
La dimostrazione plastica c’è stata la scorsa settimana con la visita istituzionale del presidente di Stellantis John Elkann in Cina. L’inaugurazione, alla presenza del presidente Sergio Mattarella, della Agnelli chair of italian culture, una cattedra di cultura italiana presso l’università di Pechino, ha avuto un importante significato simbolico. Mentre il mondo virava nella direzione dei dazi e delle politiche anti-Pechino di Trump, un pezzo importante del sistema economico e politico del Paese viaggiava nella direzione opposta. Viaggio programmato ci mancherebbe, ma evidentemente portatore di istanze e strategie già ben definite. «La cattedra intitolata a mio nonno è un ponte», aveva spiegato l’erede dell’Avvocato, «un ponte che stiamo costruendo per favorire il dialogo tra due Paesi e che attraverso questo mira a unire due mondi, due culture, in uno spirito di collaborazione reciproca. L’Italia e la Cina condividono una relazione profonda che rimonta nei secoli».
Jaki ed Exor, la holding che controlla le fortune della famiglia Agnelli, sono portatori di numerosi e variegati interessi economici. Oggi nella testa dell’erede dell’Avvocato è centrale il business della sanità piuttosto che quello dell’automotive, ma è l’auto a guidare tutto il resto. Perché auto vuol dire migliaia di posti di lavoro, materie prime fondamentali per la transizione verso l’elettrico e l’apertura verso mercati, si veda l’Africa, che dal punto di vista geopolitico fanno la differenza.
Non è sfuggito ai più che pochi giorni fa Stellantis China abbia firmato un accordo di collaborazione con China automobile trade, gruppo che commercializza i veicoli di buona parte dei brand asiatici, ma anche di Volkswagen e adesso appunto di Stellantis. L’obiettivo è entrare nel complicatissimo mercato orientale con le vetture di fascia alta, Alfa Romeo certo, ma anche Jeep. Senza dimenticare che pure per la Ferrari ci sono grandi margini di crescita.
Così come non sfugge che l’alleanza di Stellantis con Leapmotor stia diventando sempre più centrale. Il costruttore cinese, è un marchio del gruppo franco italiano che ne possiede il 21% con un investimento di 1,5 miliardi, ha già lanciato i primi modelli per l’Europa: T03 e C10. Ma è solo l’inizio. La specialità della casa sono i veicoli elettrici basati su piattaforme altamente tecnologiche e a costi contenuti. Uno dei passaggi fondamentali del suo piano di espansione fa leva sulla produzione di una citycar elettrica che inizialmente doveva essere prodotta in Polonia. Ma secondo quanto rivelato recentemente da Reuters da Pechino è arrivato l’altolà.
La Polonia è infatti tra i Paesi che più si sono spesi per imporre dazi alla vendita di vetture cinesi in Europa e quindi per ritorsione va ritirato l’investimento.
Il Suv elettrico B10, nato appunto dalla collaborazione con Stellantis doveva essere prodotto dal sito di Tychy, nel sud della Polonia, che invece adesso resterà a bocca asciutta. Nello stesso momento in cui un altro stabilimento storico di Stellantis in Polonia, quello di Gliwice, ha chiuso i battenti per spostare la produzione di motori diesel e benzina in Brasile. Le due operazioni non sono collegate, la chiusura era stata decisa mesi fa, ma più in generale pare che Xi Jinping abbia imposto di vietare affari nei Paesi capofila delle politiche dei dazi. E non sembra che Stellantis stia facendo resistenza.
Meno Europa che corrisponde poi a un incremento degli affari e delle vendite in Africa. In questi giorni ha fatto impressione la notizia delle 500 stra-vendute in Algeria e prive di ordini in Italia. Differenze? Mirafiori, per rispettare i paletti Ue che impongono vendite minime di veicoli elettrici, ha puntato tutto sulle Bev (Battery electric vehicle), in Algeria invece le Fiat 500 Hybrid hanno fatto registrare il tutto esaurito.
«Nessuno», spiega alla Verità Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm e responsabile del settore auto, «sa quello che è sancito negli accordi tra Leapmotors e Stellantis. Si parla però poco delle grandi conoscenze tecnologiche dei cinesi e delle potenzialità di sviluppo per le batterie di nuova generazione che farebbero molto comodo anche alla casa franco-italiana. Mentre non è un mistero che la Cina come del resto Stellantis siano interessate allo sviluppo di un mercato che ha enormi potenziali di crescita come quello africano».
E del resto negli stessi comunicati ufficiali Leapmotor International, la joint venture tra Stellantis e Leapmotor appunto, non si nasconde che dopo l’Europa (ora nel mirino per i dazi) «l’azienda prevede di espandere la distribuzione in Africa».
Stellantis si è insediata sopratutto in Marocco (il sito di Kenitra produce 200.000 veicoli e punta ad arrivare a quota 400.000 entro il 2027) e Algeria (a Orano l’obiettivo è quota 90.000 vetture assemblate entro un paio di anni), ma sta stringendo accordi anche in Sudafrica e altri Paesi, mentre la Cina ha da anni messo in atto una strategia di investimenti miliardari a pioggia e partnership per esempio con Nigeria, Mali, Togo, Gibuti, Ciad e Malawi. I margini di lavoro sono infiniti.






