2021-09-14
Per Cirinnà e Pd la famiglia negli spot può essere solo teatro di violenza
Un ddl della senatrice vuole dettare le norme per realizzare le pubblicità in tv evitando gli «stereotipi distorsivi» familiariRicordate la legge ungherese utile a bloccare la propaganda Lgbt e a proteggere i minori da spettacoli televisivi inadatti? Contro quel provvedimento, il Partito democratico scatenò un mezzo inferno. I dem arrivarono addirittura a chiedere una levata di scudi europea contro i «bigotti medievali» guidati da Viktor Orban, giudicati colpevoli di voler bandire i temi arcobaleno dalle prime serate. Eppure, pensate un po', è proprio lo stesso Pd a proporre una legge che, se approvata, imporrebbe limitazioni durissime alla programmazione televisiva, molto più pesanti di quelle esistenti in Ungheria. In questo caso, però, l'obiettivo del Pd è quello di combattere il patriarcato, il che rende automaticamente accettabile qualunque forma di restrizione o addirittura di censura.Il disegno di legge è stato presentato nel 2018 da alcuni senatori democratici, tra cui la prima firmataria Valeria Valente e Monica Cirinnà, e viene discusso ora in Commissione affari costituzionali al Senato. È stato battezzato in modo altisonante: «Misure per la protezione dei minori e per la tutela della dignità della donna nella pubblicità e nei mezzi di comunicazione». Questo ddl si propone di regolamentare la realizzazione delle pubblicità e mira a impedire «l'uso spregiudicato, volgare, stereotipato e offensivo dell'immagine della donna nella pubblicità, in particolare nei manifesti e negli spot».Secondo i senatori del Pd, non è «ulteriormente tollerabile la realizzazione e circolazione di materiale pubblicitario che svilisce la donna nella sua dignità, alimentando, anche per questa via, una spirale di disprezzo che non può certo ritenersi estranea al dilagare dei fenomeni di sopraffazione e violenza contro le donne». Il ddl Valente-Cirinnà, tuttavia, non si ferma alle logore riflessioni sul corpo femminile, ma allarga la prospettiva fino ad arrivare all'analisi delle dinamiche famigliari. Nota la relazione introduttiva del ddl che «altro delicato nucleo di “imposizione" di stereotipi distorsivi della realtà […] è l'immagine della famiglia». Quali sarebbero questi stereotipi? Sentite qui: «Da una recente ricerca svolta da Terres des Hommes, condotta da Paolo Ferrara, su studenti delle scuole medie milanesi, è emerso che la famiglia, come istituzione sociale, è recepita e rappresentata dagli adolescenti intervistati come luogo sostanzialmente esente da violenza». Capito? Per il Pd, il fatto che la famiglia non sia considerata come un luogo di violenza è uno «stereotipo distorsivo». In pratica, per essere accettabile, una pubblicità dovrebbe veicolare l'idea che la famiglia sia una istituzione oppressiva in cui il padre - maschio e quindi ontologicamente crudele - maltratta e sfrutta come un padrone ottocentesco il «proletariato» composto da donne e bambini.Secondo il Pd, è deprecabile il fatto «che nella pubblicità le figure maschili destinate a manifestare valenza “positiva" godano, generalmente, di caratteristiche forti e dominanti, mentre risulta solitamente ancillare il ruolo assegnato ai bambini e alle donne, gli uni e le altre “mummificati" in modelli ripetitivi quanto banali». Non è tutto: «Si sta facendo largo», insistono i senatori dem, «un ennesimo modello costrittivo, che ripropone una visione stereotipata della donna e dell'organizzazione della vita familiare, ma sotto l'apparenza di una riconsiderazione e attualizzazione dei ruoli femminili. All'identificazione della donna con l'angelo del focolare domestico si va in fatti sostituendo una sua nuova rappresentazione che ha finanche del grottesco: donne perennemente affannate, impegnate in attività lavorative o professionali sul fronte pubblico, ma, nel privato, sempre destinate a occuparsi di faccende domestiche e della famiglia in perfetta solitudine, esattamente come nella visione patriarcale tradizionale, con figli mai coinvolti nell'assunzione di compiti di collaborazione familiare e sempre senza alcun tipo di condivisione con il partner».Da queste osservazioni si deduce, per lo meno, che gli esponenti dem non guardino le pubblicità. Negli spot che circolano sulle principali emittenti, da qualche tempo, il politicamente corretto la fa da padrone: dal multiculturalismo alla promozione delle istanze Lgbt fino all'attenzione ai temi «green», la gran parte delle campagne sembra scritta da spin doctor del Pd. Come nota Lucio Malan, senatore di Fratelli d'Italia che per primo ha segnalato l'assurdità della proposta di legge, «oggi i padri negli spot sono per lo più presentati come degli inetti, che non sanno fare nulla. Si arriva addirittura a definire “uno stereotipo" il fatto che una donna possa cucinare. È il trionfo dell'ideologia».In ogni caso, gli indignatissimi dem ritengono che servano «provvedimenti normativi ulteriori e innovativi» i quali rimuovano dagli spot «la disparità di trattamento connessa al genere» e fermino le pubblicità che propongano «modelli di riferimento stereotipati, sessisti e discriminatori».In buona sostanza, andrebbe proibita ogni pubblicità che «utilizzi la figura femminile come strumento passivo di esaltazione di tipologie di prodotti di cui le donne stesse siano, implicitamente o esplicitamente, indicate come dirette consumatrici o responsabili dell'acquisto» o «utilizzi la figura femminile come elemento puramente accessorio e decorativo di altre immagini nella promozione di prodotti destinati ad altri soggetti, e in particolare ai consumatori di sesso maschile». Non solo. Uno spot va eliminato se «inserisce la figura femminile in contesti nei quali essa è un soggetto passivo diretto da voci fuoricampo, in prevalenza maschili; propone la figura della donna come oggetto di sfruttamento o come soggetto destinato a svolgere ruoli umilianti e lesivi della sua dignità; […] allude alla sessualità femminile come merce o come mezzo di sollecitazione al consumo di merci». Infine, per i sinceri democratici, occorre censurare la pubblicità che «si rivolge ai minori esponendoli a messaggi di contenuto violento, razzista, xenofobo, erotico o pornografico».Intendiamoci: la sessualizzazione forzata dei corpi, l'utilizzo dei minori e gli eccessi consumistici ci ripugnano. Siamo convinti che si debba evitare la strumentalizzazione del corpo femminile a fini commerciali. Abbiamo tuttavia la sensazione che il Pd si mobiliti a corrente alternata. Ci chiediamo come mai un partito così impegnato nella difesa della «dignità della donna» non si schieri apertamente, ad esempio, contro l'utero in affitto. E come mai gli stessi senatori che vogliono censurare le pubblicità non dicano una parola sulla fiera della maternità surrogata che dovrebbe tenersi prossimamente a Milano, e su cui il sindaco Beppe Sala non ha proferito verbo. Forse le senatrici progressiste pensano che mostrare una donna poco vestita in uno spot sia peggio che pubblicizzare il noleggio di madri surrogate? Evidentemente sì.