2020-05-15
«Per battere i cinesi si deve prima entrare nella loro testa»
L'esperto Alessandro Aresu: «Usa e Dragone piegano il capitalismo a scopi politici La pandemia sta aumentando la nostra dipendenza da Pechino».Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes, ha pubblicato, per La nave di Teseo, Le potenze del capitalismo politico: Stati Uniti e Cina. Un saggio che Massimo Cacciari ha definito «un piccolo capolavoro».Cos'è il capitalismo politico?«È l'accoppiamento tra l'economia e la politica, gestito dagli apparati burocratici delle potenze».E cosa implica?«L'uso politico di tecnologia, commercio e finanza; la partecipazione statale nelle imprese e gli appalti statali alle imprese; il ricorso alle sanzioni e alle barriere contro gli investimenti esteri».Ma il mondo non doveva essere guidato solo dalla mano invisibile del mercato?«Il mondo, per la burocrazia armata statunitense - il conglomerato degli apparati militari e civili - e per la burocrazia celeste cinese, è guidato anche dalla mano visibile dello Stato, che interviene a tutela della sicurezza nazionale. E a volte questo intervento può allargarsi enormemente».E che implica il capitalismo politico per la Cina?«Si deve smontare un luogo comune degli anni Novanta: che essendo un regime autoritario, essa non avrebbe generato innovazione».Si diceva pure che con l'apertura al mercato, si sarebbe democratizzata.«È successo il contrario. Alcune libertà degli imprenditori sono state fortemente limitate: il Partito comunista cinese è terrorizzato che possano emergere oligarchi capaci di opporsi alle sue direttive».Non a caso, nel libro, lei cita l'esempio di un grande imprenditore cinese, libero di costituire un colosso tecnologico, ma non di annunciare che si godrà un buen retiro in riva al mare. A quel punto, interviene il Partito e lo coopta.«Perciò non si può pensare di battere i cinesi sul piano dell'innovazione o ipotizzando che arriverà la democrazia liberale anche da loro».Come li battiamo, allora?«In tecnologie come l'intelligenza artificiale e nel campo militare, i cinesi sono ancora sensibilmente inferiori agli Usa. Il punto è imparare a entrare nella loro testa».In che senso?«Capire come i cinesi leggono il mondo. Oggi manca il corrispettivo della sovietologia sviluppata in America negli anni della guerra fredda».E poi?«Bisognerà rilanciare un'integrazione tra i mercati europei e quello statunitense. Così sarà possibile una massa critica in grado di ridimensionare le ambizioni cinesi».Quindi siamo in una nuova guerra fredda?«Sono contesti diversi. Oggi c'è molta più interdipendenza economica ed è venuto meno il carattere ideologico del confronto. Ma indubbiamente il conflitto esiste ed è forte».Cosa c'è in ballo?«Gli Usa devono difendere la loro egemonia globale, figlia del primato militare e tecnologico e delle loro buone prospettive demografiche».E Pechino?«Mira a completare il riscatto di una potenza umiliata entro il 2049, centenario della data in cui, secondo il Partito comunista, grazie alla vittoria di Mao Zedong, la Cina si è rialzata. Nessuno punta a nuove conquiste territoriali, a eccezione di Taiwan».La pandemia e le reticenze del regime di Xi Jinping saranno la Chernobyl del Dragone?«Il Partito comunista sta provando a volgere a proprio favore un indubbio elemento di debolezza, sul piano della credibilità internazionale».In che modo?«Facendo leva su un'inversione industriale della catena del valore nella pandemia».Che significa?«I cinesi producevano già mascherine, guanti e respiratori, anche se noi non lo sapevamo. Ora hanno messo in moto questa macchina alla piena potenza».Ci stanno rendendo dipendenti verso di loro?«Apparentemente sì. In più, la Cina presenta un ulteriore elemento d'attrazione».Quale?«La sorveglianza digitale».Questione 5G: a che gioco gioca l'Italia?«Per gli Usa è un tema fondamentale. Non solo per Donald Trump: si pensi alle parole di Nancy Pelosi a Monaco».Come la vede Washington?«Gli americani concepiscono il 5G cinese come una minaccia al loro primato tecnologico, che coincide con la sicurezza nazionale. E hanno reagito bloccando gli investimenti cinesi e creando alleanze tra aziende occidentali per recuperare il terreno perduto».Come dobbiamo muoverci?«Se riteniamo che gli Usa siano in declino e che la Cina vincerà la sfida tra le potenze del capitalismo politico, il valore della linea rossa tracciata da Washington si relativizza».La pandemia farà arretrare la globalizzazione?«Se si guarda alla quota della crescita globale legata al commercio internazionale, si vede che la globalizzazione s'era già contratta. Il mito da sfatare è un altro». Quale?«Quello delle catene globali del valore come scatole chiuse, che funzionano indipendentemente dagli Stati. Basti pensare alla riconversione verso l'elettrico del settore automotive: in quella catena c'erano vincitori - americani e cinesi - e perdenti - gli europei».E ora?«La pandemia darà l'impulso a rilocalizzare, ma bisogna vedere fino a che punto si spingerà il processo. Se si rafforzeranno le catene transatlantiche, o se a vincere saranno Vietnam e India».Mentre noi l'Africa la subiamo solo per i flussi migratori, Pechino pratica sul continente una sorta di politica neocoloniale. Con quali vantaggi?«Per il Partito comunista cinese è molto più importante il complicato rapporto con i vicini asiatici. Ma è indubbio che le relazioni con gli Stati africani, coltivate con un connubio di credito per lo sviluppo e infrastrutture, abbiano aiutato Pechino ad acquisire sostegno all'interno degli organismi internazionali».La cosa è tornata utile, nel caso dell'Oms…«E nei prossimi anni sarà interessante monitorare i progetti in Africa di Jack Ma, il fondatore di Alibaba, che ha già promosso una forte geopolitica delle mascherine».Ecco: l'imprenditore che doveva ritirarsi in spiaggia, ma poi è stato cooptato dal Partito, era lui…«E ha aperto un profilo Twitter proprio in concomitanza con la pandemia».