2020-06-24
Peggio Salvini sul ponte o Grillo sui telefoni?
Beppe Grillo (Paolo Manzo, NurPhoto via Getty Images)
L'intervento a gamba tesa del redivivo guru dei 5 stelle sulla materia cruciale delle reti dei dati è stato accolto come se nulla fosse. Sulle prime pagine dei giornali, soprattutto di sinistra, finisce il leghista sul Morandi. Un finto scandalo per nascondere quello vero.Il problema dell'Italia? È Matteo Salvini che fa la passerella sul ponte di Genova. Sì, ieri a giornali unificati il gruppo Gedi, proprietà Agnelli, ha pubblicato commenti indignati per la visita dell'ex ministro dell'Interno al viadotto ricostruito dopo il crollo del Morandi. «Giù le mani dal Ponte», ha tuonato Repubblica. «Se Salvini fa la passerella sul ponte», ha rincarato la Stampa. «Salvini sul nuovo ponte, scoppia la polemica. Uno show elettorale», ha aggiunto il Secolo XIX, storica testata ligure. Sì, tutti insieme a criticare la visita, perché non sia mai che un leghista visiti il cavalcavia ricostruito dopo la strage. Soprattutto non sia mai che un leader dell'opposizione metta piede sul manufatto prima che vi siano passati Nicola Zingaretti, Roberta Pinotti e Andrea Orlando: il primo per diritto divino, essendo azionista importante del governo Conte, e i secondi per diritto di appartenenza, essendo entrambi liguri e del Pd.Sì, per i giornali della sinistra in berlina, nel senso proprio delle quattro ruote, l'idea che Salvini sia arrivato prima degli altri è proprio intollerabile, in quanto in vista di una campagna elettorale in cui ci si giocherà il posto di governatore della Liguria non si può lasciare nessun vantaggio all'avversario, neppure una visita per verificare un'opera ricostruita in tempi certi anche grazie a un'amministrazione non proprio di sinistra. E così, ecco arrivare i commenti degli indignati speciali, dall'ex parlamentare di An allo scrittore celebre per «il coraggio del pettirosso»: tutti a trinciar giudizi sul leghista sporco e cattivo che passeggia sul Ponte. E dire che puntando lo sguardo sulla Liguria ieri c'era ben altro da dire e di certo più rilevante di una «passerella politica» o di uno «show elettorale», per rimanere alle definizioni date dagli organi di stampa della famiglia Agnelli. Un qualche cosa che per un gruppo industriale ma anche per uno editoriale dovrebbe richiamare ben altra attenzione di quella riservata alla visita ad un Ponte, seppur tragicamente famoso. A Genova infatti, mentre Salvini camminava sul cavalcavia, c'era un signore di nome Beppe Grillo che, senza nessun titolo, se non quello di essersi autonominato garante del Movimento 5 stelle, «lanciava l'assalto dello Stato alle telecomunicazioni», con l'appoggio del premier. Dal suo blog il comico, che non ha trovato modo di esprimersi sulla situazione economica del Paese, né sulla inutile perdita di tempo degli Stati Generali, ma neppure sulle alleanze in vista delle regionali, si è lanciato in una dotta disamina dei problemi legati alla rete delle infrastrutture digitali italiane, chiedendo nientepopodimeno che l'intervento dello Stato. Sì, avete letto bene. Il fondatore dei 5 Stelle all'improvviso se n'è uscito con una soluzione «per superare l'arretratezza digitale e dotare il Paese di una rete ultraveloce in fibra ottica». La proposta consiste, in breve, nel ritorno dello Stato, che dopo essere uscito da Telecom Italia negli anni ruggenti di Massimo D'Alema e dei capitani coraggiosi oggi, probabilmente su ispirazione sempre dello stesso D'Alema, vera longa manus della sinistra dentro il governo (il ministro dell'economia Roberto Gualtieri, ma anche altri responsabili di dicasteri sono uomini suoi e qualche frase è sussurrata anche all'orecchio di Giuseppe Conte), dovrebbe rientrare nella partita. Come? Attraverso la Cassa depositi e prestiti, ossia quella che nella testa di qualcuno - e in particolare dei grillini - dovrebbe ridiventare la nuova Iri, mettendo insieme Ilva, Alitalia e adesso, perché no?, pure la telefonia e il web. In pratica, bisogna unire le società che operano nel settore delle infrastrutture di rete, ovvero Open fiber, che è pubblica e ha il compito di portare internet veloce nelle zone più remote, e Tim. Ma l'azienda guidata da Luigi Gubitosi è sostanzialmente privata, e dunque integrarla con il pubblico non è facile. Nessun problema, ha spiegato Grillo: basta far entrare Cdp con una quota pari a quella detenuta da Vivendi. Cioè, in pratica si tratterebbe di una specie di nazionalizzazione di Tim, che a questo punto sarebbe obbligata a trovare l'intesa con Open fiber. Il tutto realizzato con i soldi di Cassa depositi e prestiti, ovvero con quattrini che vengono raccolti tramite le Poste, cioè con i risparmi dei pensionati. La questione della rete è una faccenda che ha sempre affascinato tutti coloro che stanno al governo, da Prodi a Renzi. Curioso che se ne faccia interprete Grillo, un signore che con i cinesi ha rapporti molto intensi: e guarda caso i cinesi sono molto sensibili alle telecomunicazioni, tanto da essere stati messi all'indice in America, perché se controlli la rete, controlli molte cose di un Paese, anche la democrazia. E curiosa, oltre alla nuova passione di Grillo, anche la reazione di Giuseppe Conte. Il quale non ha preso l'uscita del comico come una battuta, ma come una cosa seria, tanto da giudicarla una buona idea. Come dire che le grandi scelte di politica economica e industriale non si sono discusse a villa Pamphilij, ma se ne parla fuori dal Parlamento e dalle sedi istituzionali. Ma questo, a differenza delle passerelle di Salvini, non merita alcun commento.
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