2020-03-18
Per giornali e preghiere uscire è consentito
Certe astrusità del decreto e qualche controllore zelante hanno instillato il dubbio, ma le chiese e le edicole sono rimaste aperte. Le messe sono sospese per il rischio assembramenti, però si può andare a recitare un Padre nostro. E ad acquistare i quotidiani.Sono il sacro e il profano dell'Italia che tenta di resistere al morbo del secolo. Chiese ed edicole, fedeli e lettori, Pater noster e quotidiani. Lungi da noi accostarci al regno dei cieli, ma il coronavirus, o meglio l'interpretazione dell'apposito e contingente decretone, ha finito per sancire più di qualche assonanza tra spiritualità e informazione. Parrocchie e chioschi, nelle nostre desolate città, sono rimasti aperti. Entrambi, però, sono al centro di assillanti diatribe interpretative. Si può uscire per una preghierina sotto casa? Sì. E andare a comprare il giornale? Certo. Eppure molti audaci sono stati fermati dall'intento e persino multati: «Non sono attività necessarie». È vero: chiese ed edicole non danno da mangiare, come i supermercati. Non vendono medicine, come le farmacie. Però, perdonateci l'enfasi, nutrono anime e menti, specie se debilitate come adesso. Ovvio, ogni debito distinguo va rimarcato: nell'«ora più buia» rievocata da Giuseppi Conte, che con la citazione abbandona metaforicamente la pochette per il panciotto alla Winston Churchill, nessuno può dare il conforto di un curato o di un inginocchiatoio. Per questo, cercando di supplire alle messe ormai vietate, l'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, s'è perfino arrampicato sul tetto del Duomo. Da lì ha pregato, con il volto rivolto verso la statua dorata che protegge la città: «O mia bela Madunina che te dominet Milan, conforta coloro che più soffrono nei nostri ospedali e nelle nostre case». E ieri, in un'intervista alla Stampa, l'arcivescovo ha spiegato: «Abbiamo sospeso le celebrazioni e tutto quello che poteva facilitare il contatto tra le persone. Ma abbiamo sempre detto che le chiese sono aperte. Chiunque deve poter entrare e avere la possibilità di pregare, naturalmente rispettando le misure di sicurezza, senza diffondere o ricevere contagio».Proprio mentre i credenti vorrebbero abbarbicarsi alla fede, i luoghi di culto sono diventati luoghi di testimonianza. A volte, nemmeno quelli. Due giorni fa a Cerenova, nel Lazio, la polizia locale ha sospeso la messa in streaming nella parrocchia di San Francesco d'Assisi. Troppi i fedeli riuniti lì davanti. Per evitare assembramenti il governo ha vietato pure comunioni, cresime, matrimoni. E persino funerali. Così le esequie di Priscilla, la ragazza comasca morta lo scorso 11 marzo per una meningite fulminante, si sono trasformate in una diretta streaming su Facebook. La celebrazione online ha avuto oltre 9.000 visualizzazioni e centinaia di commenti. Tutto sospeso a data da destinarsi. Niente deroghe. Il momento eccezionale richiede sacrifici eccezionali. Nessuno, dalle parti del Vaticano, eccepisce. Mentre il virologo Roberto Burioni sembra irridere i cattolici invitandoli alle preghierine dal salotto. Intanto, i supermercati scoppiano. Tanti vagano con il carrello semivuoto tra le corsie. E sì, quella della reiterata spesa quotidiana non è una leggenda che monta tra le cassiere più malmostose. È quello che vediamo anche noi quando, una volta la settimana e dopo esserci bardati come sommozzatori, siamo costretti a uscire per far rifornimento di generi alimentari, pena il deperimento della già sfibrata prole. Insomma, molti cercano uno svago. E lo svago, in questi tempi cupi, può diventare lo scorrazzare senza meta negli ipermercati, per lasciarsi incantare dai valori nutrizionali stampati sullo scatolame o dall'imperdibile offerta di detersivi e brillantanti. Code interminabili. Casalinghe minacciose. Distanze risibili. Siamo sicuri dunque che quelle indomite clienti non sarebbero più al sicuro tra le spesse mura della parrocchia? Ben distanziate, con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo, potrebbero magari riprendere a dialogare con l'Altissimo piuttosto che con uno sfibrato salumiere. Eppure un momento di piacere, ben più futile, ci sarebbe. Legalizzato e vidimato persino dalla presidenza del Consiglio. Ovvero: uscire di casa, camminare fino all'edicola vicina e comprare il vostro giornale preferito. Se volete capir meglio l'epocale battaglia contro il coronavirus, non c'è nulla di meglio. E, a dispetto di qualche iniziale inciampo, non c'è alcun dubbio interpretativo: potete farlo. Non c'è bisogno di fingere l'ennesima impellenza del vostro cagnolino. E nemmeno di indossare occhiali scuri e impermeabile, temendo di venir intercettati dai tutori della legge. Non serve neanche accampare finti malanni stagionali. Nelle edicole si può andare. Anzi, adesso, i chioschi hanno un indubitabile pregio: sono gli unici esercizi commerciali all'aperto. Non c'è quasi mai ressa. Il fantomatico metro abbonda. Ed è pure l'unico luogo in cui, ma solo in aggiunta, potete comprare inutili giocattolini da regalare a figli e nipoti annoiati. Però ci hanno scritto tanti lettori. «Fioccano le ammende per chi dichiara di essere uscito per comprare un quotidiano» lamenta ad esempio il signor Edoardo. Eccessi di zelo, appunto. Le norme sono chiare. La stampa, in un momento come questo, viene considerata un bene «fondamentale». Ecco perché le edicole restano aperte. Basta barrare, nell'autocertificazione del ministero, la casella «situazione di necessità». Già, informarsi è una necessità. Oggi più che mai. Sfoderate un sorriso, prima di spiegarlo alla zelante guardia. E, magari, regalatele una copia della Verità.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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