poi nel pangrattato che, se volete, potete arricchire con il formaggio grattugiato. Irrorate con olio extravergine di oliva la padella (deve essere grande altrimenti agite con due padelle su due fuochi) adagiatevi i ventagli di melanzane ben aperti e fate dorare da entrambe i lati facendo diventare ben croccante la panatura. Aggiustate di sale e servite avendo cura di allargare bene nei piatti di portata i ventagli. Volendo potete accompagnare con una salsa di pomodoro piccante o con della senape.
Come far divertire i bambini – Fate sbattere a loro le uova, si divertiranno.
Abbinamento – Noi abbiamo optato per uno spumante rosato da Marzemino, vanno bene dei rosati fermi come a esempio quelli salentini, oppure dei rossi giovani come una Lacrima di Morro d’Alba o un Marzemino.
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